Il silenzio della memoria è stato travolto dal rumore della propaganda. A riaccenderla, una decisione della Cassazione che ha respinto il ricorso di Marcello Dell’Utri contro la confisca dei suoi beni. Un provvedimento tecnico, che in teoria non cambia nulla.
Eppure, nel mondo politico e mediatico, è bastato per trasformarsi in un falso trionfo morale.
“La Corte di Cassazione ha definitivamente chiarito ciò che era ovvio per noi e per tutti gli italiani in buona fede: non è mai esistito alcun legame tra Berlusconi, Dell’Utri e Cosa Nostra”, ha detto euforicamente Antonio Tajani, vicepremier e segretario di Forza Italia.
“Finisce una persecuzione giudiziaria e politica vergognosa, fondata sul nulla”, ha aggiunto Barbara Berlusconi.
E il solito Maurizio Gasparri – da sempre impegnato a sparare cazzate – ha parlato di “teoremi smontati e falsità smentite”, puntando il dito contro “alcune Procure e certi protagonisti dell’uso politico della giustizia”.
La grande stampa, nella sua maggioranza, si è accodata. Titoli trionfali e falsamente distorti. Una cassa di risonanza alle dichiarazioni dei politici, senza leggere le carte e senza ricordare che la Cassazione, tre volte in undici anni, ha detto esattamente il contrario.
Nelle sentenze del 2014, del 2021 (Sezioni Unite) e del 2021 (Civile), la Corte Suprema descrive un sistema di relazioni stabili tra Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi e Cosa Nostra: rapporti mediati, consapevoli, funzionali e duraturi.
E lo fa con nomi, prove e circostanze, non con teoremi.

2014: Dell’Utri condannato per concorso esterno. “Protezione in cambio di denaro”.
Il 9 maggio 2014, la Cassazione (Sez. VI Penale) scrive una delle sentenze più importanti della storia repubblicana.
Conferma la condanna definitiva di Marcello Dell’Utri a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Tutti in carcere, fino all’ultimo giorno. Senza dire mezza parola. Alla Mangano, il mafioso ergastolano, lo stalliere di Arcere “assunto” per proteggere la famiglia di Mister B.
Nelle motivazioni, la Corte lo definisce “cerniera stabile tra Berlusconi e i vertici di Cosa Nostra”.
“Dell’Utri ha fornito un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario al rafforzamento dell’organizzazione mafiosa, fungendo da intermediario fiduciario tra i vertici di Cosa Nostra e l’imprenditore Berlusconi.”
Non è un’opinione, è un fatto giudiziario accertato. Le prove raccolte nei vari gradi di giudizio raccontano un patto che nasce nei primi anni Settanta, quando Berlusconi, allora giovane imprenditore milanese, chiede protezione per sé e per la propria famiglia.
1974–1980: il patto di protezione
La Cassazione ricostruisce l’origine dell’accordo:
“Dell’Utri mise in contatto l’imprenditore Berlusconi con Gaetano Cinà e Stefano Bontate, capi del mandamento di Santa Maria di Gesù, i quali si impegnarono a garantire la protezione delle persone e delle attività economiche in cambio di somme di denaro periodiche”.
Si trattava di una tassa di sicurezza, versata con regolarità. Un accordo di reciproco vantaggio: la mafia garantiva tranquillità, il gruppo Berlusconi pagava. Il linguaggio dei giudici è asciutto, ma devastante: un rapporto stabile, consapevole, reiterato.
1981–1992: la continuità dei pagamenti e il consolidamento dei rapporti
Dopo la morte di Bontate (capo-mafia), l’accordo non si interrompe. Subentra Michele Greco, detto “il Papa”, e Dell’Utri rinnova la mediazione. La Corte sottolinea che i flussi di denaro continuano e che “il contributo dell’imputato si colloca in una prospettiva di stabile cointeressenza, funzionale tanto alle esigenze di sicurezza dell’imprenditore quanto agli interessi di espansione dell’associazione mafiosa”.
È la prova di un rapporto non episodico, ma istituzionalizzato, inserito in un contesto di reciproca utilità.
La mafia offre protezione, Berlusconi ottiene sicurezza e influenza. Cosa Nostra guadagna prestigio, contatti e denaro pulito.
1993–1994: la politica, la garanzia, la continuità
Quando Berlusconi decide di scendere in campo, la mafia osserva con attenzione. Ha perso i referenti della Prima Repubblica e cerca nuovi interlocutori. Dell’Utri, per i giudici, è la garanzia di continuità.
“Per Cosa Nostra, Dell’Utri rappresentava una garanzia di affidabilità, quale interlocutore di fiducia dell’imprenditore che si apprestava a entrare in politica.”
La Cassazione non dice che Forza Italia nasce “per la mafia”, ma conferma che la mafia guardava con interesse a quella nuova forza politica, perché il suo cofondatore era lo stesso uomo che per anni aveva curato i rapporti tra Palermo e Arcore.

2021, Sezioni Unite: “Relazioni stabili e durature con l’organizzazione mafiosa.”
La sentenza n. 10355/2021 delle Sezioni Unite non è un processo penale, ma una decisione sulle misure patrimoniali a carico di Dell’Utri. Eppure, i giudici tornano con parole inequivocabili su quegli stessi rapporti:
“Le sentenze penali irrevocabili di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa attestano la stabile e duratura relazione dell’interessato con l’organizzazione mafiosa e ne confermano la pericolosità qualificata”.
Questa frase spazza via ogni illusione revisionista. La Cassazione non solo non smentisce la condanna del 2014, ma la rafforza: le relazioni tra Dell’Utri e la mafia “non furono occasionali”, ma “protratte nel tempo e funzionali al rafforzamento dell’associazione”.
Per la Suprema Corte, i beni accumulati da Dell’Utri e la sua carriera politica sono inseparabili da quel contesto criminale. La confisca è una conseguenza logica di una vita intrecciata con il potere mafioso. In un Paese normale.

2021, Cassazione civile: “Colletti Sporchi” non diffama, racconta fatti veri
Nello stesso anno, un’altra sentenza (Cassazione civile, Sez. III, n. 17965/2021) chiude una causa intentata da Fininvest contro i giornalisti Ferruccio Pinotti e Luca Tescaroli, autori del libro Colletti Sporchi. Nel volume, i due scrivevano che uomini del gruppo Fininvest versavano periodicamente duecento milioni di lire a Cosa Nostra, citando le dichiarazioni del collaboratore Salvatore Cancemi.
Fininvest denunciò per diffamazione. La Cassazione respinse tutto, difendendo il diritto di cronaca e riconoscendo che quelle affermazioni erano fondate su atti processuali e riscontri documentali.
“L’esposizione dei fatti nel libro ‘Colletti Sporchi’, basata su riscontri ed emergenze processuali, non può ritenersi connotata da illazioni od accostamenti suggestivi”.
“Il riferimento ai versamenti a Cosa Nostra da parte di persone appartenenti al gruppo Fininvest è fondato su dichiarazioni effettivamente rese in sede processuale”.
È un punto di svolta: la Cassazione afferma che raccontare i legami tra mafia e Fininvest non è diffamare, ma fare informazione fondata e doverosa.
Tre sentenze, una verità scomoda
Tre decisioni della Corte Suprema — 2014, 2021 (Sez. Unite) e 2021 (Civile) — formano un mosaico preciso:
- Berlusconi ottenne protezione mafiosa a partire dal 1974.
- Dell’Utri fu il garante del patto, l’intermediario fidato dei boss.
- I versamenti di denaro proseguirono per anni, consolidando un rapporto “stabile e duraturo”.
- La Cassazione confermò la pericolosità sociale di Dell’Utri, collegata ai suoi rapporti con la mafia.
- La Cassazione civile riconobbe la legittimità del racconto giornalistico sui versamenti del gruppo Fininvest.
È la storia documentata, scritta nei tribunali, non nei salotti televisivi.
Ed è la storia che la politica e gran parte della stampa fingono di non conoscere.

Noi abbiamo raccolto il punto di vista dell’avvocato Antonio Ingroia, già magistrato (esperto in questo campo, al contrario di tanti “pescivendoli” della parola):
“Ormai siamo in piena epoca “revisionismo” dove si pretende perfino di riscrivere la storia giudiziaria del nostro Paese perfino cancellando le sentenze definitive che invece sono, in quanto definitive, incancellabili.
Ed è una verità giudiziaria definitiva e quindi incancellabile che Dell’Utri era l’uomo-cerniera fra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi. Cosa Nostra aveva bisogno di Berlusconi e Berlusconi aveva bisogno di Dell’Utri, uomo di Cosa Nostra, per essere protetto dai rischi di sequestri di persona prima e di attentati a fini di estorsione poi.
Questo è accertato in modo definitivo e non può essere cancellato. In questi giorni si sta tentando di rappresentare una realtà rovesciata che non corrisponde alle verità giudiziarie consacrate e non cancellabili”.
E ha aggiunto:
“La recente pronuncia della Cassazione che ha confermato il rigetto della proposta di misura di prevenzione e confisca dei beni di Dell’Utri non riguardava affatto i fatti oggetto della sentenza definitiva di condanna di dell’Utri. Né potevano farlo, trattandosi di sentenza ormai definitiva”.
La stampa come megafono del potere
In questi giorni, le prime pagine di molti quotidiani (cartacei e online) hanno rilanciato senza verifica le parole di Tajani, Gasparri e Barbara Berlusconi. Titoli come “Berlusconi e Dell’Utri, nessun legame con la mafia” o “Cassazione cancella 30 anni di fango” hanno fatto il giro d’Italia.
Ma nessuno, o quasi, ha ricordato che la stessa Cassazione – nel 2014 e nel 2021 – ha certificato l’esatto opposto.
La stampa, quella che dovrebbe fare da argine, ha fatto da cassa di risonanza. Ha trasformato una decisione tecnica in un atto politico di assoluzione morale, cancellando con un colpo di penna decenni di processi, morti, indagini e verità accertate.
E così, ancora una volta, la memoria è stata sacrificata sull’altare dell’opportunità.

Tre sentenze, tre tempi, una sola verità: Dell’Utri e Cosa Nostra si parlarono, si accordarono, si aiutarono.
Berlusconi fu beneficiario di quella protezione. I giornalisti che lo scrissero avevano ragione.
Oggi la politica festeggia. Ma la Cassazione, quella delle carte e non dei comunicati stampa, ha già scritto tutto.
E la storia (la vera, non quella raccontata dai talk show) non si riscrive.
“Dell’Utri garantì la protezione mafiosa di Berlusconi e rafforzò Cosa Nostra.”
(Cassazione penale, 2014)
“Le relazioni con Cosa Nostra furono stabili e di lunga durata.”
(Cassazione Sezioni Unite, 2021)
“I versamenti a Cosa Nostra da parte di uomini Fininvest sono fondati su atti processuali.”
(Cassazione civile, 2021)
Tre frasi. Tre verità. Tutto il resto è rumore mediatico. E noia. Ma anche vergogna.

Abbiamo cercato anche il parere di Salvatore, fratello del magistrato Paolo Borsellino, massacrato il 19 luglio del ’92 da Cosa nostra e dallo Stato deviato e mafioso (peggio dei mafiosi).
Ecco il contributo sintetizzato:
Il Movimento delle Agende Rosse denuncia la manipolazione mediatica seguita alla sentenza della Cassazione su Marcello Dell’Utri, accusando gran parte della stampa di aver diffuso una falsa narrazione: la Corte non ha mai escluso i legami tra Berlusconi, Dell’Utri e Cosa Nostra, ma si è limitata a respingere un ricorso tecnico su misure di prevenzione.
Il Movimento ricorda che la condanna definitiva del 2014 ha già accertato il ruolo di Dell’Utri come ponte tra Cosa nostra e Berlusconi, e definisce questo nuovo racconto mediatico un tentativo di riscrivere la storia giudiziaria italiana.
“Difendere la verità e chi la racconta — afferma il Movimento — è oggi un atto di resistenza civile.”
Morto Silvio Berlusconi: ora Santo Subito, nel Paese senza memoria e senza vergogna
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