La stampa clandestina nella Resistenza: voce libera contro il fascismo
Nel buio degli anni del ventennio fascista e durante la Resistenza, l’Italia ha conosciuto una delle stagioni più coraggiose della sua storia editoriale: quella della stampa clandestina. In un tempo in cui ogni parola era sorvegliata, ogni opinione punita, ogni critica messa a tacere, centinaia di uomini e donne decisero di scrivere, stampare e distribuire la verità.
Dopo l’omicidio Matteotti e la definitiva svolta dittatoriale del regime di Mussolini, la stampa antifascista entra nel sottosuolo: giornali ciclostilati, volantini, bollettini locali, prodotti con mezzi di fortuna e a rischio della vita, circolano di mano in mano, nelle fabbriche, nelle scuole, nelle campagne.
Durante la Resistenza, ogni partito del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) ha un proprio organo d’informazione, con funzioni politiche ma anche pratiche. Si tratta di vere e proprie armi culturali, strumenti per coordinare l’azione armata, informare i partigiani, sollevare lo spirito di un popolo oppresso.
Tra i principali giornali clandestini troviamo:
“Il Combattente” (Garibaldini): edito in più regioni, unisce cronaca locale e direttive militari.
“l’Unità” (PCI): organo storico che guida e unifica la linea politica delle formazioni comuniste.
“La nostra lotta”: 29 numeri in clandestinità, una vera bussola per la strategia del PCI.
“Il grido di Spartaco”: forte accento sull’unità operaia e partigiana.
“L’Italia libera” (PDA), “Giustizia e Libertà” (formazioni azioniste), “Il Popolo” (DC), “l’Avanti” (PSIUP): ogni forza politica diffonde la propria visione e combatte il fascismo anche a colpi di inchiostro.
A fianco di queste, fioriscono testate locali e bollettini di brigata, come “Baita” o “La fabbrica”, focalizzati su contesti specifici: la fabbrica, la montagna, la città occupata.
Un ruolo decisivo è quello delle staffette e dei Gruppi di Difesa della Donna (GDD), che non solo distribuiscono i materiali, ma collaborano attivamente alla loro produzione. Organi come “Noi donne” raccontano la guerra con occhi femminili, anticipando il discorso sulla parità di genere e la cittadinanza delle donne nel dopoguerra.
La stampa clandestina non ha regole né periodicità: “Esce quando può e come può”, recita ironicamente il sottotitolo di “Baita”. Mancano tutto: carta, inchiostro, ciclostili, spazi sicuri. Eppure si stampa. Perché la libertà ha bisogno di essere scritta, raccontata, diffusa.
Le tipografie improvvisate si nascondono nei sottoscala, nelle cantine, nei boschi. Gli articoli passano da una mano all’altra, in codice, cifrati, piegati sotto le giacche, cuciti nei vestiti. Ogni parola stampata è un atto di Resistenza.
Nel 2025, in un’epoca dominata dai social media e dall’algoritmo, riscoprire la storia della stampa clandestina significa riflettere sul valore dell’informazione libera e sul coraggio di chi ha sfidato la censura per raccontare la verità.
Questi giornali non erano solo carta: erano proiettili di pensiero, antidoti all’indifferenza, semi di una democrazia ancora tutta da costruire. La stampa clandestina fu la prima voce della nuova Italia. E merita di essere ascoltata, letta, tramandata.
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