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Trattativa Stato-mafia, per la Procura Riggio è credibile

by Serena Verrecchia
1 Giugno 2021
in Speciale Trattative
Reading Time: 12 mins read
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Il sostituto procuratore generale Giuseppe Fici, nell'udienza del 31 maggio interamente dedicata alla prosecuzione della sua requisitoria, ha passato in rassegna il contributo dichiarativo dell'ex guardia carceraria Pietro Riggio e l'esame del giudicato assolutorio nei confronti di Calogero Mannino, assolto in via definitiva col rito abbreviato.

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“Una ricostruzione non breve” quella che ha riguardato l'ingente mole di dichiarazioni rese da Pietro Riggio, dichiarazioni che vengono valutate da più Procure in merito a diverse gravissime vicende. Il coordinamento con le Procure di Firenze e Caltanissetta “non è un capriccio o un vezzo, ma un dovere del pubblico ministero”.
L'esame del contributo dichiarativo verte su quattro aspetti: perché è stato escusso Riggio in questo giudizio di Appello, chi è Pietro Riggio, cosa ha riferito e cosa delle sue dichiarazioni ha trovato riscontro e, infine, le conclusioni che se ne possono trarre, tenendo conto anche di alcune criticità che vanno messe in rilievo.

 Ebbene, le parole di Riggio hanno destato l'attenzione dell'accusa per le circostanze relative al tentativo di pervenire alla cattura – avvenuta solo dopo un decennio – di Bernardo Provenzano. Circostanze che rimandano ai fatti di Mezzojuso e alla mancata perquisizione del covo di Riina al momento del suo arresto, vicende per le quali alcuni odierni imputati sono stati precedentemente assolti, ma che “non costituiscono un tabù”, perché si possono valutare anche fatti per cui sono intervenute sentenze assolutorie. 

Pietro Riggio era un agente della polizia penitenziaria, rimasto coinvolto nell'operazione Grande Oriente per una soffiata fatta al cugino acquisito Carmelo Barbieri. Finito in carcere nel 1998 a Santa Maria Capua Vetere, nel 1999 si lascia coinvolgere in una task force ideata per catturare il super latitante Provenzano, con l'intenzione di collaborare per farsi reintegrare nella polizia. L'8 luglio del 1999, trasferito alla DIA di Roma, incontra il colonnello Pellegrini insieme al famigeratozio Tony, l'Antonio Mazzei di cui si è parlato anche durante l'esame testimoniale degli ufficiali Pellegrini e Tersigni.
Tornato a Caltanissetta, inizia ad addentrarsi negli ambienti mafiosi e a collaborare proprio con Pellegrini e Tersigni come “fonte Ugo”. Nel 2004 viene nuovamente arrestato per estorsione e associazione mafiosa e poi scarcerato nel 2008. Dopo qualche settimana, viene nuovamente arrestato per altre estorsioni commesse nello stesso periodo e decide di avviare la collaborazione con i magistrati. È qui che il procuratore Fici si chiede “perché Riggio non dice nulla della collaborazione con la Dia? E perché dalla Dia non hanno detto nulla?”. 

Sulla storia del rapporto confidenziale col colonnello Pellegrini, “Riggio deve essere creduto se è vero, com’è vero, che è provato al di là di ogni ragionevole dubbio che è stato ingaggiato da organi dello Stato per infiltrarsi all’interno di Cosa nostra della provincia di Caltanissetta. Deve essere creduto, se è vero com’è vero, che è provato al di là di ogni ragionevole dubbio che ha fornito per almeno tre anni utilissime informazioni. Deve essere creduto, se è vero com’è vero, che è provato al di là di ogni ragionevole dubbio che è stato poi abbandonato al suo destino, o meglio ad un destino che doveva essere diametralmente diverso perché il suo inserimento nelle dinamiche mafiose della provincia di Caltanissetta era stato concordato con Tersigni, Pellegrini e Ferrazzano e quindi nei suoi confronti è stata redatta una informativa calunniosa e falsa per omissione e comunicazione di notizie di reato da parte del Ros di Caltanissetta". 

Per la Procura, nelle dichiarazioni di Pellegrini e Tersigni rese alla Corte ci sono gravi elementi di criticità, al punto che su alcune ricostruzioni le parole dei testimoni “non sono credibili”, e in alcuni casi risultano essere addirittura “illogiche”. Pellegrini avrebbe tergiversato sul suo rapporto confidenziale con la fonte Napoli, Antonino Mazzei, che aveva riferito di aver incontrato in “maniera casuale”. 

Perché ci sono state reticenze così evidenti di Pellegrini su questo personaggio che sembra “si muova nel sottobosco dei servizi segreti”?

E ancora: il vuoto documentale sugli inizi del rapporto di collaborazione di Riggio con la Dia non è stato giustificato in alcun modo, così come la circostanza che il maggiore Tersigni, subentrato in un secondo momento al colonnello Pellegrini nella gestione della fonte Ugo, non sia stato messo al corrente dal superiore sullo stato del rapporto né su altri particolari della collaborazione, risulta poco credibile. 

“Certamente va registrata la tendenza del Riggio a valorizzare al massimo le confidenze da altri ricevute” – come quelle di Vincenzo Ferrara, che gli avrebbe rivelato che fu Marcello Dell'Utri a indicare a Cosa nostra gli obiettivi delle stragi sul continente – “inserendole in un contesto unitario che ha certamente una sua fonte di plausibilità e che è frutto di ventennali sofferte riflessioni del Riggio medesimo. Riggio, in altri termini, pare alla ricerca di una spiegazione di buonsenso alla sventurata vicenda che lo vede protagonista per tali motivi e le sintesi valutative del Riggio, a prescindere o meno dalla loro condivisibilità, vanno maneggiate con cautela nella misura in cui, i fatti circostanziati da cui le stesse muovono, possono aver subito una deformazione mnemonica da parte del dichiarante”.

È per questa ragione che “il narrato di Riggio deve essere valutato con cautela sicuramente, ma anche con rispetto, non soltanto del dichiarante, nei cui confronti sono stati commessi senza alcun dubbio torti difficilmente giustificabili, ma anche con rispetto alla verità storica dei fatti. Detto in altri termini, non sarebbe corretto, e neppure conforme a verità e giustizia, mettere da parte tutte le dichiarazioni del Riggio solo perché il dichiarante ha mostrato fin troppa partecipazione emotiva nella ricostruzione complessiva degli avvenimenti. Per altro verso, è invece doveroso, e conforme alle regole processuali, tener conto in questa sede processuale del complesso racconto del Riggio limitatamente al suo ruolo di confidente del centro operativo della DIA di Palermo, un ruolo di confidente finalizzato alla cattura del latitante Bernardo Provenzano”. Un narrato che “non può essere spazzato via solo perché in altre parti le sue dichiarazioni risultano indebolite da un accesso di rivendicazione emotiva”. 

Ma la domanda è: se Riggio non mente, mentono gli ufficiali della Dia?

 

SENTENZA MANNINO

Il Procuratore ha poi proseguito con l'esame del giudicato assolutorio nei confronti dell'onorevole Calogero Mannino, assolto dalla Cassazione dopo aver scelto il rito abbreviato. Per Fici “non c'è nessun automatismo”, ma “abbiamo la necessità processuale di rileggere, in questo caso criticamente, quella sentenza mettendo in risalto ciò che a noi non convince”. Secondo la Procura, “le motivazioni del giudice di primo grado del processo Mannino sono approssimative e confuse anche nella ricostruzione del percorso argomentativo dell'accusa, mentre quelle dell'Appello sembrano più che altro incentrate a enfatizzare ogni possibile criticità, a volte con evidente travisamento dei fatti”.

Calogero Mannino sarebbe stato, dopo Salvo Lima, l'obiettivo numero uno di Cosa nostra nella lista dei politici traditori. Nel processo non sono state acquisite le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Onorato, che ha raccontato come sia Mannino che Lima fossero stati convocati alla Perla del Golfo e condannati a morte dalla mafia. L'onorevole Mannino, comprensibilmente scosso, si sarebbe allora rivolto al maresciallo Guazzelli– poi morto ammazzato -, al generale Subranni e a Bruno Contrada, affinché si attivassero per garantirgli protezione contro la sentenza di morte emanata da Cosa nostra nei suoi confronti.
L'accusa ha depositato una 
memoria sull'argomento, nella quale si chiariscono meglio i singoli fatti. 

Dopo quasi quattro ore di requisitoria, il procuratore Fici ha rimandato a lunedì 7 giugno l'ultima parte della sua discussione.

LA LETTERA CONTRO REPORT

Al termine dell'udienza, i legali di Mori e Subranni hanno fatto presente di aver indirizzato una lettera al Quirinale, alla Rai, alla Commissione Antimafia e al Ministro della Giustizia per attaccare la trasmissione Report che, a detta loro, starebbe portando avanti un “importante tentativo di condizionamento dell’opinione pubblica, che viene realizzato anche attraverso interviste rilasciate dai magistrati inquirenti rappresentanti l’accusa nel processo del quale si sta svolgendo il secondo grado, i quali continuano a propinare le proprie ipotesi, peraltro smentite da documenti a loro conoscenza che non vengono mai menzionati, come si dimostrerà nella memoria allegata”. 
La replica di 
Sigfrido Ranucci è stata netta: “viene scambiato quello che è un diritto dovere di informare come un’interferenza: Report ha più volte chiesto, senza esito, al generale Mori e ai suoi legali di fornire la loro versione sui fatti. C’è da più parti la volontà di non parlare di fattiche hanno riguardato la storia del nostro Paese e sui quali, al di là delle singole posizioni, si è lontani dalla verità. Con tutto il rispetto delle posizioni, ci viene attribuita una capacità di influenzare giudici indipendenti che non corrisponde alla realtà”.

WORDNEWS.IT © Riproduzione vietata

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