Donald Trump festeggia sei mesi dal suo ritorno alla Casa Bianca con il consueto stile: comizi trionfali, cori da stadio, bandiere che sventolano come in una patria ritrovata. Ma l’aria che si respira nel Paese è ben diversa. Sotto le luci delle celebrazioni si agita un’America sfinita, lacerata e sempre più diffidente. E ora, a inquietare ancora di più, c’è una ferita che torna a sanguinare: il caso Jeffrey Epstein. Non è più solo un capitolo oscuro del passato. È il presente. Un presente che potrebbe avere conseguenze devastanti. Per Trump. Per la politica americana. Per l’idea stessa di giustizia.
Negli ultimi giorni, una serie di video compromettenti sono riemersi in rete tramite fonti anonime, piattaforme decentralizzate e canali criptati. Video che ritrarrebbero incontri tra Epstein e figure di spicco del mondo economico e politico. Tra queste – ed è la notizia che sta facendo tremare Washington – ci sarebbe anche Donald J. Trump.
Le immagini non sono ancora state verificate da fonti ufficiali ma il contenuto è già sotto analisi da parte di alcuni giornalisti investigativi, ed il Dipartimento di Giustizia sarebbe stato costretto ad aprire un’indagine d’ufficio per evitare l’accusa di insabbiamento. I fotogrammi mostrerebbero ambienti riconducibili alle famigerate proprietà private di Epstein – in particolare l’isola nei Caraibi e la residenza di Manhattan – e vi si vedrebbero uomini potenti, talvolta in compagnia di ragazze giovanissime, in contesti difficili da giustificare.
Nel caso di Trump, i legami con Epstein non sono una novità. Sono documentati da tempo, e non solo da fotografie che li ritraggono insieme negli anni ’90 e 2000. Trump stesso, in un’intervista del 2002, dichiarava di conoscere Epstein: “È un tipo fantastico. Dicono tutti che adora le belle donne tanto quanto me, e molte sono decisamente giovani”. Una frase che oggi torna a risuonare come un boomerang inquietante.
Durante il primo mandato, Trump prese le distanze dal caso Epstein, sostenendo di aver “rotto i rapporti molto tempo fa”. Ma diversi ex collaboratori raccontano un’altra storia: incontri frequenti, telefonate, cene private. La socialità tra i due non era marginale, e sembrava parte integrante di un sistema più grande, elitario, opaco.
Epstein non era solo un predatore sessuale. Era un nodo di potere. Un uomo capace di mettere in contatto politici, miliardari, principi, scienziati e star di Hollywood. Un burattinaio dell’ombra, che sapeva usare il sesso come moneta di ricatto. E la domanda che oggi torna con forza è: quanto sapevano, e quanti sapevano?
Mentre Trump si concede standing ovation e slogan da manuale del populismo, milioni di americani si interrogano. Cosa sta succedendo davvero? Cosa c’è dietro la rinascita apparente di un uomo che si presenta come salvatore mentre le crepe del sistema diventano voragini?
Il malcontento cresce soprattutto tra le fasce popolari ed i giovani. Chi ha creduto nella promessa di una “seconda rivoluzione americana” comincia a vedere una repubblica degli insabbiamenti, dove il potere si autoprotegge e le vittime, ancora una volta, vengono messe a tacere.
Le nuove generazioni, cresciute nell’era post-MeToo, non sono più disposte a chiudere un occhio. I video che stanno emergendo non sono semplici “indiscrezioni”. Sono potenziali prove di crimini. E se confermati, rappresenterebbero un collasso morale e istituzionale senza precedenti nella storia americana recente.
Per ora, i grandi media americani trattano il caso con cautela. Le testate più autorevoli si muovono su un crinale delicato, evitando titoli sensazionalistici ma ammettendo che la posta in gioco è altissima. Le pressioni per far tacere chi indaga sono fortissime. Alcuni giornalisti che stavano approfondendo la questione Epstein sono stati oggetto di minacce e tentativi di delegittimazione. Ma la verità, come l’acqua, trova sempre una via per emergere.
Il sospetto – ormai diffuso – è che esista una rete di complicità istituzionali che va ben oltre Trump: giudici, procuratori, membri del Congresso, magnati dell’industria. Un sistema che non si limita a proteggere, ma che ha partecipato attivamente al potere tossico incarnato da Epstein.
In questo scenario, i festeggiamenti di Trump suonano beffardi. Come se si potesse brindare sul Titanic. La narrazione trionfale del “grande ritorno” si scontra con l’angoscia collettiva di un Paese che sente franare il pavimento sotto i piedi. La democrazia americana, già minata da polarizzazione, razzismo sistemico e crisi economica, oggi affronta la sua sfida più pericolosa: guardarsi allo specchio e riconoscere i propri mostri.
Trump potrà anche continuare a sventolare bandiere ed attaccare la stampa come nemico del popolo. Ma se i video trovano conferma, e se l’ombra di Epstein continua ad allungarsi fino a raggiungere i vertici del potere, nessuna festa potrà salvarlo. Nessun comizio potrà sovrascrivere i fatti.
Perché prima o poi, la verità non bussa. Sfonda.
Immagine IA