Agosto sta finendo, parafrasando la storica canzone dei Righeira, e con esso la stagione delle vacanze, del caldo estivo, del riposo. Che distrae e fa staccare mente e occhi. Sarà questo, probabilmente, il movente del disinteresse totale e generale – tranne poche eccezioni – per una notizia dai contorni che sconcertano e dovrebbero scuotere.
Una notizia che è giunta, ormai settimane fa, da Roberto Saviano sulle colonne del Corriere della Sera.
Eppure il silenzio è stato pressoché totale. E se “Un bel tacer mai scritto fu”, come esclamò Ericlea, la nutrice di Ulisse, nel quinto atto dell’opera lirica “Il ritorno di Ulisse” nel 1641, poche volte come in questa occasione c’è granitica conferma.
«I fratelli Pellini, condannati nel 2017 a 7 anni per disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti — dopo anni di sversamenti di fanghi industriali, solventi, metalli pesanti nelle campagne di Acerra — avevano visto confiscare 200 milioni di euro di beni: 8 società, 224 immobili, 75 terreni, auto, barche, elicotteri – racconta Saviano – Poi, nel 2025, la Cassazione ha annullato la confisca. Non perché innocenti, ma per un vizio formale: la sentenza d’appello era stata depositata troppo tardi. La Procura ha provato a rimediare con un nuovo sequestro, ma incombe il rischio di un altro annullamento. Una pezza su un errore madornale».
«Secondo i medici per l’ambiente (Isde), nel periodo 2013–2018 Acerra ha registrato un tasso standardizzato di incidenza di 1.047 casi di tumore ogni 10.000 abitanti, a fronte di una media nazionale di circa 697/10.000. Sono cifre che non spiegano tutto — l’epidemiologia richiede cautela e correlazioni robuste — ma danno la misura di un allarme sanitario – riporta Saviano sulle colonne del Corriere della Sera – Dalla sentenza derivò il sequestro di patrimoni accumulati negli anni: circa 200 milioni di euro, che in inventario significavano 8 società, 72 autoveicoli, 75 rapporti finanziari, 224 immobili, 75 terreni, 3 imbarcazioni e 2 elicotteri».
«I fratelli Pellini – Giovanni, Salvatore (ex maresciallo dei Carabinieri), nel processo scaturito dall’operazione Carosello Ultimo Atto (2003), sono stati condannati in appello dalla IV sezione penale di Napoli per disastro ambientale nel 2015. Condanna confermata il 17 maggio 2017 dalla Cassazione – abbiamo raccontato in un nostro articolo il 19 gennaio 2020 ricordando Michele Liguori, vigile del fuoco ammalatosi mentre documentava i veleni delle ecocamorre, come accaduto anche a Roberto Mancini, poliziotto – Secondo l’accusa, rifiuti industriali del Nord – con l’artificio del giro bolla (la sostituzione dei codici Cer e il cambio di tipologia del rifiuto) – venivano declassificati in non pericolosi e sversati nelle campagne dell’agro nolano e casertano come compost o depositati in cave tra Acerra, Giugliano, Qualiano e l’area flegrea di Bacoli. «Una mole rilevante di rifiuti gestiti contra legem attraverso uno smaltimento illegale e uno sversamento di essi sulle aree e le zone a destinazione agricola», hanno scritto i giudici nella sentenza di condanna, «senza il rispetto delle minime regole che permettono l’individuazione delle sostanze in essi contenuti, così producendo una lesione all’equilibrio ambientale di proporzioni assolutamente gravi.
Si genera, allora, il pericolo per la pubblica incolumità, pur in assenza di eventi di morte o lesioni». In questi anni il più attivo nel contrastare i fratelli Pellini, con ripetute denunce, è stato Alessandro Cannavacciuolo, residente ad Acerra e nipote di Vincenzo (un pastore morto, nel 2007, avvelenato dalla diossina a 59 anni), ha subìto varie minacce e intimidazioni: la mattina del 5 novembre del 2015 Alessandro Cannavacciuolo trovò morti (avvelenati) i suoi due pastori maremmani, Sergente e Belle. Nel 2008 le pecore della famiglia sono state abbattute per l’eccessiva presenza di diossina nel sangue».
Proprio Alessandro Cannavacciuolo nel luglio dell’anno scorso pubblicò in un post facebook un articolo di Il Mattino dal titolo più che eloquente: «Rifiuti incubo infinito, dai terreni dei Pellini spuntano nuovi veleni».
«In questo lavoro a cui tengo tantissimo perché riguarda la mia terra e la mia gente si vedono e si sentono tante cose vecchie, ma soprattutto cose nuove, purtroppo – ha sottolineato il 7 aprile scorso Amalia De Simone raccontando l’inchiesta per “Mi Manda RaiTre” da lei realizzata dal titolo “La terra che brucia” – Si sentono i cattivi. Si sente dire dai fratelli Pellini condannati per disastro ambientale, che la terra dei fuochi è colpa del Vesuvio dei vaccini e delle persone rom; vado a cercare il principale broker delle ecomafie che avrebbe obbligo di dimorare nel casertano e invece non lo trovo mai; parlo con il pentito Gaetano Vassallo e lui senza colpo ferire mi dice: “Io vi ho avvelenato è vero, ma dopo, sulle mie discariche ha sversato lo Stato e le ha usate come le ho usate io e soprattutto in trent’anni non le ha mai bonificate. Ho firmato documenti di smaltimento di rifiuti del Nord che non so che fine abbiano fatto e che credo siano rimasti in Lombardia e in Toscana”».
La notizia dell’annullamento della confisca ai fratelli Pellini è arrivata pochi giorni prima del tormentone ferragostano, che ci ha accompagnato con ampio clamore per diversi giorni, sulla notizia di multe sempre più severe (anche 18.000 euro) per automobilisti sporcaccioni e indisciplinati che buttano rifiuti o mozziconi di sigarette dai finestrini. Un provvedimento inserito in un decreto molto più ampio che interessa proprio la “Terra dei Fuochi”. Qualcuno se ne era accorto?