È passata ormai oltre una settimana dalla “Giornata per la memoria e l’impegno contro le mafie”. “Passata la festa gabbato ‘o santo” recita un proverbio popolare. In attesa della prossima occasione comandata, del prossimo diluvio di cerimonie e meme sui social, di comunicati stampa e discorsi si torna alla indifferente quotidianità.
Quella retorica e quel diluvio che molto spesso investe la Costituzione. La più bella, la più decantata. Ma, in realtà, ben poco conosciuta e applicata nella sua interezza.
Una “Giornata della Memoria” speciale è iniziata ormai tanti anni fa e prosegue ogni giorno, è diventata un cammino quotidiano, costante, straordinario che ci racconta (anche) applicandolo uno degli articoli meno conosciuti ed applicati della Costituzione. E ci racconta cosa realmente significa impegnarsi per la legalità, nel sociale, nell’umanità. È un cammino iniziato nell’Istituto Penitenziale di Nisida, lì dove è ambientata la fiction “Mare Fuori”.
Ci sono un cielo stellato e mille colori, un mare immenso in cui nuotare, le onde che dalle spiagge chiamano e lo sterminato mare dei contatti sociali, delle relazioni, della vita. Mille colori, sgargianti, vitali, raggi di sole colorati che baciano la terra e ogni giorno danzano di fronte agli occhi. Oltre le sbarre c’è tutto questo, c’è tutto questo oltre l’oceano del grigio cemento, del vuoto totale di non luoghi come le carceri.
Ce lo racconta la canzone più celebre, la colonna sonora di “Mare Fuori”. Per coloro a cui la vita sta negando, negli anni più belli e felici, tutto questo quelle note cercano di arrivare come un abbraccio e una carezza, volendo donare quella forza che manca sempre più in giorni uno uguale all’altro immersi in una sopravvivenza che a tratti, fin troppo spesso, appare disperata. La speranza di poter tornare a nuotare, vedere e lasciarsi abbracciare da quel caldo mare che «sta fore». Le parole e le note che le accompagnano sono entrate nelle case di milioni di italiani. Nella serata del venerdì due anni fa alcuni protagonisti della fiction l’hanno cantata sul palco del Festival di Sanremo. Due giorni prima sullo stesso palco il carcere minorile di Nisida era stato citato nel monologo di Francesca Fagnani.
Al termine Francesca Fagnani e Amadeus hanno ringraziato i ragazzi che l’hanno scritto e Lucia, che aveva partecipato all’incontro che ha portato alla scrittura del monologo. Il riferimento è a Lucia Di Mauro, il marito Gaetano Montanino fu assassinato nella notte tra il 3 e il 4 agosto 2009 a piazza Mercato, in pieno centro a Napoli, con 8 colpi di pistola.
Il 21 marzo 2017 Lucia Di Mauro sta partecipando all’incontro di Libera nell’Istituto Penitenziario minorile di Nisida quando vede un ragazzo in lacrime, tremava dal pianto. Lei si avvicina e si sono abbracciati, il ragazzo quasi svenne. Era Antonio, uno dei condannati per l’assassinio del marito di Lucia.
Con la voce rotta dal piano Antonio chiede a Lucia di perdonarlo e lei gli risponde che lo farà solo se lui la aiuterà ad impedire che altri ragazzi scelgano la strada del crimine, che giungano in luoghi come quell’istituto. Quel giorno Antonio promise a Lucia che insieme avrebbero portato avanti un progetto di legalità, che si sarebbero impegnati insieme per il futuro di altri ragazzi, per far si che quanti più ragazzi possibili non prendano la strada del crimine e non si trovano a sopravvivere tra reati e carceri.
Uscito dal carcere di Nisida Antonio è andato a lavorare in un centro di accoglienza per rifugiati realizzato in un bene confiscato alla criminalità organizzata e intitolato alla memoria di Gaetano Montanino, il marito di Lucia Di Mauro. Sembra quasi un cerchio che si chiude. Lucia Di Mauro ha di fatto adottato Antonio, lo sta seguendo nel suo percorso di reinserimento sociale ed è diventato per lui una mamma, «l’unica mamma che ho» racconta Antonio. Sui libri di diritto e dottrina giuridica viene definita «giustizia ripartiva», la Costituzione all’articolo 27 stabilisce il fine che dovrebbe avere la pena. In un Paese in cui troppo spesso alle analisi, ai discorsi, alle teorie non seguono atti concreti,
in cui il carcere ci consegna migliaia e migliaia di vicende che realizzano l’opposto di quanto previsto dalla Costituzione, Lucia Di Mauro e Antonio hanno realizzato la «giustizia riparativa» e il dettato costituzionale. Tracciando una strada di legalità vera, di impegno civile, di umanità.
«A Lucia Di Mauro invece devo dire grazie per avermi scelta. Lucia è schiva, discreta ed è una nonna straordinaria. Ha dimostrato a tutti che cos’è il perdono e che cos’è la giustizia sociale» i ringraziamenti di cuore di Amalia De Simone, giornalista d’inchiesta che da tanti anni denuncia e documenta mafie e malaffare d’Italia e d’Europa, in occasione della presentazione del suo docufilm “La Madre” al Giffoni Film Festival di due anni fa.



