Scopri la storia delle Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943), l’insurrezione popolare che liberò la città dall’occupazione tedesca. Una pagina eroica della Resistenza italiana.
Tra il 1940 e il 1943 Napoli fu duramente colpita dai bombardamenti alleati, con oltre 25.000 vittime civili e un patrimonio artistico devastato. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, la città fu occupata dalla Wehrmacht, che impose rastrellamenti, coprifuoco e deportazioni. La popolazione, stremata e senza guida militare, vide nei comandi tedeschi non solo un nemico, ma la minaccia di una deportazione di massa verso i campi di lavoro in Germania.
Il colonnello Walter Scholl, comandante delle truppe tedesche, proclamò lo stato d’assedio e ordinò rappresaglie indiscriminate. Rastrellamenti, fucilazioni pubbliche e incendi — come quello alla Biblioteca Nazionale — alimentarono la rabbia dei napoletani. La chiamata al lavoro coatto per i giovani tra i 18 e i 33 anni fu la goccia che fece traboccare il vaso: su 30.000 convocati risposero solo in 150. Da quel momento l’insurrezione era inevitabile.
Walter Scholl: profilo di un carnefice obbediente
Walter Scholl, 58 anni nel 1941, è l’emblema del militare modesto e ubbidiente, privo di fantasia e allergico all’imprevisto. Quarant’anni di caserma gli hanno temprato un solo riflesso: eseguire. Non ama l’Italia e disprezza gli italiani: li considera indisciplinati e inaffidabili, l’esatto contrario del soldatino che ha in testa. Quando, dopo l’esperienza africana, viene assegnato al distretto di Napoli (dicembre 1941), trova una città ancora “gestibile”. Ma la calma è una pelle sottile.
Con il 1943 tutto precipita. Bombardamenti anglo-americani, fame, mercato nero, materie prime alla corda: Napoli è una bomba sociale. Lo sbarco a Salerno è la scintilla. La popolazione, esausta, non ci sta più. Scholl viene messo a capo delle forze d’occupazione della città. Convinto che basti spaventare per governare, prende la strada più rovinosa.
Il “proclama ai napoletani”: manuale della repressione
Scholl fa pubblicare sul Roma il suo proclama:
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Coprifuoco e stato d’assedio;
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Consegna di armi e gioielli ai tedeschi, pena la fucilazione;
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Lavoro coatto per i giovani;
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Rappresaglie collettive: “cento napoletani per ogni tedesco”.
È la grammatica della paura. Ma su un popolo allo stremo l’effetto è l’opposto: accende la rivolta. Le donne liberano i ragazzi dai rastrellamenti, gli scugnizzi fanno da staffette, operai e studenti imbracciano quel che trovano. Il 27 settembre 1943, al Vomero, esplodono le Quattro Giornate.
Scholl sottovaluta Napoli perché non la capisce. Scambia la disperazione per indisciplina, l’orgoglio per insolenza. È prigioniero del pregiudizio: per lui l’italiano è un problema d’ordine pubblico. Risponde con ordini, liste, minacce. Crede che i proclami bastino. Non ascolta, non vede. E quando vede, è tardi.
Con gli Alleati alle porte e i reparti tedeschi già in marcia verso Roma, a Napoli restano sacche di truppe e tanta rabbia. La guerriglia urbana stringe il cappio. Scholl capisce che la città non si piega e fa l’unica mossa “originale” della sua carriera: tratta. Accetta lo scambio: libero passaggio ai tedeschi in uscita dalla città in cambio della liberazione dei prigionieri (Littorio). È il suo unico primato: primo nazista a scendere a patti con una popolazione insorta. Non per pietà: per salvarsi.
I tedeschi lasciano Napoli per ripiegare sulla Linea Gustav. Non senza vendette: colpi di mortaio sulla città, binari tranciati, ponti fatti saltare, archivi bruciati. Napoli però, il 1º ottobre 1943, accoglie gli Alleati già libera: merito dei suoi cittadini, non degli eserciti.
Che cosa resta di Scholl
Resta il profilo nudo di un esecutore: nessuna visione, nessuna grandezza, solo obbedienza. Un ufficiale che scelse il terrore come politica e trattò solo quando la storia gli sbarrò la strada. Il suo “ordine” produsse caos; la sua “disciplina” accese coraggio. Se le Quattro Giornate sono riscatto, Scholl è il contrappunto: il volto grigio della macchina d’occupazione, assassina per regola e per abitudine.
Perché parlarne oggi
Per ricordare che la disumanità può indossare la maschera dell’obbedienza; che proclamare “ordine” contro un popolo affamato significa seminare rivolta; e che la libertà nasce spesso dove un burocrate dell’orrore credeva di imporre silenzio. Napoli non fu indisciplinata: fu libera.
Le Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943)
27 settembre: il primo fuoco
La scintilla esplose al Vomero, quando un maresciallo tedesco venne ucciso da un gruppo di insorti. I combattimenti si estesero in tutta la città: studenti, marinai e civili assaltarono le caserme per recuperare armi.
28 settembre: la città si solleva
La rivolta dilagò. A Porta Capuana gli insorti bloccarono un posto tedesco, mentre al Vomero gli uomini di Enzo Stimolo liberarono centinaia di prigionieri detenuti nello stadio Littorio.
29 settembre: i napoletani trattano da pari con i tedeschi
Le barricate spuntarono in ogni quartiere. Figure simbolo come Maddalena Cerasuolo (“Lenuccia”), le donne di Ponticelli e persino i “femminielli” si unirono alla lotta. Per la prima volta i tedeschi furono costretti a trattare alla pari con gli insorti.30 settembre: Napoli in fiamme, ma libera
Mentre le truppe tedesche iniziarono lo sgombero, i combattimenti continuarono. Il professor Antonio Tarsia in Curia si proclamò capo dei ribelli. I tedeschi incendiarono l’Archivio di Stato, distruggendo documenti inestimabili.
1° ottobre 1943: la città già libera
Quando gli Alleati entrarono a Napoli il 1° ottobre, trovarono la città già libera grazie al coraggio del suo popolo. Napoli fu la prima grande città europea a insorgere con successo contro i nazisti.
Le cifre delle vittime variano: tra 155 e oltre 500 morti. Tra loro molti scugnizzi, come Gennarino Capuozzo (11 anni) e Filippo Illuminato (13 anni), insigniti della medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
La città ricevette la Medaglia d’oro al valor militare, con questa motivazione:
«Con superbo slancio patriottico seppe ritrovare, in mezzo al lutto ed alle rovine, la forza per cacciare dal suolo partenopeo le soldatesche germaniche».
Un simbolo di Resistenza e libertà
Le Quattro giornate di Napoli non furono solo una battaglia armata, ma anche una resistenza civile fatta di sabotaggi, boicottaggi e non collaborazione. Donne, studenti, operai, preti e femminielli scrissero insieme una pagina che anticipò la Resistenza italiana.
Oggi piazze, scuole e monumenti ricordano quell’insurrezione: dal monumento allo scugnizzo alla Riviera di Chiaia alle lapidi nei luoghi degli scontri. La memoria continua a vivere anche attraverso cinema, teatro e letteratura.
Le Quattro giornate di Napoli rappresentano il riscatto di un popolo che, ridotto alla fame e sotto il terrore, seppe alzarsi in piedi contro l’oppressione. Un esempio universale di coraggio e di lotta per la libertà, ancora oggi monito e speranza per le nuove generazioni.