C’è un’immagine che racconta più di mille discorsi parlamentari: un soffitto che crolla su un’aula vuota.
Vuota solo per caso. Vuota perché gli studenti erano in piazza, a gridare la loro indignazione contro la complicità del governo italiano nel genocidio di Gaza, contro il silenzio e l’indifferenza di un Paese che ha perso il senso delle sue priorità.
Come riportato da BlogSicilia, qualche giorno fa si è verificato un cedimento di una parte del soffitto nell’androne di una scuola di Siracusa. Fortunatamente non ci sono stati feriti: al momento del crollo l’edificio era quasi vuoto, poiché gli studenti avevano aderito allo sciopero generale del 3 ottobre.
Un destino beffardo: sono vivi perché hanno protestato.
Gli studenti si sono salvati non grazie allo Stato, ma nonostante lo Stato.
Se non avessero scioperato per denunciare la complicità dell’Italia nei massacri di Gaza, forse oggi staremmo parlando di morti, di funerali, di dolore. Li ha salvati la loro disobbedienza civile, la loro scelta di scendere in piazza, di non voltarsi dall’altra parte.
Ogni anno, in Italia, crollano scuole, ponti, ospedali. Ogni anno le autorità ripetono la stessa litania: “tragedia sfiorata”, “faremo tutto il possibile”, “mancano i fondi”.
Eppure i fondi, come per magia, spuntano fuori quando si parla di armi, di missioni militari, di grandi opere (inutili) come il Ponte sullo Stretto.
Per la scuola pubblica, invece, restano solo promesse e macerie.
Il governo Meloni parla di “patria” e “merito”, ma abbandona i luoghi dove quella patria dovrebbe formarsi e quel merito dovrebbe crescere.
Parla di “valori” e “famiglia”, ma lascia aule e corridoi pieni di crepe e infiltrazioni. Parla di “difesa dell’Occidente”, ma vende armi a chi bombarda civili.
È l’Italia del 2025:
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che trova miliardi per la spesa militare,
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che promette ponti sul mare ma non riesce a riparare un soffitto,
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che criminalizza chi protesta, ma non chi specula sulla pelle dei ragazzi.
Ogni cedimento edilizio è un simbolo.
Non è solo calcestruzzo che si sgretola, è la fiducia dei cittadini che si frantuma.
È il segno di uno Stato che si disinteressa dei suoi figli e preferisce finanziare l’industria bellica, piuttosto che garantire la sicurezza di chi studia per cambiare il mondo.
E allora sì, oggi i ragazzi di Siracusa sono vivi. Ma non perché qualcuno li ha protetti: sono vivi perché hanno detto NO.
Perché hanno scelto la strada, la voce, la coscienza. E quella scelta li ha salvati.
La lezione più importante di oggi non si trova sui libri, ma tra gli striscioni degli studenti.
Quelli che protestano per la pace, per la giustizia, per la scuola, e che si salvano la vita proprio scioperando.
La domanda che resta, e che pesa come un macigno, è solo una:
quante altre volte dovrà crollare un tetto prima che crolli questo modo di governare?
Immagine AI