Calabria, la lunga ombra del malgoverno: il futuro è nelle mani dei cittadini onesti
Le dimissioni di Roberto Occhiuto non sono un atto di coraggio, ma l’ultimo capitolo di un manuale di malgoverno che in Calabria si scrive da decenni. Chiunque abbia avuto il potere politico in mano (di destra, di sinistra, di centro) lo ha usato come proprietà privata, non come un mandato popolare.
Trent’anni di potere gestito come bottino
In Calabria, il potere non è mai stato uno strumento per risolvere i problemi della gente, ma un bottino da spartire tra fedelissimi, clientele e correnti di partito. Dalla sanità commissariata ai fondi europei mai spesi, dalle infrastrutture incompiute alla fuga dei giovani, ogni sGovernatore ha lasciato dietro di sé occasioni mancate, sprechi e promesse evaporate.
La sanità è il simbolo di questo disastro: 14 anni di commissariamento non hanno prodotto alcun risanamento, anzi hanno peggiorato la situazione. Ospedali chiusi, liste d’attesa infinite, personale ridotto all’osso. E mentre il pubblico affonda, il privato convenzionato ingrassa. Insieme alla schifosa mafia calabrese.
Non è solo incapacità: è un modello di gestione che ha tradito e abbandonato i cittadini.
In Calabria si è consolidata una casta trasversale, un club autoreferenziale in cui l’obiettivo principale è restare al potere. Ogni tornata elettorale è stata presentata come “nuovo inizio”. Ogni volta, è finita come prima: stesse facce, stessi metodi, stessi risultati.
I calabresi devono spezzare le catene
Se si vuole davvero cambiare, i calabresi devono spezzare le catene che soffocano questa terra da troppo tempo.
Catene della criminalità organizzata, che continua a controllare territori, economie e destini individuali. La ‘ndrangheta è un potere parallelo che detta legge, impone il silenzio e lucra su ogni cosa.
Catene di una politica complice o codarda, che ha preferito il compromesso, il favore personale, l’equilibrio di potere. Una politica che ha trasformato il consenso in merce di scambio.
Catene dei poteri forti e della massoneria deviata, che da anni tengono in ostaggio la Calabria. Un sistema opaco, ramificato e trasversale, che condiziona nomine, progetti, appalti e finanziamenti. Non si muove nulla senza il placet di questi burattinai nascosti.
E poi ci sono i legami indissolubili tra politica, affari e malaffare, quelli che non si vedono nei programmi elettorali ma che si percepiscono nelle strade dissestate, nei reparti ospedalieri svuotati, nei cantieri eterni.
Spezzare queste catene è l’unico atto rivoluzionario possibile oggi.
Servono cittadini consapevoli: calabresi disposti a dire basta, a non vendere il proprio voto, a denunciare il ricatto e rompere il silenzio, a scegliere con la testa e con la memoria.
In Calabria nulla è davvero libero. Il potere della ’ndrangheta non si limita alle estorsioni o al traffico di droga: è un controllo capillare che entra nei municipi, nelle aziende, negli ospedali, nelle campagne elettorali. I clan decidono chi può vincere un appalto, chi può aprire un’attività, chi deve essere assunto e chi escluso. I voti si raccolgono porta a porta, non con i programmi ma con le promesse sottobanco e le minacce.
A questo si aggiungono i poteri forti e la massoneria deviata, che operano come una regia invisibile: manovrano nomine, spartiscono fondi, orientano decisioni pubbliche. La politica regionale e locale troppo spesso accetta questo gioco, quando non ne è parte integrante. Si tratta di un sistema radicato in cui affari, politica e criminalità si sostengono a vicenda.
Questo intreccio soffoca l’economia sana, scoraggia chi vuole investire legalmente, costringe intere comunità a vivere nella paura o nella rassegnazione. Finché questo controllo non sarà spezzato, la Calabria resterà ostaggio di un potere che non si vota alle urne, ma si eredita nei salotti e nei covi della complicità.
Le elezioni anticipate sono un’occasione rara per rompere un ciclo che sembra eterno. Ma nessun “uomo forte” o “salvatore della patria” potrà cambiare le cose se i cittadini continueranno a delegare alla cieca.
Il cambiamento passa solo da una cittadinanza vigile, informata, pronta a chiedere conto e a punire il tradimento delle promesse.
Il voto che arriverà nei prossimi mesi è una scelta di sopravvivenza collettiva.
O i calabresi decidono di rompere la catena dello sgoverno, oppure resteranno prigionieri della stessa logica che li ha portati fin qui.
La politica (quella dei falsi profeti) ha fallito. Ora tocca ai calabresi onesti decidere se accettare un futuro già scritto o scriverne uno nuovo.