2001-2025. Ventiquattro anni dopo. Un indegno ministro della Repubblica italiana ribadisce il terribile concetto: “Dobbiamo convivere” con le mafie. Alla faccia dei morti, del sangue, delle bombe, dei legami tra mafie e sTato. Un colpo di spugna per dire: “Basta, cancelliamo tutto. I morti ammazzati non contano per noi”. Ecco, lo avevamo ribadito in passato. In diverse occasioni. A questi soggetti non frega nulla delle stragi, della Verità, della Giustizia. Delle bombe di sTato, delle complicità, del sangue degli innocenti.
Per loro è solo una perdita di tempo. Il 23 maggio, il 19 luglio e tutti gli altri giorni in cui uomini perbene sono stati massacrati sono fastidiosi appuntamenti. Pensano (per modo di dire) solo ad intitolare aeroporti e ponti a chi le mafie le pagava da Presidente del Consiglio dei Ministri.
Le parole contano, poco caro Ministro. Dire “dobbiamo convivere” con la mafia è una dichiarazione politica. Normalizza il nemico, lo trasforma da emergenza democratica a fastidio. E le mafie vivono di questo: dell’idea che tanto “c’è sempre stata e sempre ci sarà”, che non vale la pena combatterla fino in fondo, che si può continuare a fare affari e opere pubbliche anche se il prezzo è l’infiltrazione.
È accaduto di nuovo. Antonio Tajani, (proprio quello del diritto internazionale che “conta fino a un certo punto”), addirittura ministro degli Esteri, parlando del Ponte sullo Stretto e del rischio mafioso, ha usato il verbo più tossico: “convivere”. Una scena già vista. Nell’agosto del 2001 l’allora ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi parlò di “convivenza” con mafia e camorra. Anche allora il contesto erano le opere pubbliche da realizzare. Oggi la storia si ripete con una coincidenza che non è irrilevante: stessa area politica, stessa cultura di governo. Da Lunardi a Tajani, il centrodestra inciampa nello stesso punto. Sarà un caso?
Non è accettabile. La Repubblica non può convivere con chi la consuma. Il vero Stato (questa volta con la “S” maiuscola) non convive con chi ammazza, con chi mette le bombe, con chi compie stragi, compra amministrazioni, inquina mercati, altera gare, intimidisce, crea il consenso con la paura e con i soldi. “Convivere”, cari indegni ministri, è un verbo che cancella le responsabilità. Un termine a voi sconosciuto.
Voi parlate con frasi da bar. Non siete in grado di governare un Paese. Siete la vergogna per questo Paese. Chi dice che con la mafia bisogna convivere non può restare al governo a rappresentare lo Stato. La mafia non è destino, è un maledetto potere criminale. Non si convive: si combatte. Fino alla fine, con il coltello tra i denti. E chi predica la convivenza deve assumersene la responsabilità fino in fondo, a partire dalle dimissioni.
Parole sprecate per questa gentaglia. Hanno sempre sostenuto (e continuano a farlo) un personaggio che si chiama Silvio Berlusconi, che “versava centinaia di milioni nelle casse di Cosa nostra”.
Siete complici. Oggi quel partito, fondato da un condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, è parte integrante dell’attuale Governo di centro-destra. Lo stesso partito, fondato da Marcello Dell’Utri, ha governato questo Paese per 20 anni. “Dell’Utri mise in contatto l’imprenditore Berlusconi con Gaetano Cinà e Stefano Bontate, capi del mandamento di Santa Maria di Gesù, i quali si impegnarono a garantire la protezione delle persone e delle attività economiche in cambio di somme di denaro periodiche”. Questo dice una sentenza della Cassazione del 2014.
“Dell’Utri ha fornito un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario al rafforzamento dell’organizzazione mafiosa, fungendo da intermediario fiduciario tra i vertici di Cosa Nostra e l’imprenditore Berlusconi”, 9 maggio 2014, Cassazione (Sez. VI Penale).
“Dell’Utri garantì la protezione mafiosa di Berlusconi e rafforzò Cosa Nostra”.
(Cassazione penale, 2014)
“Le relazioni con Cosa Nostra furono stabili e di lunga durata”.
(Cassazione Sezioni Unite, 2021)
“I versamenti a Cosa Nostra da parte di uomini Fininvest sono fondati su atti processuali”.
(Cassazione civile, 2021)
Evitatele le commemorazioni (utilizzate per la sporca coscienza), le inutili parole di circostanza, toglietela la teca con la borsa bruciata (dalla Strage di sTato) di Paolo Borsellino nei luoghi dove sono stati pianificati gli accordi indicibili. Non siete degni nemmeno di nominarli.
Siamo arrivati al punto che anche un magistrato, Procura di Brescia, in un convegno pubblico, davanti agli studenti, afferma che “Cosa nostra è stata sconfitta. E lo Stato ha vinto”. Cazzate su cazzate.
Ma ci sarà sempre qualcuno che vi ricorderà che il sangue degli innocenti non potrà essere cancellato dalle vostre lunghe e inutili lingue.
Berlusconi, Dell’Utri e la verità che non si cancella: le tre sentenze che smentiscono la propaganda





