“Il Duce? Ha fatto anche cose buone”. La solita litania rispolverata da un palco. A pronunciarla, stavolta, è il vicesegretario della Lega, Roberto Vannacci. Ma è solo l’ennesima bufala impacchettata per il popolo disinformato.
Il fascismo non ha fatto cose buone. Non ha fatto nulla che non fosse già stato avviato prima, che non si sarebbe potuto fare meglio dopo, e che – in molti casi – non sia stato usato come propaganda, mentre il Paese veniva spinto in una guerra disastrosa, privata della libertà e infestata dalle leggi razziali.
Chi afferma il contrario, che sia un ex generale come Vannacci o un parlamentare in vena di folklore autoritario, sta tradendo la verità storica.
C’è un limite alla mistificazione. Un punto oltre il quale la storia si trasforma in insulto alla memoria, in farsa velenosa. Quando il vicesegretario della Lega e generale in congedo Roberto Vannacci sale su un palco per dire che “Mussolini ha fatto anche cose buone”, non sta solo sbagliando. Sta riscrivendo la storia. Sta offrendo un assist colossale al revisionismo più tossico, quello che traveste la dittatura da governo efficiente, la repressione da ordine, il razzismo da disciplina.
E allora è necessario rispondere, punto per punto. Per dovere di verità. Per rispetto di chi è morto sotto quel regime. Per chi ha perso la libertà, la dignità, la casa, il futuro. Per chi è stato torturato, fucilato, bruciato nei lager con la complicità italiana.
Questo pezzo è un atto di resistenza. Contro la stupidità, contro l’indifferenza, contro il letargo storico. E soprattutto contro l’ignoranza pericolosa, brutale e colpevole di chi oggi siede nei palazzi del potere o li frequenta in attesa di un incarico. Un’ignoranza che non è semplice disinformazione ma una scelta consapevole di mistificare la storia per tornaconto elettorale, per accontentare nostalgici del manganello e del saluto romano. È una vergogna nazionale che individui con incarichi istituzionali continuino a sputare sul sacrificio degli antifascisti, a denigrare la Resistenza, a negare i crimini del fascismo. Ogni dichiarazione nostalgica, ogni ammiccamento al Duce, ogni battuta revisionista non è solo un insulto alla memoria: è un attacco alla Costituzione. È tempo di chiamare le cose con il loro nome: questa è propaganda neofascista, che va contrastata con la forza dei fatti, della cultura, della verità storica. E con tutto il disprezzo che merita chi riscrive la storia con l’inchiostro della menzogna.
- Le pensioni: una conquista dei governi liberali, non del fascismo. Il primo sistema pensionistico in Italia è del 1895, con il governo Crispi. Nel 1919, il governo Orlando introduce l’obbligatorietà delle assicurazioni sociali per tutti i lavoratori italiani. Mussolini nel 1933 cambia solo il nome dell’ente: nasce l’INFPS, Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale. Non è una riforma, ma un atto di propaganda: si mette la “F” di fascista su un sistema già esistente. Nel frattempo, lo stesso regime sopprime i sindacati liberi e vieta lo sciopero, azzerando ogni conquista democratica dei lavoratori.
- Le bonifiche: un’opera incompleta e gonfiata ad arte. Le bonifiche dell’Agro Pontino vengono propagandate come una delle grandi vittorie del regime. Ma i numeri raccontano altro. Il regime promette 8 milioni di ettari bonificati. Ne bonifica circa 2 milioni, e di questi, 1,5 milioni erano già stati bonificati prima del 1922. Il 6% del totale promesso. I fondi scorrono verso l’Opera Nazionale Combattenti e agli amici del regime. Il grosso delle bonifiche reali verrà portato a termine dai governi repubblicani, grazie al Piano Marshall e alla Cassa del Mezzogiorno. Il fascismo usò la propaganda per intestarsi risultati non suoi.
- I treni in orario: la leggenda. Il mito dei treni in orario sotto il fascismo è uno dei più resistenti. Ma è falso. I treni continuavano ad accumulare ritardi. Solo che nessuno poteva scriverlo sui giornali o denunciarlo pubblicamente. La censura impediva ogni critica. La “precisione” dei trasporti era un’invenzione di regime, come il “miracolo” economico. Bastava non raccontare la verità. Il treno arrivava tardi, ma il giornale titolava “puntuale”.
- Onestà e disciplina? Il fascismo fu corruzione sistemica. Altro mito duro a morire: l’efficienza e l’onestà del regime. La realtà fu opposta. Le inchieste dopo il 1945 rivelarono un sistema diffuso di corruzione, favoritismi, appropriazione indebita. I gerarchi fascisti abusavano della loro posizione per arricchirsi. Non c’era trasparenza, non c’era controllo, non c’era opposizione. Il potere assoluto produceva abusi assoluti. L’amministrazione pubblica fu degradata a strumento di consenso.
- Politiche giovanili: indottrinamento e militarizzazione. I Balilla, i GUF, la GIL: nomi che evocano ordine, ma dietro i quali c’è un progetto autoritario. Le organizzazioni giovanili fasciste non educavano, ma formavano soldatini. I giovani venivano indottrinati al culto del Duce, addestrati militarmente, schedati. La partecipazione non era obbligatoria per legge, ma lo era nei fatti: l’emarginazione toccava a chi non partecipava. Non c’era libertà, ma un’unica via possibile: essere fascisti.
- Prestigio internazionale? Il fascismo trascinò l’Italia nell’abisso morale e geopolitico. Dopo l’invasione dell’Etiopia nel 1935, l’Italia fu colpita da sanzioni internazionali e isolata come nazione aggressora. Ma l’orrore va oltre le sanzioni: l’esercito fascista utilizzò gas tossici proibiti come iprite e fosgene su larga scala, bombardando villaggi e sterminando civili inermi. Fu un crimine deliberato, lucido, premeditato. Il massacro di Addis Abeba del febbraio 1937 è l’emblema del terrore fascista: dopo un attentato al viceré Graziani, la rappresaglia fu una carneficina. I fascisti trucidarono tra i 3.000 e i 30.000 civili: donne sventrate, anziani bruciati vivi, bambini finiti a colpi di baionetta. Le chiese copte furono date alle fiamme, i religiosi giustiziati. Una furia coloniale che grida vendetta ancora oggi. Ma non bastava. Nei Balcani, in Libia, in Somalia, l’Italia fascista si macchiò di altri crimini: deportazioni di massa, fucilazioni sommarie, campi di concentramento, torture sistematiche. Altro che civiltà, altro che prestigio: il fascismo fece dell’Italia una nazione canaglia, un Paese infangato e disprezzato. L’alleanza con Hitler completò l’opera: Mussolini firmò le leggi razziali, consegnò gli ebrei italiani ai nazisti, collaborò con la Shoah. La RSI, servile marionetta di Berlino, fu corresponsabile delle deportazioni, della caccia agli oppositori, della dissoluzione dell’Italia come Stato libero e sovrano. Altro che prestigio: il nome dell’Italia fu lordato per decenni, e ancora oggi fatica a scrollarsi di dosso quella vergogna storica. Chi oggi osa dire che “Mussolini ha fatto anche cose buone” o è ignorante, o è in malafede. In entrambi i casi, rappresenta un pericolo.
- La dittatura bonaria è un mito. Il fascismo fu violenza e repressione Non è vero che il fascismo fu una dittatura “morbida”. Le camicie nere massacrarono centinaia di oppositori negli anni ’20. Il Tribunale speciale condannò oltre 4.500 antifascisti, 42 furno messi a morte. Il confino, le carceri, la censura, la polizia politica, le torture: erano la regola.
Alcuni esempi per essere ancora più chiari:
Non esistono “cose buone” del fascismo. Esistono conquiste democratiche di cui il fascismo si è appropriato, esistono opere incomplete spacciate per trionfi, esistono bugie ripetute fino a diventare slogan.
Vannacci e chi come lui rilancia questi miti è il megafono dell’ignoranza storica.
La verità va detta: il fascismo fu un disastro politico, economico, militare, morale e umano. E chi lo celebra è corresponsabile della sua riscrittura.
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