La scena è sempre la stessa: nella logica del facimm’ ammuina continua la progressiva distruzione del sistema sanitario molisano. Una demolizione lenta, silenziosa, chirurgica. Altro che riforme, altro che rilancio: qui la partita si gioca tra interessi clientelari, poteri incrostati e cordate che non hanno nessuna intenzione di far funzionare davvero ciò che dovrebbe servire ai cittadini.
Il sistema è ormai un colabrodo, perde pezzi ogni anno, e dare risposte ai bisogni sanitari sta diventando un’impresa epica. Nel frattempo, nessuna forza politica o sindacale sembra voler davvero scendere in campo per ribaltare il tavolo. Troppo rischioso, troppo scomodo, troppo poco conveniente.
Eppure, ed è qui l’amara poesia, basterebbe davvero poco per rimettere in piedi una sanità pubblica degna del nome.
Capire il debito, smontarlo, ribaltarlo
Il primo passo è guardare in faccia il mostro: l’origine e il perdurare del debito sanitario, quello che da oltre 15 anni tiene il Molise in ostaggio del commissariamento statale.
Quindici anni. E il debito è ancora lì, anzi cresce.
Di fronte a un fallimento così lungo e così evidente, sarebbe logico aprire un contenzioso con lo Stato, chiedendo che una gestione inefficace e prolungata non venga scaricata sui cittadini, ma su chi l’ha condotta.
Senza capire perché questo debito esiste ancora, parlare di riforme è come vendere aria fritta a prezzo pieno.

Organizzare i servizi in base alle esigenze reali (non alle clientele)
Una volta capito da dove arrivano i buchi, bisognerebbe fare ciò che qualunque sistema moderno farebbe:
– organizzare i servizi sanitari sulla base dei bisogni del territorio,
– superare campanilismi, equilibri elettorali e vecchie logiche di appartenenza,
– utilizzare dati reali per distribuire servizi, reparti, personale, risorse.
Servirebbe una contabilità analitica per centri di costo, capace di dire – in tempo reale – dove finiscono i fondi, come vengono spesi, chi produce valore e chi lo disperde.
E la forza lavoro dovrebbe essere distribuita in base ai carichi reali di attività, non per accontentare amici, parenti o bacini elettorali.
Sembra logico? Lo è. Sembra semplice? Lo sarebbe. Ma si scontra contro un macigno: gli interessi clientelari e il potere dei privati convenzionati.
Il destino scritto (ma non dichiarato)
Finché questi interessi resteranno a comandare, il destino è già scritto:
-
smantellamento progressivo della sanità pubblica,
-
privatizzazione crescente,
-
tutela di reti clientelari sempre più fitte,
-
generazione di fumo per non far capire nulla ai cittadini.
La popolazione vedrà un’unica realtà: liste d’attesa che si allungano, costi che aumentano, rinunce alle cure, spostamenti forzati fuori regione.
E nella narrazione ufficiale, mentre tutto crolla, qualcuno continuerà a ripetere che va tutto bene, che il sistema si sta “potenziando”, che la sanità “funziona”.
E così, nella favola storta della politica regionale, tutti vissero felici e contenti.






