Siamo accusati di essere passati dall’altra parte. Questa accusa ci fa ridere a crepapelle. Ma perché riceviamo questi messaggi indiretti? Per aver presentato un libro che racconta il sistema Montante, un intreccio di potere e corruzione che ha disturbato molti. Perché, secondo qualcuno, non dovremmo occuparci di certi argomenti. Ma la verità è semplice: noi siamo giornalisti e facciamo il nostro mestiere. Scriviamo fatti veri.
Petilia Policastro: la verità scomoda che abbiamo raccontato
Chi oggi ci attacca sembra aver dimenticato – o meglio, scelto di dimenticare – che siamo stati noi a far emergere il caso di Petilia Policastro, dove un funerale e dei manifesti hanno reso omaggio a un mafioso.
Non ci siamo fermati alle parole: abbiamo scritto oltre 50 articoli su quella vicenda, abbiamo presentato una querela dopo aver ricevuto minacce dalla sorella del mafioso, abbiamo fatto dimettere un assessore comunale e indicato pubblicamente gli altri amministratori presenti al funerale.
Questa non è retorica. È giornalismo. È lavoro fatto sul campo, con coraggio e con risultati.
Commissione Antimafia e testimoni di giustizia
Non solo Petilia. Da anni denunciamo le ombre e le contraddizioni delle istituzioni. Abbiamo pubblicato oltre 40 articoli sulla Commissione Antimafia e sul trattamento indegno riservato in Italia ai testimoni di giustizia.
Chi ci accusa lo sa bene, ma preferisce tacere. Perché dire la verità costa. Scrivere fatti veri significa mettersi contro poteri grandi e piccoli.
Il libro sul sistema Montante
È bastato presentare un libro che racconta il sistema Montante per scatenare le accuse. Evidentemente certi temi bruciano ancora. Non tutti hanno interesse a far riemergere verità che disturbano equilibri, carriere, amicizie.
Ma il nostro compito non è salvaguardare i silenzi. Il nostro compito è romperli.
La pretesa sul Premio Nazionale Lea Garofalo
C’è poi un altro fronte, altrettanto assurdo. Qualcuno ha avanzato la pretesa di intervenire sui testimoni di giustizia scelti dalla giuria del Premio Nazionale Lea Garofalo. Una pretesa che rivela una mentalità pericolosa: come se esistesse un’autorità invisibile a cui chiedere il permesso per ricordare Lea, per scegliere chi racconta la verità, per parlare di legalità.
E invece no: non esiste il monopolio sulla legalità. La legalità non appartiene a nessuno. È un patrimonio collettivo, che si difende con i fatti, non con le pretese e le intimidazioni.
Giornalismo è fatti, non autorizzazioni
Abbiamo scelto, e continueremo a scegliere, la strada più difficile:
-
raccontare la realtà senza filtri;
-
dare voce a chi denuncia e resiste;
-
sfidare i silenzi e le convenienze.
Non ci servono patenti di legittimità. Non ci serve il timbro di nessuno. Non ci spaventano le accuse, le minacce, i silenzi.
Le accuse le rispediamo al mittente. Noi continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto: scrivere, raccontare, denunciare. Con libri, articoli, inchieste, premi, eventi.
La legalità non è una bandiera da sventolare quando conviene, non è una medaglia da appuntarsi al petto. La legalità è una scelta quotidiana. Una fatica, un rischio, una responsabilità.
E noi non arretriamo.

In calce pubblichiamo alcuni articoli sui fatti citati. Siamo sempre disponibile a un dialogo. Perchè certe cose si contestano in faccia, non alle spalle. Noi, che non riceviamo soldi da nessuno e facciamo questo bellissimo mestieraccio gratuitamente, siamo abituati a lavorare. Questi interventi sottraggono tempo utile al nostro lavoro.
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