Separare per comandare: la schiforma Nordio è un attacco frontale alla democrazia
C’è qualcosa di profondamente marcio sotto il velo patinato di questa “riforma” della giustizia. Qualcosa che odora di vendetta, di restaurazione, di potere che non vuole più essere disturbato. La chiamano separazione delle carriere, la vendono come efficienza, imparzialità, modernizzazione. Ma in realtà è solo un colpo ben assestato all’indipendenza della magistratura. Un colpo alla schiena. Un’aggressione silenziosa alla Costituzione.
Carlo Nordio ha impugnato la penna del potere e firmato un provvedimento che lui stesso, da magistrato, aveva rigettato con fermezza. Trent’anni fa difendeva l’unicità della magistratura come garanzia di legalità e di uguaglianza. Oggi, diventato ministro della Giustizia, si fa giudice della divisione. Cosa è cambiato? Nulla, se non l’ambizione di chi, smessa la toga, ha scelto la poltrona.
Questa non è una riforma. È una resa. È il compimento di un disegno studiato da chi ha sempre voluto una giustizia docile, anestetizzata, asservita al governo di turno. È l’incarnazione in giacca e cravatta di un’idea antica: che il potere giudiziario debba essere subordinato a quello politico. È la realizzazione, punto per punto, del famigerato Piano di Rinascita Democratica della Loggia P2, che auspicava la separazione delle carriere, il controllo del Consiglio Superiore della Magistratura, la riforma del processo penale a vantaggio dell’accusa governativa. Chi oggi sostiene questa schiforma sta dando ossigeno a quel progetto eversivo. Sta dando ragione a Licio Gelli. A Berlusconi.
Separare le carriere significa spaccare in due la magistratura: da una parte i giudici, dall’altra i pubblici ministeri. Questi ultimi, più vicini al governo, più ricattabili, più condizionabili. E il giudice? Resterà lì, formale garante di un processo che sarà già stato indirizzato dall’alto, costruito da una macchina accusatoria legata a doppio filo al potere politico. Altro che terzietà. Altro che imparzialità. È la fine della giustizia come spazio libero, come frontiera tra il cittadino e lo Stato.
Questa è una riforma di regime. È pensata da chi ha paura dei magistrati che indagano, dei pm che toccano i fili dell’intoccabile, di quelle procure che ancora osano mettere in discussione l’immunità dei potenti. È una vendetta trasversale contro le inchieste scomode, le indagini su mafia, corruzione, politica. È un tentativo di sterilizzare la funzione giudiziaria, renderla innocua, controllabile, addomesticata.
Il referendum non è un gesto democratico se viene usato per scardinare i principi democratici. Votare su un diritto non è mai un atto neutro: è sempre un rischio. Qui non si sta scegliendo se riformare la giustizia. Qui si sta decidendo se lasciarla vivere o farla morire.
WordNews.it non sta a guardare. Non si accoda al coro dei complici. Questa redazione, fatta di giornalisti, testimoni, studiosi, cittadini, dice NO.
Un NO secco, pieno, senza tentennamenti. Perché il diritto deve restare libero. Perché la giustizia non può diventare uno sportello del potere. Perché chiunque, ricco o povero, potente o invisibile, deve poter ancora trovare un giudice indipendente, e non un burocrate asservito.
Questo referendum è un bivio. O si sceglie la democrazia, o si scivola in un’altra cosa. E quando ce ne accorgeremo, sarà tardi. Lo Stato di diritto si spezza in silenzio. Non fa rumore. Fa solo danni. E chi avrà firmato questa schiforma, chi l’avrà sostenuta, dovrà portarne il peso per sempre.





