Sono sempre più convinto che il prologo di un “racconto monografico” ( o addirittura la sua centralità ) non possa ignorare quell’inventario di note biografiche che assai spesso accompagnano – talvolta perfino stancamente – la storia di un autore. Ovvero quell’archivio – che poi si fa bibliografia tediosa – di appunti, di date, di citazioni che comunque celano resoconti e indizi di necessaria veridicità. Per i propri percorsi temporali, per le dinamiche di taluni confronti, per l’inappuntabile autenticità di ciò che è accaduto o accade attorno alla sua figura. Scrivendo in questo caso di Nino Barone e sfogliando il suo ricco profilo mi imbatto in un appunto di straordinario rigore che a ben vedere può definirsi il “sunto” – la sostanza – del suo fare pittura, o meglio ancora, del suo essere artista.
“Documentarista delle trasformazioni ambientali definisce, con segni sintetici nelle sue opere pittoriche le variazioni culturali e comportamentali del territorio molisano” così leggo di un fiato. E se non fosse per quell’arginante riferimento finale ad una territorialità pertinente, direi che questo promemoria spiccio racconta, più di cento elargizioni critiche, la sua storia.
Ora, il confronto va fatalmente indirizzato – o concentrato – su un piano visivo e concettuale, ovvero va riscontrata l’attendibilità di una speculazione sottoponendo questa alla “riflessione dello sguardo”; a quella dimensione estesa (mentale, immaginifica, disciplinata, emozionale) che poniamo in essere dinanzi ad un’opera, alla sua percettibile essenza. Ma c’è di più.
Nino Barone è anche architetto e pare quasi naturale che gli “indizi” di una formazione – la sua – siano repertorio ulteriore della narrazione. Senza soprusi o predominanze bensì con la necessità e la naturalezza di mettere in campo una visione più determinata, rilevata, propria, privando invero il racconto di quella “immediatezza” che è, in altri presupposti espressivi, la ragione dinamica e narrativa dell’opera.
Direi allora che il “lavoro teorico” che Nino Barone porta in dote alla cosiddetta economia dell’opera è di per sé centralità della stessa; ovvero, parafrasando Achille Bonito Oliva, “un gesto elettivo di scelta” capace a priori – come prologo dell’intervento – di segnare il contenuto della narrazione.
Nino Barone sembra “mutuare” la fenomenologia ambientale del suo territorio per farne cronaca espressiva e per suggerire, con dinamiche cromatiche assai personali, una dimensione che non è soltanto fruibile visivamente, ma che si fa presupposto utopico, animato, sfruttabile.
Ecco allora che il processo creativo vive una molteplice e implicante identità: da un lato il riferimento marcato al senso di una appartenenza etnica, storica, umorale, da cui attingere “avvertimenti ideali”; dall’altro restituendo proprio a quella dimensione originaria – e pertanto alla sua terra – quanto faticosamente rielaborato, ideato, immaginato.
Come se il suo “luogo” si alimentasse ciclicamente delle immaginifiche alterazioni che Nino Barone espropria ed offre, porge e saccheggia in una inesauribile successione: di sguardi, di gesti, di tracce, di amore.
Ecco allora nascere, negli anni, una sorta di mappatura meticolosa fatta di presagi geometrici, di campiture tonali, di attraversamenti lunari quasi a ridefinire un “paesaggio ipotetico” che è di per sé alveo auspicabile, terapia del vivere (e non sopravvivenza), censimento di bellezza.
Lo strumento è il segno, o meglio una sorta di direttrice spaziale capace di indicare rotte rigorose, essenziali, perfino profetiche; che in fondo sono attraversamenti della memoria continuamente riabilitata come fenomeno di conoscenza, di percezione, di inesauribile richiamo. Una forma di “energia rinnovabile e rigeneratrice” la memoria. Da cui procurarsi il sostentamento per creare l’altrove utopico ovvero il luogo dell’ascolto, della considerazione, del riverbero che sfama lo sguardo. E il nostro tempo a venire.
Vive a Termoli, dove è nato nel 1955. E' laureato in Architettura. La sua attività pittorica si sviluppa nella sperimentazione di linguaggi artistici storicamente riconosciuti e riconoscibili, ricercando i cambiamenti sociali e urbanistici del territorio dell’Italia centrale. Documentarista delle trasformazioni ambientali definisce, con segni sintetici nelle sue opere pittoriche le variazioni culturali e comportamentali del territorio molisano. Al suo attivo annovera la partecipazione a più di cento mostre in Italia e all'estero. Nel 2008 gli viene assegnato il primo premio al LIII° Premio Termoli. Tra le ultime mostre personali ricordiamo quelle del 2011 allo “Spazio Juliet” di Trieste, nel 2012 alla “Galleria l’Aratro” dell’Università del Molise a Campobasso, nel 2014 alla “Sala Celeste” di Bologna. Nel 2016 partecipa all’evento collatereale alla Biennale di Architettura di Venezia “Without Land/ Senza Terra. Nel 1976 fonda il "Gruppo Solare”. Nel 1980 apre il " Laboratorio Sperimentale di Pittura Immaginista" per ragazzi. Nel 1985 fonda "il Gruppo di Orientamento". "Nel '98 è socio fondatore del movimento "Archetyp'Art. Nel '99 pubblica il libro "Il Gruppo Solare" con presentazione di J. Nigro Covre. Dal 2005 ad oggi coordina con Giuseppe Siano ed altri il Convegno della Nuova Critica d’Arte Italiana “Tracker Art”. Nel 2007 apre a l'“Officina Solare” dirigendone fino al 2014 il centro studi e la galleria d'arte contemporanea. Sue opere figurano in gallerie, collezioni private in Italia e all’Estero. Della sua attività hanno scritto: Jolanda Covre, Luciano Caramel, Lorenzo, Canova, Francesco Gallo, Patrizia Ferri, Giuseppe Siano, Roberto Vidali, Tommaso Evangelista, Hugo Orlando, Filippo Massari, Achille Pace, Antonio Picariello, Lia De Venere, Alessandro Masi, Lucia Spadano, Massimo Bignardi, Maurizio Vitiello, Rino Cardone, Antonio Gasbarrini, Leo Strozzieri, Teresa Zambrotta, Valerio Dehò, Gino Marotta, Antonello Rubini, Piernicola Maria Di Iorio.
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2020-06-05 12:18:15
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