In questa torrida e lunga estate 2022 accade un fatto di straordinaria gravità, un macigno cade sulle nostre teste. Ma tra il caldo, le zanzare e una surreale campagna elettorale appena cominciata, quasi nessuno se ne accorge. Di cosa parliamo?
Delle motivazioni della sentenza di Appello al processo sulla Trattativa Stato Mafia, uscite a seguito del dispositivo con il quale a settembre i giudici hanno assolto i Carabinieri Subranni, De Donno e Mori e l’ex senatore di Forza Italia Dell’Utri, dal reato di “violenza e minaccia a corpo politico dello Stato” perchè, scrivono i giudici d’appello, il fatto non costituisce reato nel caso dei tre uomini in divisa, mentre per il braccio destro di Berlusconi “assolto per non aver commesso il fatto”.
Condannati invece gli appartenenti a Cosa Nostra. Se in primo grado i tre carabinieri, all’epoca dei fatti ai vertici dei Ros, erano stati condannati ad una pena molto elevata, la sentenza di appello riconosce la trattativa, ma secondo i giudici sarebbe stata posta in essere per avviare un dialogo con la mafia al fine di far cessare le stragi del '92: un dialogo per salvaguardare il paese quindi e tutelare il più alto interesse nazionale.
Vito Ciancimino era l’uomo ponte tra uomini dello Stato e vertici mafiosi. Spiega il magistrato Roberto Scarpinato: “(…) le condotte poste in essere per ripristinare con la componente più “moderata” di Cosa Nostra, capeggiata da Provenzano, il patto di coesistenza pacifica con lo Stato che aveva caratterizzato tutta la storia della prima Repubblica e che i vertici mafiosi ritennero tradito con le condanne definitive del maxiprocesso. Tuttavia-continua Scarpinato- la Corte non ha ritenuto sussistente la componente soggettiva del reato, cioè il dolo, perché tali condotte sarebbero state motivate da intenti “solidaristici”, cioè dall’intento di evitare ulteriori stragi.”
Cosa Nostra, dopo anni di indisturbata attività, a seguito delle condanne del Maxiprocesso capisce di essere sotto attacco: il grande lavoro portato avanti dal pool antimafia e alcune mancate risposte da parte dei politici di riferimento, fanno franare la terra sotto i piedi degli uomini "d’onore". Le condanne al 41 bis, gli ergastoli inflitti, le collusioni con la politica ormai acclarate: franava un sistema durato decenni e che garantiva alla mafia di operare in maniera incontrastata anche grazie all’appoggio di importanti esponenti delle istituzioni.
Inizia così la terribile stagione degli omicidi eccellenti prima e delle stragi dopo. Lo Stato è nel panico; il paese è attraversato da un’ondata di violenza senza precedenti.
Ma anziché proseguire con la linea dura scelta da magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per continuare a sferrare colpi alla più potente delle organizzazioni criminali, alcuni uomini dello Stato decidono di trattare per frenare quella terrificante ondata di violenza voluta da Cosa Nostra, che non riceve risposte adeguate dagli amici in giacca e cravatta operanti nei palazzi.
Dice il Dottor Nino Di Matteo, già pm del processo sulla trattativa e ora componente del Csm, in una intervista a la Repubblica “A cercare il capo di Cosa nostra, subito dopo il sangue sparso con la strage di Capaci, furono esponenti dello Stato. Con buona pace di quelli che hanno continuato a parlare di una fantomatica trattativa e di teorema del pubblico ministero”. E ancora: "Questa sentenza ribadisce che una trattativa fra pezzi dello Stato e Salvatore Riina ci fu"
Ci chiediamo: può una più o meno dichiarata ragione di Stato, giustificare una trattativa, un contatto, un approccio tra uomini delle Istituzioni e delinquenti sanguinari che hanno deviato per sempre la storia del paese?
E ancora. Paolo Borsellino era venuto a conoscenza di questo patto scellerato? Aveva visto in faccia la mafia, incontrandola dentro le stanze di quelle istituzioni di cui era un esemplare servitore?
Sempre Scarpinato scrive: “ la Corte non spende un solo rigo sulla sottrazione dell’agenda rossa da uomini degli apparati istituzionali; sulla forzata induzione di Scarantino a rendere false dichiarazioni; sulla presenza, rivelata da Spatuzza, di un soggetto esterno a Cosa Nostra nel momento cruciale del caricamento dell’esplosivo nella Fiat 126; sugli “infiltrati della Polizia” dei quali Franca Castellese il 14 dicembre ‘93 implorò il marito Mario Santo Di Matteo di non fare menzione ai magistrati, dopo che a seguito della sua collaborazione con la giustizia era stato rapito il loro figlio Giuseppe; sulle accertate e vive preoccupazioni di Borsellino nei confronti degli uomini del Sisde; sull’omicidio ordinato da Riina negli stessi giorni della strage del capomafia di Alcamo Vicenzo Milazzo, che si era rifiutato di unirsi alla strategia stragista, declinando per tre volte le sollecitazioni ricevute da uomini dei servizi segreti con cui si era incontrato alla presenza di un colletto bianco che è stato identificato.”
Mafia e uomini delle istituzioni dialogavano. Depistaggi e presenze estranee a Cosa nostra presenti nei luoghi delle stragi. Su questo non ci sono più dubbi. Di Matteo dice: “Mi chiedo cosa penserebbero di questa sentenza le centinaia di vittime istituzionali e non della violenza mafiosa che hanno pagato con il sangue l’intransigenza e la scelta di non cercare alcun patto o compromesso con la mafia”
Infatti la trattativa ha comportato, tra le tante cose, il mancato arresto del boss Bernardo Provenzano, garantendone la latitanza fino al 2006, quando venne catturato in un casolare abbandonato in Sicilia. Anni prima il super latitante era stato intercettato, grazie anche alle rivelazioni di Luigi Ilardo il capomafia della provincia di Caltanissetta ammazzato poche ore prima che venisse ufficializzata la sua collaborazione con lo Stato.
La mancata cattura di Provenzano, che secondo i carabinieri “impegnati” nella trattativa avrebbe rappresentato la componente più “moderata” di Cosa nostra rispetto alla gestione violenta e sanguinaria di Riina, ha comportato tra le altre cose l’omicidio del medico siciliano Attilio Manca, assassinato il 12 febbraio del 2004, proprio per essersi rifiutato di curare il boss malato di cancro.
Scrive in un post su fb la signora Angela Manca, madre di Attilio: “Penso a coloro che hanno continuato a proteggere la latitanza di Provenzano e, quindi, a coloro che hanno insabbiato la verità sulla morte di Attilio” e ancora “ Quando andiamo nelle scuole a parlare con i ragazzi, cerchiamo di far comprendere il concetto di legalità e, quindi di non chiedere mai favori o raccomandazioni, di non scendere mai a compromessi, di far valere sempre le proprie idee, se si è convinti di essere dalla parte giusta. Come faremo adesso a rispondere quando ci chiederanno perché lo Stato ha trattato con la mafia? Non credo ci siano parole che potranno essere usate, se non quelle di prendere esempio da chi ha dato la vita per combattere la mafia, da chi si è fatto uccidere per non diventare il medico di un latitante. Certo che sarà un compito molto difficile!”
Per anni abbiamo sentito parlare di “presunta trattativa”; dopo il processo di primo grado i magistrati che hanno lavorato per far luce su questa ignobile pagina di storia italiana, sono stati accusati di essere dei visionari che immaginavano chissà quale disegno criminale, tanto da ipotizzare una trattativa tra lo Stato e la mafia: follia!
E adesso…Non solo la trattativa c’è stata, come dicono i giudici della Corte di appello nelle 2971 pagine di motivazioni, ma è "legittimata". Non ci sarebbe stata collusione da parte degli uomini in divisa Mori, De donno e Subranni, che agirono per "indicibili ragioni di interesse nazionale a non sconvolgere gli equilibri di potere interni a Cosa Nostra che sancivano l'egemonia di Provenzano e della sua strategia dell'invisibilità o della sommersione – spiegano i giudici – almeno fino a che fosse stata questa la linea imposta a tutta l'organizzazione.”
Il silenzio di gran parte della politica, salvo poche eccezioni, la dice lunga. Se per molti cittadini queste 2971 pagine rimarranno negli archivi della storia come se si trattasse di una materia estranea alla vita democratica del paese, il disinteresse manifestato da appartenenti alle istituzioni non fa che normalizzare qualcosa di eccezionale che nulla ha di normale.
I partiti non parlano di lotta alla mafia; i governi non la inseriscono in agenda e questo da decenni. Le nuove leggi tendono a minare l’indipendenza della magistratura, destinando i nostri migliori magistrati a pratiche secondarie, per occuparsi non più di criminalità e corruzione, ma di reati minori e ladri di mele.
I boss di mafia, molti dei quali al 41 bis, stanno pian piano uscendo dal carcere. I detenuti per reati di mafia potranno ottenere benefici anche senza collaborare con lo Stato, qualora verrà approvata una scellerata legge proposta da quella parte della politica che tutela i criminali ed osteggia le persone per bene.
In questa calda e sudata campagna elettorale nessuno si straccia le vesti per il fatto che Silvio Berlusconi sia il candidato di punta del proprio partito, Forza Italia.
Il vecchio e navigato politico si prodiga in spot elettorali, piuttosto imbarazzanti,come se nel suo recente passato non ci siano sconvolgenti sentenze nelle quali viene scritto: “Da Berlusconi soldi a Cosa Nostra tramite Dell’Utri anche da premier e dopo le stragi!
Lo stesso imprenditore che pagava per essere protetto, che ospitava in Villa ad Arcore lo stalliere Mangano, mandato dai boss siciliani a controllare la famiglia brianzola. Berlusconi, quello attualmente indagato per le stragi del ‘93 e che deve risarcire il Consiglio dei Ministri per "discredito planetario" a causa delle condotte tenute negli anni in cui è stato premier.
In questo paese tutto diventa normale, con facilità. Complice una scarsa informazione, un'etica sempre più mancante, una moralità che si baratta per qualche privilegio, uno scarsissimo senso dello Stato; i cittadini non si scandalizzano più, la politica si è fatta un centro per l’impiego, le mafie sono sempre più ingombranti, organizzate e infiltrate.
Condannare i mafiosi e assolvere uomini delle istituzioni per aver commesso lo stesso reato è doppiamente grave: non solo perché lo Stato si è piegato ai boss per ottenere qualcosa in cambio, ma soprattutto perché si rende lecito l’illecito, si normalizza la convivenza tra legge e illegalità, tra Costituzione e malaffare. Si rende vano l'impegno di bravi magistrati e uomini delle forze dell’ordine, si calpestano i cadaveri delle tantissime vittime cadute nella mai finita guerra alla mafia, si toglie speranza a chi crede che un paese migliore sia possibile.
E’ difficile leggere queste 2971 pagine accettando di vivere in un paese che ha tradito Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tramando alle loro spalle come il peggiore dei Giuda: in modo violento e senza alcuna pietà.
E’ difficile pensare che venga accettato pacificamente l’abbattimento di quel necessario muro tra legalità e malaffare.
Fa paura capire che la latitanza di Matteo Messina Denaro venga garantita e assicurata dalle nostre istituzioni, così come è avvenuto con Provenzano. Sono giorni di grande confusione, annaspiamo senza alcuna certezza, ci sentiamo come storditi. La giustizia e la legalità dovrebbero essere i capisaldi di ogni democrazia, le fondamenta ad ogni vivere civile.
È saltato tutto? Cosa ne sarà dello Stato di diritto? Troppe incognite e troppe nubi all’orizzonte in questo momento ci fanno trattenere il fiato.
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2022-08-09 19:08:10
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