In un’intervista concessa a WordNews, Elisabetta Fedegari, ex candidata di Fratelli d’Italia alle regionali lombarde del 2023, ha ricostruito pubblicamente, per la prima volta, le ragioni della sua rottura con il partito. Al centro del racconto, le molestie verbali subite da un iscritto, il mancato sostegno da parte della struttura politica e l’accusa di essere stata candidata unicamente per «coprire un vuoto di genere».
Fedegari, al momento dei fatti, non rivestiva incarichi ufficiali all’interno del partito. La sua candidatura nasce nel 2023, in occasione delle elezioni regionali in Lombardia. Un’esperienza che definisce “la prima vera prova politica”, dopo una precedente partecipazione in una lista civica a Pavia nel 2014.
«Penso di essere stata scelta perché serviva una donna, una figura da inserire nella lista per soddisfare equilibri interni. Probabilmente non si aspettavano che potessi ottenere un risultato così rilevante».
Con oltre 4.000 preferenze personali, Fedegari si colloca a ridosso degli eletti. Ed è proprio questo dato, secondo la sua versione, a cambiare la percezione interna: «Da potenziale risorsa sono diventata un problema per l’apparato locale».
Le molestie e l’assenza di reazione.
Il fatto centrale che apre la rottura riguarda le molestie verbali subite da un militante del partito, conosciuto durante la campagna elettorale. Incalzata più volte sul punto, Fedegari ha preferito non entrare nei dettagli, pur confermando la natura dei comportamenti:
«Si trattava di avances insistenti, diventate con il tempo frasi aggressive, anche dopo un mio netto rifiuto. Le ho segnalate alle autorità e poi ai dirigenti locali del partito».
Alla domanda diretta su quale sia stata la risposta del partito, Fedegari è esplicita:
«Il responsabile provinciale si è detto dispiaciuto.
Un altro dirigente mi ha consigliato di informarmi sugli eventi dove era presente quella persona e di non partecipare.
Nessuna sanzione, nessuna tutela. Io avrei dovuto evitare? Io, non lui?».
Alla domanda se la questione fosse mai arrivata ai vertici nazionali, Fedegari risponde:
«Non lo so. Personalmente ho informato il livello provinciale. Non posso escludere che si sapesse anche più in alto, ma non ho mai ricevuto risposte ufficiali da Roma».
Il progressivo isolamento e la frattura politica.
L’intervista si sviluppa anche su un piano politico. Fedegari descrive un progressivo isolamento, che secondo la sua ricostruzione sarebbe iniziato proprio a seguito del buon risultato elettorale.
«Sono sempre stata percepita come un corpo estraneo. Una candidatura di servizio, che però ha dato fastidio a qualcuno.
Dopo il voto, il mio coinvolgimento nelle attività politiche è stato progressivamente ridotto».
Accanto alla vicenda personale, Elisabetta Fedegari pone una riflessione politica di più ampio respiro: quella sulla progressiva distanza tra i valori con cui Fratelli d’Italia si è presentato agli elettori e la linea politica concretamente adottata dopo l’ingresso al governo.
Nel corso dell’intervista rilasciata a WordNews, l’ex candidata sostiene di aver creduto in un progetto fondato su parole d’ordine chiare: sovranismo, identità nazionale, difesa della cittadinanza italiana come priorità assoluta. Valori su cui, afferma, si era impegnata a convincere gli elettori durante la campagna per le regionali in Lombardia.
«Erano questi i temi che portavamo tra la gente. Ricordo bene i comizi, gli incontri pubblici, gli interventi degli europarlamentari. Si parlava di cambiare l’Europa, non di assecondarla».
A distanza di due anni, però, Fedegari denuncia una svolta di segno opposto, maturata a livello nazionale ed europeo. A suo avviso, il partito ha progressivamente abbandonato la postura di rottura per assumere quella di continuità, proprio con quei centri decisionali che aveva dichiarato di voler contrastare.
L’episodio che più emblematicamente segna, secondo Fedegari, questo passaggio è legato alla votazione a Bruxelles sulla riconferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea.
Fratelli d’Italia, in quell’occasione, non ha espresso un voto contrario ma ha optato per l’uscita dall’aula, lasciando che la riconferma passasse senza opposizione formale. Un gesto che per Fedegari non rappresenta un atto di coerenza politica, ma di ambiguità.
«Non si può dichiarare guerra ai poteri forti di Bruxelles e poi non esprimere un no chiaro. Uscire dall’aula è un segnale di neutralità, non di opposizione.
Di fatto, hanno contribuito a far rieleggere la stessa persona che volevano combattere».
Come conciliare la retorica “anti-sistema” con le responsabilità istituzionali e gli equilibri geopolitici europei?
Per la diretta interessata, la risposta è chiara:
«FdI ha scelto l’allineamento.
Il sovranismo è diventato un’etichetta utile in campagna elettorale, ma ormai svuotata nei fatti. La linea è dettata dal compromesso, non dalla coerenza».
Secondo Fedegari, ciò che si è perso non è solo una visione politica, ma la credibilità verso l’elettorato. E questo spiegherebbe anche – a suo dire – il crescente astensionismo e la disaffezione diffusa verso la politica:
«La gente non vota più perché si accorge di questo scarto. Le promesse non diventano mai azioni. E chi resta fedele a quei valori viene isolato».
Nel corso dell’intervista, sollecitata da una domanda diretta, Fedegari commenta anche il caso che ha coinvolto il Ministro Adolfo Urso (FdI), dopo la denuncia pubblica dell’attore Luca Zingaretti sulla presunta utilizzazione impropria della scorta da parte della moglie del ministro, avvistata in aeroporto mentre veniva accompagnata da agenti armati, per “saltare” la fila.
Fedegari non manca di sottolineare un disagio politico più ampio:
«Non ho approfondito nei dettagli il caso, ma da quanto ho letto mi sembra che il ministro non abbia fatto una gran bella figura».
La questione, per Fedegari, non si esaurisce nel fatto in sé, ma rimanda a un modello di esercizio del potere che giudica autoreferenziale, distante e non trasparente. Un atteggiamento che – dice – non appartiene solo a Fratelli d’Italia, ma che sta danneggiando l’intera credibilità della politica italiana.
«Questi episodi non fanno male solo al partito. Fanno male alla politica in generale. Perché aumentano la sfiducia, la distanza tra cittadini e istituzioni, la percezione che chi ha potere lo usi a proprio vantaggio».
Le dichiarazioni di Donzelli e la risposta: «Pensiero maschilista».
Secondo quanto riportato da fonti di agenzia e rilanci stampa, Donzelli avrebbe ridotto la denuncia di Fedegari a un atto strumentale, motivato da una “mancata nomina”. In sostanza: una vendetta politica travestita da denuncia personale.
Una dichiarazione che – se confermata nei contenuti – rappresenta non solo una delegittimazione personale, ma anche un segnale politico chiaro.
Fedegari risponde con fermezza durante l’intervista a WordNews:
«Non conosco personalmente l’onorevole Donzelli, ma trovo gravemente demoralizzante che un dirigente nazionale di quel livello possa ridurre tutto a una vendetta. È una posizione retrograda e maschilista».
L’inchiesta giudiziaria e l’ombra del peculato: il caso dei fondi pubblici per la campagna elettorale.
Accanto alla denuncia di molestie e al racconto dell’isolamento politico, nell’intervista, Elisabetta Fedegari affronta anche la vicenda giudiziaria che la vede coinvolta in un’inchiesta per presunto peculato, aperta dalla procura di Pavia.
Al centro dell’indagine: il possibile utilizzo di fondi pubblici per finanziare la sua campagna elettorale, in particolare la componente social.
Secondo quanto ricostruito da diverse fonti giornalistiche, una società pubblica attiva nella gestione dei rifiuti avrebbe sostenuto economicamente la promozione della sua candidatura. Nella stessa indagine risultano coinvolti anche il presidente e il direttore della società in questione, entrambi finiti agli arresti domiciliari per circa venti giorni, misura poi annullata dal Tribunale del Riesame.
Fedegari, interpellata direttamente sulla questione durante l’intervista, non evita la domanda:
«Mi sento totalmente estranea ai fatti contestati. Ho già fornito documentazione e chiarimenti nelle sedi competenti. Confido nella magistratura, perché so di non aver fatto nulla di illecito. Non ho nulla da nascondere».
La ex candidata pone una questione di principio:
«Non è detto che tutto ciò che accade configuri un reato. Bisogna distinguere tra dinamiche amministrative e responsabilità penali. E sono certa che emergerà la verità».
Quei 4.000 voti ottenuti alle regionali, sono legati a quel presunto sistema?
«Assolutamente no. Quelle preferenze le ho raccolte persona per persona, quartiere per quartiere, parlando, incontrando, spiegando. È stato un lavoro durissimo ma autentico. Nessuna scorciatoia. Nessuna copertura. E le persone che mi hanno votata lo hanno fatto per ciò che ho rappresentato, non per dinamiche opache».
Prospettive future: politica, pausa, o nuovo impegno?
Alla domanda sull’eventualità di una futura candidatura Fedegari risponde con prudenza:
«Credo nella politica. Ma prima mi prendo del tempo con la mia famiglia. Poi, a settembre, valuterò. Ho sempre avuto il desiderio di fare qualcosa per il mio territorio. Vedremo in che forma».
Il caso Fedegari mette in luce una serie di nodi irrisolti nella gestione interna dei partiti. La vicenda non è un caso isolato. È il sintomo di un male più profondo: una politica che ha smesso di ascoltare. Che non dà risposte ai cittadini, ma nemmeno a chi, al suo interno, solleva dubbi, racconta fatti, denuncia storture.
Un partito che proclama il valore del “merito”, ma non tutela chi denuncia. Che parla di “sovranismo”, ma sceglie il silenzio per salvare l’equilibrio interno. Che invoca il “patto con gli italiani”, ma poi non rispetta nemmeno quello con i suoi iscritti.
Le foto sono state concesse da Elisabetta Fedegari.