Negli ultimi due anni, la questione palestinese è riemersa in tutta la sua verità, squarciando la cortina della propaganda occidentale. Per decenni, la narrazione dominante ha raccontato di un’Israele che si difende dai terroristi, mentre oggi, dopo le immagini del genocidio in diretta, il mondo intero è costretto a guardare la realtà: Israele è nato con una visione coloniale, sottraendo terre agli abitanti originari che vi vivevano da secoli.
Sin dalla sua fondazione, lo Stato israeliano si è macchiato di crimini di guerra, della distruzione di interi villaggi palestinesi, della deportazione di comunità e di stragi sistematiche contro chi difendeva la propria terra. Il sionismo, ideologia fondante di questo progetto, ha sfruttato il dramma dell’Olocausto — crimine compiuto da europei, non da palestinesi — per confondere antisionismo e antisemitismo, imponendo un dogma mediatico e politico che ha silenziato ogni voce critica.
Il ruolo coloniale di Israele nel Medio Oriente
Israele è, da sempre, l’avamposto dell’Occidente nel Medio Oriente. Non un Paese “che si difende”, ma una base coloniale e militare utile a controllare una delle aree più strategiche del pianeta: quella delle fonti energetiche e delle rotte commerciali.
L’appoggio delle potenze occidentali, in primis degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, è totale e incondizionato. Ma oggi la narrazione della “vittima” si è spezzata: chi bombarda ospedali, scuole, campi profughi e civili disarmati non può più presentarsi come difensore della libertà.
In questa dinamica perversa, anche Hamas è stato — storicamente — strumentalizzato da Israele stesso per alimentare la divisione interna e fornire un pretesto politico e militare. L’obiettivo era chiaro: giustificare, davanti al mondo, la pulizia etnica e il controllo totale della Palestina.
Oggi, però, il disgusto globale per il massacro di Gaza e per un esercito che bombarda civili e impedisce i soccorsi ha superato ogni limite. La reazione internazionale è imponente, trasversale, e non deve spegnersi.
È il momento di intensificare il boicottaggio dei prodotti israeliani, di rompere i rapporti economici e culturali con uno Stato che pratica il terrorismo di Stato, fino a quando non sarà riconosciuto uno Stato Palestinese libero, autonomo e sovrano.
Ogni tregua potrà essere utile solo se metterà fine al genocidio in corso — ma la sfiducia verso un regime coloniale e militare deve restare vigile.
Un mondo sull’orlo del baratro
Il dramma palestinese è anche lo specchio del fallimento del neoliberismo globale. Le élite economiche e politiche che dominano l’Occidente — costruite attraverso il controllo dell’economia e dell’informazione — non rispondono più alle esigenze dei popoli, ma agli interessi finanziari di pochi.
E in questo vuoto morale e politico cresce il pericolo di una nuova guerra mondiale. Per evitarla, serve un cambio radicale di paradigma: restituire centralità alla giustizia, alla solidarietà tra i popoli e alla dignità umana.
Il problema palestinese resterà aperto finché non verrà riconosciuto il diritto del popolo palestinese alla libertà e alla vita.
Non è una questione di religione o di geopolitica, ma di umanità.
E l’umanità, oggi, ha il dovere di scegliere da che parte stare.





