«Nel cuore di Piazza Re di Roma, è stata nuovamente offesa la memoria di Pamela Mastropietro. Uno striscione che La ricordava è stato strappato e gettato via, la panchina oltraggiata e rigata per cancellare, fiori buttati a terra un gesto che parla di mancanza di rispetto e di umanità». È la denuncia sui social nei giorni scorsi di Alessandra Verni, la mamma di Pamela Mastropietro.
In meno di un mese è la seconda volta che viene oltraggiata, offesa, violentata la memoria di Pamela Mastropietro. Il 14 luglio scorso la signora Verni ha denunciato cosa era accaduto a Macerata, ora nel centro di Roma.
«Sono profondamente stanca e delusa. Ogni atto vandalico è un colpo al ricordo, alla lotta per la giustizia e alla speranza di un mondo migliore» è il grido d’indignazione, rabbia, sconforto di Alessandra Verni.
«Non saranno questi atti intimidatori e oltraggiosi a fermarmi! La memoria di Pamela e di tutti coloro che sono stati ingiustamente colpiti merita di essere onorata e rispettata – ha scritto sui social Alessandra Verni – Facciamo sentire la nostra voce! Uniti possiamo creare consapevolezza, sensibilizzare e combattere per un cambiamento. Non lasciamo che l’indifferenza prevalga. La memoria è una luce che non deve spegnersi».
«A chi dà fastidio la memoria di Pamela Mastropietro?» è il pesante interrogativo che abbiamo riportato lo scorso 29 luglio. Una domanda che oggi, alla luce di questo secondo vile, vigliacco, immondo raid vandalico, assume un peso ancora più grande. La memoria di Pamela Mastropietro è scomoda, rimossa in un oceano di omertoso silenzioso da tanti, troppi. “Dimenticata” anche da chi strumentalmente e per motivi di speculazione sociale e politica si fa paladino delle donne, contro il “patriarcato” e i “femminicidi”. Ma Pamela non è considerata vittima di femminicidio, è scomoda la sua memoria, la lotta per una giustizia piena e vera e la denuncia di mafie nigeriane e settori criminali che esistono e persistono nel Paese orrendamente sporco e altrettanto orrendamente (se non di più) spesso omertoso e vigliacco. Una prova dell’ipocrisia e del sensazionalismo strumentale l’abbiamo avuta nelle scorse settimane: nelle ore precedenti il barbaro assassinio, Pamela subì abusi e violenze sessuali da chi sfruttò coscientemente la sua situazione e non ci sarà nessuna giustizia su quelle tragiche ore.
Nel luglio 2020 in tribunale si sancì che non era possibile procedere contro l’autore perché mancava la denuncia della stessa ragazza. Una circostanza che si commenta da sola ma cadde nel silenzio, nell’omertà, nell’indifferenza. Gli stessi che tacciono su alcune mafie, che ancora oggi sostengono che le mafie nigeriane non esistono, portano avanti campagne ideologiche per difendere lo stupro a pagamento e la schiavitù sessuale. Ma le mafie nigeriane esistono, lo sfruttamento mafioso dello stupro a pagamento si consolida sempre più e aumentano i calvari – sempre più efferati, disumani, brutali, criminali – di migliaia di Liliam Solomon e Adelina Sejdini. Così come lo spaccio di droghe e altri traffici. E sono pericoli sociali devastanti sempre maggiore.
Nel Paese delle giornate della memoria e dell’impegno, della corsa a cerimonie e celebrazioni ogni anno la Giornata Internazionale contro la Tratta passa sotto silenzio, omessa, senza nessuna fanfara. Come nessuna fanfara, nessun ricordo, nessuna cerimonia in Abruzzo avviene per l’unica vittima in questa terra di mafia: Liliam Solomon è morta in un letto d’ospedale ma la sua tragica morte è colpa delle mafie nigeriane, degli stupratori paganti “brava gente”, è vittima di tratta, di un criminale business mafioso. La memoria di Pamela Mastropietro, la giustizia e la verità (quante volte si abusa di queste parole in questo Paese sparlando di mafie e legalità, di stragi e assassinii, di violenza contro le donne e tanto altro) è scomoda per i tanti branchi di vigliacchi che si nascondono dietro bandierine e parate ma non muoveranno mai un dito contro i ventri oscuri e sporchi, immondi e criminali, per chi alimenta i business criminali più schifosi (dal narcotraffico allo stupro a pagamento in cui le mafie nigeriane sono tra le più attive con le mafie albanesi) e per chi lucra socialmente.
«Le strutture criminali nigeriane sono attive su gran parte del territorio nazionale con presenze importanti nelle isole maggiori in particolare a Palermo, Catania e Cagliari ma anche nel Lazio e in Abruzzo. L’alto tasso di disoccupazione rilevato tra i nigeriani presenti sul territorio nazionale, raffrontato col considerevole ammontare delle rimesse di denaro dall’Italia verso la Nigeria, consente di ipotizzare che un significativo numero di soggetti disoccupati o in posizione di inattività di etnia nigeriana presenti in Italia possa almeno potenzialmente essere attratto dalle compagini malavitose autoctone o di quell’etnia e che i flussi delle rimesse, oltre alla quota sicuramente preponderante di natura lecita che attesta l’operosità della comunità nigeriana, possano celare anche proventi di attività illegali. Gli interessi criminali delle consorterie nigeriane si concentrano sulla tratta di esseri umani connessa con lo sfruttamento della prostituzione e l’accattonaggio forzoso a cui si associa un progressivo sviluppo nel settore del narcotraffico gestito talvolta in collaborazione con gruppi criminali albanesi. Il traffico di stupefacenti continua infatti a rappresentare il core business dei sodalizi nigeriani e la presenza di nigeriani in gruppi criminali multietnici viene confermata dalle evidenze investigative del periodo in esame». È questo il primo paragrafo della sezione dedicata alle mafie nigeriane dell’abstract di una delle ultime relazioni semestrali della DIA.
«A cosa serve organizzare eventi commemorativi se poi tutto ciò che viene creato viene distrutto e a nessuno sembra importare? È fondamentale ricordare le persone e le storie che ci hanno toccato, ma sembra che il nostro impegno venga sprecato. È tempo di riflettere su quanto valore diamo alla memoria e alla dignità delle vittime» ha scritto il mese scorso Alessandra Verni in occasione della denuncia del raid vandalico a Macerata. Sono domande che ogni coscienza dovrebbe porsi, che dovrebbero interrogare chiunque ha un minimo di onestà intellettuale e ha il coraggio di guardare la realtà reale e non quella che fa comodo a determinazioni narrazioni strumentali ed interessate. Anche quando cercano di apparire antimafia, contro la violenza e così via.
«Si è rischiato il bis di Pamela» ha denunciato il 19 luglio scorso la testata giornalistica online locale Picchio.news. «Nella notte tra il 27 e il 28 giugno scorso, dunque meno di un mese fa, una ragazza al di sotto dei 30 anni tra corso Cavour, corso Garibaldi e piazza Puccinotti sarebbe stata aggredita e stuprata da almeno tre uomini di colore – si legge nell’articolo – L’avrebbero anche presa a morsi. È arrivata al pronto soccorso praticamente in coma. Lei cercava droga e stava per trovare la morte. Lo shock subito è stato così forte che la ragazza è stata affidata ai servizi psichiatrici». «Chi ha assistito la ragazza e conosce la dinamica dei fatti sostiene che si “è rischiata una seconda Pamela Mastropietro”.
Ma nessuno sa più nulla: né della ragazza, né delle indagini, né se si volesse fare di lei ciò che probabilmente Oseghale voleva fare di Pamela Mastropietro – sottolinea l’autore dell’articolo – È una sorta di codice d’onore della mafia nigeriana non avere rapporti con donne bianche se non a un solo scopo: renderle schiave perché sul mercato della prostituzione le bianche rendono di più. Per adescarle si usa sempre la droga: successe con Pamela, è successo ancora. I morsi potrebbero indicare parte del rito di affiliazione di alcuni “culti” (così si chiamano le cosche nigeriane) che impongono di “mangiare” la vittima».
L’autore dell’articolo su Picchio.news riporta alcuni gravi episodi di violenza avvenuti in città e nei dintorni e torna a sottolineare le zone grigie e i tanti interrogativi sul femminicidio di Pamela Mastropietro. «Ha forse ragione Alessandra Mastropietro – la mamma della povera Pamela – a sostenere che i complici di Oseghale sono ancora a piede libero? E se è vero com’è vero che lo spaccio di droga a Macerata è in mano ai nigeriani, se è vero come parzialmente l’inchiesta sull’atroce fine di Pamela ha dimostrato che Macerata è un covo “silente” per la mafia nigeriana possiamo liquidare come episodici gli atti di violenza che quasi quotidianamente turbano la città? – le domande poste nell’articolo pubblicato sulla testata giornalistica online maceratese – E’ giustificato o no che le madri delle ragazze che abitano in centro storico dopo l’aggressione a questa giovane di cui nulla si è voluto far sapere oggi vivano angosciate ogni volta che le figlie tardano?»
Sei mesi fa a San Bonifacio (provincia di Verona) fu trovata senza vita la 15enne Nora Jlassi. «Io voglio giustizia, chi ha fatto male a mia figlia deve andare in galera – ha dichiarato la madre all’Adn Kronos – il caso di Nora non va dimenticato, noi vogliamo si vada a fondo». «A febbraio scorso è scattato l’arresto di un marocchino di 34 anni, accusato di spaccio plurimo aggravato dal fatto di aver ceduto stupefacenti a un minore in cambio di prestazioni sessuali e sono state indagate anche altre due persone» ricorda l’Adn Kronos.
«La 15enne, ricorda la mamma, era finita da un po’ di tempo in un brutto giro per toglierla dal quale “l’ho portata nella comunità di San Patrignano” – prosegue l’agenzia stampa – Dalla comunità è scappata più volte, ricorda De Gioannis, aggiungendo che “dopo un anno è stata fatta rientrare a casa per verifica” ma la situazione da parte dei parenti “non era gestibile. Ho fatto 147 segnalazioni, ma nessuno mi ha aiutata”, sostiene la mamma di Nora spiegando che la situazione è peggiorata quando la figlia ha iniziato a uscire con una donna più grande, “una brasiliana”, e quando “è entrata nel tunnel della droga iniziando a toccare la cocaina”».
«La giovane età, la fragilità, le sostanze stupefacenti. Il caso di Nora fa tornare alla mente casi di altre giovanissime vittime come Desirèe Mariottini, la sedicenne di Cisterna di Latina morta il 19 ottobre del 2018 in uno stabile abbandonato in via dei Lucani, nella zona di San Lorenzo a Roma, Pamela Mastropietro, la 18enne romana allontanatasi da una comunità, violentata, uccisa e fatta a pezzi nel 2018 a Macerata, o, ancora, Amalia Voican, un’altra giovane trovata morta in uno stabile ai piedi della Basilica di San Giovanni, sempre a Roma» sottolinea l’Adn Kronos. Marco Valerio Verni, legale della famiglia Mastropietro e della mamma di Amalia, assiste oggi la madre di Nora Jlassi.
Tra le africane schiave della tratta, «Siamo diventate bancomat di carne»