Il contenuto che segue nasce da una lunga riflessione pubblicata dal professor Angelo d’Orsi in un video diffuso sui suoi profili social, in particolare su Facebook, nella giornata del 16 novembre 2025.
Un intervento lucido, articolato, a tratti amaro, che fa il punto sull’ormai noto “affaire d’Orsi”, sulle accuse ricevute, sul clima politico-mediatico che ha accompagnato la vicenda e sulla necessità, sempre più urgente, di costruire un movimento civile capace di contrastare censura, russofobia e deriva bellicista in Italia.
A partire da quel video nasce l’analisi che segue.
Nel cuore infuocato di questo novembre italiano, mentre la politica si avvita nel solito balletto di accuse e controaccuse, la voce del professor Angelo d’Orsi risuona come una staffilata: netta, intransigente, controcorrente. Una voce che non si lascia ridurre a caricatura, nonostante il tentativo insistito, e a tratti grottesco, di trasformarlo in un “cattivo maestro putiniano”, come si affannano a ripetere i soliti professionisti dell’indignazione.
L’affaire D’Orsi, com’è ormai chiaro, non è più un semplice episodio mediatico. È diventato un terreno di scontro politico e culturale che rivela la fragilità della libertà di pensiero nel nostro Paese. E lo rivela con una chiarezza persino imbarazzante.
Calenda, Picerno & co.: l’informazione come caricatura
Carlo Calenda, che ormai parla della Russia con la stessa profondità di un thread su X, salvo poi dichiararsi ammaliato dalla “grande cultura russa”, ha imboccato una deriva argomentativa che definire povera è un eufemismo. Per lui il mondo si divide tra “buoni” e “cattivi”, e i russi finiscono d’ufficio nel secondo blocco, senza appello.
Più raffinata, ma non meno infondata, la linea dell’europarlamentare Pina Picerno, che prima evoca il “putinismo” come un mantra, poi ridimensiona, poi ribadisce, poi invoca limiti costituzionali. Peccato che la Costituzione limiti solo il fascismo, non le opinioni sul conflitto russo-ucraino, né tantomeno la critica all’isteria russofoba montata in questi anni.
Lo scivolamento è evidente: non più censura, ma “non è opportuno farlo in un luogo pubblico”. Traduzione: puoi parlare, purché non ti senta nessuno.
La russofobia come stigma sociale
D’Orsi lo dice chiaramente: parlare di russofobia è diventato un tabù. L’ha provato anche ne “L’Aria che tira”, dove l’argomento è stato trattato come un UFO, nonostante esista da decenni una letteratura sterminata. Criticare la russofobia significa, per alcuni commentatori, diventare automaticamente “putiniani”.
Una semplificazione tossica, utile solo a zittire il dissenso.
Un tornante storico: la guerra avanza in silenzio
La parte forse più lucida – e inquietante – dell’intervento riguarda il contesto: non siamo davanti a una polemica accademica, ma a un tornante storico. La russofobia non è un capriccio culturale: è l’infrastruttura emotiva e mediatica con cui si prepara l’opinione pubblica all’idea di una guerra.
Una guerra alla Russia. Una guerra già teorizzata, evocata, sussurrata nei palazzi europei e nei think tank atlantici.
D’Orsi ricorda che l’Italia una guerra contro la Russia l’ha già fatta. E che finì “a carte quarantotto”.
Nasce un movimento: dalla censura alla piazza
Da qui la decisione: trasformare l’indignazione in movimento. Non una corrente nostalgica, non un club ideologico, ma un fronte civile che dica chiaramente:
-
basta censura,
-
basta russofobia,
-
basta incitamento alla guerra,
-
basta costruire nemici per giustificare politiche folli.
Il professore comincia il suo percorso da Pescara, poi L’Aquila, Roma e altre città. L’obiettivo è semplice e radicale: organizzare gruppi territoriali, costruire una rete, riportare al centro del dibattito una verità elementare:
La Russia non è il nemico del popolo italiano. Il nemico è la guerra.
WordNews.it al fianco del professor d’Orsi
La nostra testata, da sempre impegnata nella tutela della libertà di opinione e contro ogni forma di manipolazione o demonizzazione, ha già espresso pubblicamente la propria solidarietà al professor Angelo d’Orsi.
Oggi facciamo un passo in più. WordNews.it si mette a disposizione per collaborare alla costruzione del Manifesto proposto dal professore, convinti che la libertà di ricerca, di parola e di pensiero non siano optional, ma architravi della democrazia.
Non ci schieriamo “con” una geopolitica o “contro” un’altra. Ci schieriamo per la libertà di pensare, di criticare, di dissentire senza essere marchiati come traditori o emissari di potenze straniere.
E soprattutto ci schieriamo contro ogni deriva bellicista, spesso mascherata da moralismo umanitario.
Perché ora?
Perché il clima politico, sociale e mediatico italiano, come dimostra l’affaire d’Orsi, ha superato la soglia del tollerabile.
Perché la costruzione del nemico esterno è l’anticamera della sospensione del dissenso interno.
Perché chi prova a dire “la guerra è il problema, non la Russia” viene messo alla gogna.
E perché la storia ci insegna che è quando tutti tacciono che qualcuno deve parlare più forte.
Noi ci siamo. E da oggi lo ribadiamo chiaramente.
Il pensiero del direttore
In questo Paese, che troppo spesso confonde il dissenso con il tradimento e l’approfondimento con l’eresia, difendere la libertà di pensiero è diventato un atto rivoluzionario. L’affaire che ha coinvolto il professor Angelo d’Orsi non è soltanto l’ennesima pagina avvilente dello scontro politico-mediatico: è il sintomo di una malattia più profonda, una febbre che brucia la democrazia dall’interno.
Quando si tenta di impedire a un intellettuale di parlare, quando lo si etichetta, si deforma ciò che dice, lo si criminalizza perché non aderisce alla narrazione dominante, allora non siamo più nel campo della critica: siamo nella zona grigia della censura. E questa zona sta crescendo pericolosamente.
Noi di WordNews.it non accettiamo questa deriva. Non l’abbiamo mai accettata e non inizieremo certo oggi. Il professor d’Orsi ha tutto il diritto di analizzare, studiare, discutere fenomeni come la russofobia, di esprimere le sue idee, di criticare la follia bellicista che sta attraversando l’Europa. Chi tenta di impedirglielo non difende la democrazia: la umilia. La mutila.
La libertà non è un optional. Non è un favore. Ma è un diritto costituzionale. E proprio la Costituzione, che qualcuno cita senza conoscerla, stabilisce che le idee possono circolare, anche quando disturbano, anche quando smontano le narrazioni comode, anche quando costringono a pensare.
WordNews.it si schiera al fianco di chi difende questo principio. Per questo sosteniamo pubblicamente il professore e appoggiamo la sua proposta di costruire un movimento capace di dire, con chiarezza e senza paura: basta censura, basta demonizzazioni, basta russofobia, basta guerra.
Credo fermamente che il compito dell’informazione, quella vera, sia proprio questo: smontare i dogmi, proteggere la libertà e denunciare chi la minaccia. E continueremo a farlo, sempre, finché avremo voce.
Paolo De Chiara
Direttore di WordNews.it






