“Manca tutto, soprattutto il movente e i mandanti esterni”.
Così Antonio Ingroia, ex magistrato del pool antimafia di Palermo, ha aperto la commemorazione del 19 luglio, a 33 anni dalla strage di Via D’Amelio. Un’intervista in diretta – connesso dalla sua auto in viaggio verso un’altra commemorazione – che ha scardinato ogni narrazione accomodante: la verità giudiziaria non ha ancora scoperchiato il cuore nero dello Stato.
Ingroia non ha dubbi: Paolo Borsellino fu eliminato perché rappresentava un ostacolo alla trattativa in corso tra lo Stato e Cosa Nostra. “Se fosse intervenuto lui, la trattativa sarebbe saltata” – ha affermato – “e quell’agenda rossa sottratta da un uomo dello Stato, non da un mafioso, ne è la prova”.
La Commissione parlamentare antimafia, secondo Ingroia, sta frammentando il disegno stragista: analizza singolarmente le stragi, ma non coglie il filo rosso che lega Capaci, Via D’Amelio e le bombe del ‘93.
De Chiara: “Lo Stato ha fatto schifo. E non vuole la verità”
Se Ingroia ha parlato da ex magistrato, Paolo De Chiara – giornalista, scrittore, militante dell’antimafia civile – ha lanciato un grido. Una denuncia viscerale, durata oltre 40 minuti, senza infingimenti e con una rabbia che si fa coscienza collettiva.
“Dopo 33 anni ci chiediamo ancora perché fu ucciso Borsellino. Viviamo in un Paese che espone la borsa di Borsellino a Montecitorio, ma senza l’agenda rossa. Un Paese che santifica i morti e umilia i vivi. Dove la verità non è un diritto, ma un fastidio”.
De Chiara ha parlato della trattativa, dei depistaggi, delle perquisizioni tardive come quella a casa di Giovanni Tinebra – “solo 33 anni dopo, per cercare cosa?” – e delle ombre mai dissipate su massoneria, servizi segreti, generali punciuti, e colletti bianchi impuniti.
Dalla mafia alla politica, dalla verità alla responsabilità civile
“Non voglio più eroi postumi. Dobbiamo proteggere i vivi. Non aspetto di commemorare domani un’altra vittima come Francesca Albanese, la voce dell’ONU sul genocidio a Gaza. Va protetta ora”.
Nel mirino anche la politica contemporanea: l’abolizione dell’abuso d’ufficio, l’attacco alle norme di Falcone, la trasversalità delle connivenze mafiose.
Non solo Sud, ha detto De Chiara, ma anche il Nord si è “piegato all’‘ndrangheta in giacca e cravatta”.
E ha aggiunto:
“Le mafie piacciono. Sennò non si spiegherebbe perché chi salta le liste in ospedale o ‘si fa furbo’ viene visto come un modello. La mentalità mafiosa è dentro troppi cittadini, non solo nei clan”.
Dall’agenda rossa a Gaza: la verità è globale
La verità negata non riguarda solo Via D’Amelio. De Chiara ha tracciato un parallelo feroce tra la complicità istituzionale italiana negli anni ‘90 e l’attuale silenzio dell’Europa di fronte al genocidio a Gaza.
“Stiamo vedendo in diretta ciò che ad Auschwitz non fu filmato. Eppure, nessuno interviene. Sessantamila morti. Venti mila bambini. E la presidente del Consiglio si sveglia per una chiesa colpita”.
Una denuncia che si è fatta accusa alla NATO, agli USA, al capitalismo delle armi, e un appello a boicottare le aziende che investono in morte.
Giornalismo militante, non celebrativo
Il finale è stato una chiamata alle armi della coscienza:
“Noi giornalisti dobbiamo diventare militanti, come Peppino Impastato.
Non possiamo limitarci a scrivere dietro una scrivania.
Dobbiamo stare tra la gente, parlare, denunciare, fare rete.
E soprattutto, dobbiamo pretendere la verità”.
Per De Chiara, ricordare non basta. Commemorare non serve, se la memoria è muta e passiva. È tempo di disobbedienza civile, di piazze occupate, di parole vere che facciano male. Perché:
“Lo Stato non può processare se stesso, scriveva Sciascia. Ma noi cittadini possiamo farlo, se troviamo il coraggio di incazzarci, di indignarci, di alzare la voce. Altrimenti, continueremo a morire di fuffa”.
Una giornata per non dimenticare. E per iniziare a cambiare
L’evento, promosso da Informazione Antimafia e condotto dal giornalista Giuseppe Notaro, ha visto anche la partecipazione del nostro collaboratore Antonino Schilirò in collegamento, un ricordo corale che ha intrecciato memoria, inchiesta, geopolitica e impegno civile.
Nel giorno della strage di Via D’Amelio, non è bastato accendere ceri e leggere poesie.
Non basta più.
“Serve verità. Serve giustizia. Serve disobbedienza”.
Questo è il grido che è rimasto sospeso, a 33 anni da quella maledetta esplosione.
E che ancora oggi ci brucia addosso.





