Crescono in modo vertiginoso le minacce e le intimidazioni contro chi fa informazione in Italia.
Nel primo semestre del 2025 sono stati registrati 81 episodi intimidatori nei confronti di giornalisti, il 76% in più rispetto ai 46 segnalati nello stesso periodo del 2024.
È quanto emerge dal report della Direzione Centrale della Polizia Criminale (Servizio Analisi Criminale), diffuso ad agosto 2025, nell’ambito del Centro di Coordinamento del Ministero dell’Interno per il monitoraggio del fenomeno.
Un dato che non lascia spazio ai dubbi: la libertà di stampa è sempre più sotto pressione. E gli attacchi non arrivano soltanto dalla criminalità organizzata, ma anche da contesti socio-politici e dalla criminalità comune, segno di una società in cui l’intolleranza verso chi indaga e racconta cresce in modo preoccupante.
Il quadro nazionale: Lazio, Lombardia e Campania in testa
Degli 81 episodi analizzati, la gran parte si concentra in sette regioni: Lazio, Lombardia, Campania, Calabria, Emilia-Romagna, Piemonte e Sicilia.
In queste aree si è verificato l’81,5% del totale degli atti intimidatori.
Roma guida la classifica con 16 casi, seguita da Napoli (7), Milano e Cosenza (5 ciascuna), e Torino (4).
Le matrici delle minacce mostrano un quadro variegato:
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40 episodi sono di matrice socio-politica, il 49,4% del totale.
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28 rientrano nella criminalità comune (34,6%).
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11 sono legati alla criminalità organizzata, concentrati soprattutto in Campania (5 casi), Lazio (3), Calabria (2) e Sicilia (1).
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Solo 2 restano classificati come “altri contesti”.
Una fotografia che conferma la persistenza della pressione criminale nei confronti dell’informazione, ma anche la crescita dell’odio sociale e politico, spesso amplificato dai social network.
Web e social: il nuovo volto delle minacce
Quasi 4 intimidazioni su 10 avvengono online.
Nel 2025, il 38,3% degli atti (31 episodi) è stato consumato tramite il web, 18 in più rispetto al 2024.
Tra i canali più usati per colpire i giornalisti: email e contenuti online (15 casi), Facebook (8), Instagram (4), X-Twitter (3) e WhatsApp (1).
Accanto alle minacce digitali, il rapporto registra un aumento di scritte ingiuriose o minacciose (18 casi) e aggressioni fisiche (16 casi).
Un segnale evidente che l’intimidazione, oggi, si muove su due piani: quello fisico e quello virtuale, entrambi alimentati da un clima di rancore diffuso.
Giornaliste più esposte: 20 casi in sei mesi
Nel primo semestre 2025, le giornaliste donne sono state colpite in 20 casi, su un totale di 66 professionisti dell’informazione minacciati.
Un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni, con un aumento del 30% rispetto al 2024.
La matrice prevalente resta quella socio-politica (9 episodi), seguita dalla criminalità organizzata (5) e dalla criminalità comune (5).
Il modus operandi più frequente è il web (7 episodi), ma non mancano aggressioni fisiche (5), danneggiamenti (3) e minacce verbali (3).
Una conferma del fatto che, per molte croniste, il giornalismo resta un mestiere ad alto rischio, soprattutto quando tocca temi sensibili come mafie, politica e corruzione.
Cinque anni di monitoraggio: i numeri di una tendenza inquietante
L’analisi quinquennale (2021–2025) del Servizio Analisi Criminale mostra un andamento altalenante ma chiaro:
dopo un calo tra il 2022 e il 2024, il 2025 segna un nuovo picco con 81 episodi, quasi il doppio rispetto al biennio precedente.
Nel 2021 i casi erano stati 110; nel 2024, appena 46.
La ripresa del fenomeno, sottolinea il report, richiede interventi mirati di prevenzione, tutela e formazione, oltre a una maggiore sinergia tra istituzioni e mondo dell’informazione.
Un allarme democratico
Dietro le cifre fredde, c’è una realtà calda di paura e isolamento.
Molti cronisti, soprattutto nelle periferie, operano senza tutele, spesso in piccoli contesti dove l’informazione libera è l’unico argine al potere criminale o politico.
Il Centro di Coordinamento del Ministero dell’Interno, insieme a Ordine dei Giornalisti e Federazione Nazionale della Stampa Italiana, continua a monitorare la situazione e a proporre strategie di contrasto.
Ma la battaglia per la libertà di stampa, oggi, si gioca anche su un altro fronte: la rete.
Lì dove le minacce si moltiplicano in pochi secondi, e la violenza verbale diventa parte del linguaggio quotidiano.
Il rapporto della Criminalpol è un documento tecnico, ma racconta una verità civile:
in Italia, nel 2025, fare il giornalista significa ancora esporsi, denunciare, disturbare.
E ogni intimidazione, ogni minaccia, ogni insulto è una ferita inferta alla democrazia.
Servono più protezioni, più formazione, più solidarietà tra colleghi.
Perché una stampa che vive nella paura non è più libera, e un Paese che non difende chi racconta la verità è un Paese che sceglie di non vedere.




