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Articolo 11: l’Italia ripudia la guerra. La pace non si discute e si difende a tutti i costi

La Costituzione ripudia la guerra: se aumentano le spese militari, a pagare saranno scuola e sanità. La pace si difende investendo nei diritti.

by Paolo De Chiara
20 Dicembre 2025
in Il "Moscone", la rubrica del Direttore
Reading Time: 15 mins read
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La Costituzione non è un soprammobile istituzionale. È una bussola. E l’articolo 11 non lascia spazio a comode interpretazioni: l’Italia “ripudia la guerra” come strumento di offesa e come mezzo per risolvere le controversie internazionali. Non la “limita”, non la “gestisce meglio”: la ripudia. Punto.

La pace non è un sentimento. È un obbligo. E in Italia ha un nome e un numero: articolo 11 della Costituzione Antifascista. Lì, proprio lì, sta scritto che la Repubblica ripudia la guerra. Ripudia: la respinge, la condanna, la mette fuori dalla porta. Una scelta di civiltà fatta dai nostri Padri costituenti.

Nel discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica richiama la pace “vera e giusta”, il primato del diritto sulla forza. Parole giuste. Ma oggi, fuori dalle sale eleganti e dalle strette di mano, c’è una pressione che cresce: la parola “sicurezza” viene tradotta in altro modo: più spesa militare, più armi.

Possiamo dire “pace” e intanto costruire un futuro che vive di riarmo?

La vera sicurezza non è militare: è sociale

La guerra non comincia quando partono i missili. Il conflitto comincia quando emergono le disuguaglianze, quando la rabbia si accumula. Per la sicurezza serve mettere, prima, in sicurezza le persone.

Scuola pubblica, sanità pubblica, lavoro dignitoso e salari veri, diritti e partecipazione. Questa è la difesa della Pace: uno Stato serio che non lascia indietro nessuno. Un Paese che regge socialmente è un Paese che regge anche nei momenti difficili.

Più armi non significa più pace: significa più abitudine alla guerra

Ci stiamo abituando. Questa è la strategia. Ci stanno abituando al linguaggio della guerra. All’idea che sia normale “prepararsi”. Spendere sempre di più in armi, alzare continuamente l’asticella.

Cosa sta succedendo? Il pazzoide aumento della spesa militare, da parte di pazzoidi rappresentanti delle Istituzioni, sta cancellando i diritti. La scelta è chiara e chirurgica: tagliare scuola, sanità, welfare, prevenzione, infrastrutture sociali. Stanno smontando la Pace pezzo per pezzo.

Difendere la Pace a tutti i costi non vuol dire chiudere gli occhi davanti ai conflitti. Vuol dire non accettare la bugia che ci stanno raccontando: armarsi di più. La Pace si difende con la diplomazia (non quella raccontata in questi anni), con la cooperazione, con le politiche energetiche intelligenti, con gli investimenti in istruzione e ricerca.

Questa è la “difesa” della Pace. Ci stanno trascinando nel baratro.

Il Presidente garante della Costituzione

Il Capo dello Stato è il garante della nostra Costituzione, nata con il sangue dei Partigiani e di tutti i combattenti per la libertà. E la Costituzione, con l’articolo 11, chiede di essere applicata.

Il richiamo alla Pace deve diventare una cosa concreta. Ognuno di noi dovrebbe scendere in piazza con una copia della Carta tra le mani per urlare PACE a squarciagola. La Pace non è debolezza. È coraggio.

È più facile comprare armi che costruire giustizia sociale. È più facile parlare di deterrenza che curare le crepe di un Paese. Se l’Italia vuole essere fedele alla propria Costituzione deve dirlo senza tremare: la pace viene prima.
Prima delle pressioni. Prima delle alleanze, Prima di tutto. A tutti i costi.


Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia per lo scambio di auguri di fine anno con i rappresentanti delle Istituzioni, delle forze politiche e della società civile

Palazzo del Quirinale, 19/12/2025

Ringrazio il Presidente del Senato per le sue considerazioni e per gli auguri che ricambio con la più grande cordialità a lui e a tutti quanti.

Rivolgo un saluto ai Presidenti della Camera, del Consiglio dei Ministri e della Corte Costituzionale, a tutti i presenti.

Questo tradizionale appuntamento di fine anno, con chi riveste ruoli di rilievo nelle istituzioni e con quanti ricoprono responsabilità nei diversi comparti della vita sociale, ci invita a volgere lo sguardo verso il futuro, cercando i motivi su cui fondare una speranza che non sia una mera espressione rituale.

La nostra comune speranza oggi ha il nome della pace. Una pace vera e giusta ovunque che ponga fine all’incertezza e al disorientamento indotti dalla attuale situazione internazionale.

Abbiamo il dovere di coltivare e consolidare ogni piccolo spiraglio che si apra rispetto ai conflitti in corso, in Ucraina come in Medioriente. Con l’obiettivo di costruire quella “pace permanente”, come la definì il presidente Franklin D. Roosevelt che affermava: “Più che una fine della guerra vogliamo una fine dei principi di tutte le guerre”.

Pace, quindi, come affermazione del diritto sulla forza delle armi. Pace come condizione di libertà e di sviluppo.

L’anno scorso si è celebrato l’ottantesimo anniversario dello sbarco in Normandia: erano presenti alcuni anziani reduci: nei loro volti e nei loro sguardi ho colto, insieme all’orgoglio, il significato profondo della parola pace.

Erano lì, con le loro storie, con il loro bagaglio di memoria, a testimoniare il sacrificio di migliaia di ragazzi venuti a morire in Europa, spesso lontanissimi dalle loro case, per costruire un tempo nuovo. Un tempo in cui la pace fosse premessa e condizione per affermare nella libertà una nuova civiltà.

Questa è la pace che l’Europa ha costruito coltivando la relazione transatlantica.

Questo patrimonio è irreversibile, perché acquisito nei sentimenti e nelle coscienze dei popoli, e va tutelato e consolidato, in ogni maniera.

Lo spazio dei diritti, degli uomini e delle donne, di scegliersi i propri rappresentanti, di controllare e di criticare, senza paura di conseguenze negative. Di poter leggere, scrivere, manifestare il pensiero, senza rischi di repressione o di censure preventive. Di assicurare pari condizioni per tutti, prescindendo dal sesso, dall’estrazione sociale, dalle convinzioni politiche, dal colore della pelle, dalla fede religiosa, liberi da razzismo e da risorgente antisemitismo. Di avere una giustizia indipendente. Di vedere assicurato, a tutti, livelli dignitosi di assistenza sanitaria gratuita, di previdenza, di sostegno nelle difficoltà.

Di tutto questo è stato veicolo il modello democratico, modello che oggi appare sfidato da Stati sempre più segnati da involuzioni autoritarie che, contro la storia, si propongono come modelli alternativi. 

Una sfida per i sistemi democratici appare oggi derivare anche dal tentativo di ignorare e cancellare il confine tra libertà e arbitrio.

La pretesa di rimuovere i limiti ai comportamenti individuali, unita alle potenzialità offerte dalle tecnologie, rischia di travolgere ordinamenti democratici e stato di diritto.

Si parla sovente dell’affermarsi di un nuovo potere che nasce dalla concentrazione in pochissime mani di enormi risorse finanziarie e tecnologiche, a detrimento del ruolo delle istituzioni che rappresentano i cittadini. Uno scenario che genera inquietudine, incertezza, allarme. Perché senza la mediazione della politica, senza la possibilità di composizione di interessi e tensioni divergenti le comunità si dividono. Le istituzioni si indeboliscono. Le democrazie inaridiscono. Le diseguaglianze crescono e viene smarrita persino l’idea di un destino comune.

La democrazia è più forte dei suoi nemici. Lo è soprattutto là dove è stata edificata con sacrificio. Là dove si è radicata nel consenso delle comunità, nelle convinzioni delle persone, nel pieno affermarsi dei diritti e dei doveri di cittadinanza.  

Nell’anno che si avvicina celebreremo gli 80 anni della Repubblica.

80 anni di democrazia, di sviluppo, di pace.

Quale insegnamento dobbiamo trarre da quel che abbiamo realizzato, raccogliendo quanto costruito dalle generazioni che ci hanno preceduto?

Il primo valore su cui porre l’accento ce lo consegna la parola “insieme”: la Repubblica ha vissuto e vive del contributo di ciascuno. Dell’impegno, della responsabilità, del sacrificio di ogni italiano. Della loro partecipazione.

Insieme è anche l’antidoto alla sfiducia verso il futuro. Insieme vuol dire popolo. Significa partecipazione alla vita collettiva.

È la radice di quella unità che la Costituzione pone a fondamento della Repubblica.

Partecipazione sembra parola desueta in un tempo caratterizzato da una crescente astensione elettorale. Alle ultime elezioni regionali ha votato meno del 45 per cento degli aventi diritto. Nelle precedenti tornate la percentuale era già in discesa e dobbiamo purtroppo constatare che questa tendenza prosegue.

Non ci si può stancare di ripeterlo: una democrazia di astenuti, di assenti, di rassegnati è una democrazia più fragile e a subirne danno sono i cittadini. Riflettere su questo fenomeno è un dovere di tutti, mentre talvolta si ha l’impressione che l’astensionismo sia una sorta di problema del giorno prima, come se, dopo, a contare fosse soltanto chi ha vinto e chi ha perso e tutto tornasse a essere normale.

Una società che non si preoccupasse quando la maggioranza assoluta degli elettori sceglie di non votare non si accorgerebbe che si riduce la sua solidità, che la sua politica rischia di esaurirsi nella autoreferenzialità.

Senza questa presa di coscienza si contribuirebbe, involontariamente, ad alimentare la disaffezione, il senso di estraneità alla vita delle istituzioni. Spezzare questo circolo vizioso è interesse di tutti, perché è un’ampia, consapevole partecipazione a conferire una forte legittimazione.  

Soprattutto dovremmo riflettere sulle ragioni che inducono gli elettori più giovani a disertare le urne. Spesso non si tratta di un generico rifiuto della politica. Al contrario, una parte significativa del mondo giovanile mostra ampia, preziosa propensione all’impegno civile, alla mobilitazione sui grandi temi del nostro tempo, dalla pace all’ambiente, al volontariato, alla vita associativa. Ma tanti decidono di non votare. Indagando sulle cause di questo rifiuto, approfondendo le ragioni di questa diffidenza potremmo forse comprendere come fare emergere più ampia partecipazione.

Il pluralismo delle idee, la dialettica tra opinioni diverse, il confronto tra posizioni culturali anche molto distanti sono indispensabili alla democrazia. Ma quando le sbrigative categorie amico/nemico prevalgono sulla fatica di trovare risposte condivise nell’interesse collettivo, quando si producono fratture che dividono le nostre società si alimentano i germi della estraneità alla politica.

Sul piano economico l’anno che si conclude ci ha consegnato alcuni risultati positivi.

L’occupazione ha avuto una fase di crescita e mostra tenuta, nonostante il prodotto interno si muova con lentezza, come avviene a livello europeo.

I conti pubblici sono tenuti dal Governo sotto un prudente controllo, e questo ha contribuito a determinare un forte raffreddamento dello spread e un importante apprezzamento delle agenzie internazionali.

L’affidabilità del Paese è un valore preservato e da preservare. Nell’interesse dei cittadini, delle imprese, dei risparmiatori. E tanto più è prezioso questo valore quanto più alto è il carico del debito pubblico.

Nonostante il rallentamento della produzione industriale l’esportazione delle nostre aziende continua a vedere l’Italia sempre più ai primi posti nel mercato mondiale, a conferma di quanto, per la nostra economia, sia sempre vantaggiosa la reciproca apertura dei mercati.

A questi dati rassicuranti, e alle potenzialità che esprimono, si affiancano problemi e questioni aperte.

Oltre a quella indicata dal Presidente del Senato sulla sicurezza sul lavoro, non si può ignorare la condizione di oltre cinque milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà.

Se l’occupazione degli over 50 ha raggiunto livelli alti, ed è confortante, il lavoro delle donne è ancora sotto la media europea e l’occupazione dei giovani si registra insufficiente.

Abbiamo il problema, annoso e pesante, del valore reale delle retribuzioni. Soprattutto, non da ora, di quelle di primo ingresso nel mondo del lavoro.

È legittimo e necessario che ogni forza politica abbia la sua agenda, le sue priorità, una sua visione della realtà e delle dinamiche che la muovono.

Ma oltre al confronto e alla fisiologica dialettica deve esserci anche la   condivisione di alcuni obiettivi fondamentali su cui lavorare insieme per assicurare il bene dell’Italia.

Ci sono alcuni grandi temi della vita nazionale che vanno oltre l’orizzonte delle legislature, e attraversano le eventuali alternanze tra maggioranze di governo. Temi che richiedono programmi a lungo termine, investimenti di risorse ingenti, impegni e sacrifici che riguarderanno le generazioni che verranno. Questioni strategiche che definiscono per il loro contenuto il futuro della nostra Repubblica.

Il tema della politica internazionale, delle alleanze, della scelta dell’Europa come strada da percorrere senza ripensamenti. E questo non soltanto per gli impegni che abbiamo assunto con l’adesione ai Trattati.

Sappiamo bene che l’Unione ha alcuni problemi e molti avversari.

Soltanto l’Europa può preservare, e dare un futuro, a quelle conquiste che gli Stati hanno garantito per decenni con i loro ordinamenti. Sempre più numerosi sono i grandi problemi di questo nostro tempo che non possono essere governati, risolti dalla dimensione del singolo stato.

Neppure il più ricco, il più grande, il più forte militarmente tra i Paesi europei può avere la capacità, o la presunzione – di fare da solo in questo mondo che cambia.

Richiede uno sforzo convergente anche la definizione compiuta di una strategia di sicurezza nazionale, in un tempo in cui siamo costretti a difenderci da nuovi rischi che, senza infondati allarmismi, sono concreti e attuali.

La spesa per dotarsi di efficaci strumenti che garantiscano la sicurezza collettiva è sempre stata comprensibilmente poco popolare. Anche quando, come in questo caso, si perseguono finalità di tutela della sicurezza e della pace, nel quadro di una politica rispettosa del diritto internazionale.

E tuttavia, poche volte come ora, è necessario. Anche per dare il nostro decisivo contributo alla realizzazione della difesa comune europea, strumento di deterrenza contro le guerre e, insieme, salvaguardia dello spazio condiviso di libertà e di benessere.

Sicurezza nazionale e sicurezza europea sono oggi indivisibili, qualunque sia la prospettiva con la quale affrontiamo il tema della protezione della libertà e dello sviluppo delle nostre società.

Richiede comune responsabilità una politica energetica che assicuri autonomia strategica. Su questo piano molto è stato fatto. Il futuro richiederà impegni ulteriori sia nell’approvvigionamento, sia nella diversificazione delle fonti, ferme restando le ineludibili esigenze di transizione ecologica. Soprattutto considerando la crescente domanda di energia, dovuta anche all’impatto delle nuove tecnologie e alle altissime esigenze energetiche dei sistemi di intelligenza artificiale.

Un settore dove l’Europa sembra essere rimasta indietro e potrebbe invece aspirare a un ruolo autonomo è proprio quello dell’intelligenza artificiale. I Paesi dell’Unione dispongono, insieme, delle risorse necessarie per realizzare un modello di intelligenza artificiale originale, trasparente, sicuro, attento ai diritti, finalizzato a sviluppare i settori di eccellenza che in Europa e in Italia non mancano.

Allo stesso modo si potrebbero ricordare i piani necessari all’ammodernamento della rete di infrastrutture, dalle comunicazioni alla mobilità. A quel che è necessario fare per rendere finalmente adeguata la rete idrica nazionale.

Vorrei inoltre richiamare l’attenzione sulla questione demografica, con la crescente flessione della natalità. Si tratta di un problema dalle grandi ricadute sociali, i cui effetti, già oggi visibili, aumenteranno nel medio e nel lungo periodo. Problema acuito dal fenomeno in aumento dell’abbandono di tante nostre ragazze e tanti nostri ragazzi – solo nell’ultimo anno un numero molto grande e preoccupante – che scelgono di costruire il loro futuro fuori dall’Italia.

Si tratta, come è evidente, di grandi questioni che toccano complessivamente l’interesse nazionale, sulle quali è auspicabile uno sforzo comune per individuare elementi di convergenza, trovando il modo di coinvolgere le migliori energie del Paese.

Possiamo farlo, sappiamo farlo, come abbiamo dimostrato impegnando proficuamente le risorse messe a disposizione dall’Europa con il Next generation e con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un risultato importante realizzato anche grazie all’impegno dei diversi governi che si sono succeduti.

Ho fatto riferimento alla partecipazione come elemento vitale che anima la vita della nostra Repubblica. È prezioso il contributo di ognuno alla comunità di cui fa parte.

La partecipazione è fatta anche di domande, di risposte, di confronto, di fiducia nei confronti delle istituzioni.

A chi è chiamato a rappresentare le istituzioni, a dare loro un volto e una voce, a chi ha l’onore di servirle è chiesto di corrispondere a queste attese e a questa fiducia.

La fiducia dei cittadini è la risorsa più preziosa per lo Stato.  Su di essa si basa il patto costituzionale della nostra convivenza.

Anche per questo desidero esprimere il ringraziamento della Repubblica alle donne e agli uomini che ogni giorno svolgono il loro dovere con competenza, abnegazione, onestà, dignità e onore in ogni settore della vita pubblica.

Abbiamo corpi e strutture amministrative di vera eccellenza, che rappresentano un patrimonio di alto valore e che operano, in stragrande maggioranza, come prescrive la Costituzione, garantendo indipendenza, imparzialità, buon andamento del funzionamento degli uffici, nello Stato, nelle Regioni, nelle Province, nei Comuni, in ogni amministrazione; non per fedeltà all’uno o all’altro ma per lealtà alla Repubblica e alle sue istituzioni.

Grazie, quindi, a chi lavora nelle pubbliche amministrazioni al servizio dei nostri concittadini.

A chi insegna e a chi opera, dedicandovi la vita, nella scuola e nell’Università.

A coloro che, agenti della Polizia penitenziaria, operatori e volontari, negli istituti carcerari si preoccupano del reinserimento di chi vi è recluso.

Ai medici, agli infermieri, ai ricercatori che con passione e dedizione si prendono cura di chi soffre a causa di una malattia.

A chi, con il lavoro di giornalista, garantisce libertà e pluralismo dell’informazione.

Ai nostri militari che si impegnano con professionalità e sacrificio, in patria e all’estero, per assicurare pace e sicurezza.

Alle forze dell’ordine che tutelano la nostra serena convivenza.

A chi adempie il suo mandato elettivo con lo sguardo rivolto non alle successive elezioni ma all’orizzonte del bene comune dell’Italia.

A tutte e a tutti l’augurio più sincero di buone festività.

Buon Natale e buon 2026.

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Paolo De Chiara

FONDATORE e DIRETTORE WordNews.it - direttore@wordnews.it Giornalista Professionista, iscritto all’OdG Molise. Scrittore e sceneggiatore italiano. È nato a Isernia, nel 1979. In Molise ha lavorato con gran parte degli organi di informazione (carta stampata e televisione), dirigendo riviste periodiche di informazione, cultura e politica. Si dedica con passione, a livello nazionale, alla diffusione della Cultura della Legalità all’interno delle scuole. LIBRI: - Nel 2012 ha pubblicato «Il Coraggio di dire No. Lea Garofalo, la donna che sfidò la ‘ndrangheta» (Falco Ed., Cosenza); - nel 2013 «Il Veleno del Molise. Trent’anni di omertà sui rifiuti tossici» (Falco Ed., Cosenza, vincitore del Premio Nazionale di Giornalismo ‘Ilaria Rambaldi’ 2014); - nel 2014 «Testimoni di Giustizia. Uomini e donne che hanno sfidato le mafie» (Perrone Ed., Roma); - nel 2018 «Il Coraggio di dire No. Lea Garofalo, la donna che sfidò la schifosa 'ndrangheta» (nuova versione aggiornata, Treditre Ed.); - nel 2019 «Io ho denunciato. La drammatica vicenda di un testimone di giustizia italiano» (Romanzi Italiani, finalista del Premio Internazionale “Michelangelo Buonarrori”, 2019). Dal romanzo «Io ho denunciato», nel settembre del 2019, è stato tratto un corto e un medio-metraggio (CinemaSet, vincitore Premio Legalità, Fiumicino 2019). È autore del soggetto e della sceneggiatura del corto e del medio-metraggio «Io ho denunciato. La drammatica vicenda di un testimone di giustizia italiano», 2019 (Premio Starlight international Cinema Award, 77^ Mostra del Cinema di Venezia, settembre 2020). - nel 2022 «UNA FIMMINA CALABRESE» (Bonfirraro Editore). - nel 2023 «UNA VITA CONTRO LA CAMORRA» (Bonfirraro Editore). - Ha collaborato con CANAL+ per la realizzazione del documentario Mafia: la trahison des femmes, Speciàl Investigation (MagnetoPresse). Il documentario è andato in onda in Francia nel gennaio del 2014. Premio "Giorgio Mazzanti", San Salvo, 31 luglio 2025. Premio giornalistico letterario "Piersanti Mattarella", Roma, 30 novembre 2024. Premio Adriatico, «Un mare che unisce», Giornalista molisano dell’anno, Guardiagrele (Chieti), dicembre 2019. Premio Valarioti-Impastato, Rosarno (RC), maggio 2022. Premio Carlo Alberto Dalla Chiesa, San Pietro Apostolo (Catanzaro), agosto 2022. FONDATORE e PRESIDENTE di Dioghenes APS - Associazione Antimafie e Antiusura (dioghenesaps.it) - Ideatore, nel 2022, del Premio nazionale Lea Garofalo (giunto alla IV edizione). - Ideatore, nel 2025, del Premio nazionale Letterario e Giornalistico Pier Paolo Pasolini - www.dioghenesaps.com -- paolodechiara.blog

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