Due mesi. Due lunghissimi mesi di silenzio, polemiche, post indignati e richieste di chiarimenti. Solo così, alla fine, è tornata al suo posto l’insegna che campeggiava all’ingresso di Petilia Policastro, in provincia di Crotone:
“Città del Coraggio Femminile”, in onore di Lea Garofalo, la donna testimone di giustizia che osò sfidare la schifosa ’ndrangheta e pagò con la vita.
La targa era stata collocata oltre dieci anni fa, quando il Consiglio comunale – allora guidato dal sindaco Amedeo Nicolazzi – decise di intitolare ufficialmente Petilia alla memoria di Lea, originaria della frazione Pagliarelle, brutalmente assassinata per aver rotto il codice secolare della infame mafia calabrese.
Un gesto forte, civile. Un’azione di rottura in una terra segnata dalla paura, dall’omertà e dalle complicità. Ma anche un gesto che richiede memoria viva, coraggio nel tempo. Coraggio che, negli anni, sembra essersi affievolito.
Per sei anni consecutivi, Petilia ha ospitato nel mese di maggio la “Giornata del Coraggio Femminile”, premiando donne provenienti da tutta Italia impegnate in battaglie civili, culturali, professionali. Una manifestazione partecipata, simbolica, che faceva di Petilia un luogo di riferimento nazionale.
Ma tutto si è fermato nel 2021, con l’insediamento della nuova Amministrazione comunale, guidata dal sindaco Simone Saporito. Nessuna spiegazione ufficiale. Nessun comunicato. Nessuna parola alla cittadinanza.
Dopo l’omaggio a uno degli assassini di Lea Garofalo (alla fine troverete i nostri link), nei primi giorni di luglio 2025, i cittadini notano che l’insegna storica è completamente deteriorata, bruciata dal sole, corrosa dal tempo e abbandonata a se stessa. Una ferita morale, un segnale di indifferenza istituzionale, una rinuncia alla memoria collettiva.
Non una delibera, non un’iniziativa ufficiale, ma una mobilitazione spontanea di cittadini indignati e una vivace battaglia sui social hanno riportato il tema al centro del dibattito. Messaggi, foto, articoli, appelli: la comunità ha reagito.
E così, in silenzio, senza comunicazioni pubbliche, l’Amministrazione ha deciso di ripristinare l’insegna. Nessuna cerimonia, nessuna nota stampa, nessuna parola ufficiale. Ma almeno, il simbolo è tornato al suo posto.
Una vittoria popolare, sì. Ma anche una sconfitta politica, perché dimostra quanto la memoria, se non sostenuta da scelte coerenti e coraggiose, rischia di diventare solo una targa da ripulire ogni tanto.
La vicenda della targa di Petilia è solo una delle tante storie italiane in cui la memoria delle vittime della criminalità organizzata viene messa da parte, archiviata, dimenticata. Ed è solo grazie alla pressione dal basso, alla voce di chi non vuole accettare la rimozione simbolica, che si riesce ogni tanto a invertire la rotta.
Ogni targa rimossa, ogni manifestazione sospesa, ogni nome dimenticato è un favore fatto alla mafia. È una carezza all’omertà.
È una nuova pugnalata a chi ha avuto il coraggio di testimoniare.
E Lea Garofalo, quel coraggio, lo ha avuto. Lo ha pagato con la vita.
Ha sfidato tutto e tutti, da sola, con una figlia piccola e un’Italia che spesso preferisce non vedere.
Il collega calabrese Francesco Rizza esprime soddisfazione, “anche a nome dei tanti cittadini che non solo sui social mi hanno espresso vicinanza per la richiesta di ripristinare la tabella del Coraggio Femminile che, anche se in perfetto silenzio l’Amministrazione comunale ha inteso a ripristinare al proprio luogo.
I simboli, tutti i simboli, hanno un valore intrinseco che tutti dobbiamo rispettare.Evidentemente saremo veramente contenti quando riprenderanno a Petilia le giornate del Coraggio Femminile che l’Amministrazione comunale del sindaco Simone Saporito ha deciso di interrompere dopo sei edizioni senza dare nessuna spiegazione alla popolazione, ma già la ricollocazione della tabella al proprio posto ha una propria importanza come il desiderio di alcuni cittadini di riposizionarla a proprie spese”.
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