Ogni anno Bruno Vespa torna puntuale con il suo libro, immancabilmente dedicato a Mussolini, a Hitler, o a chi governa l’Italia. Una consuetudine editoriale che sembra ormai più un rito di fedeltà al potere che un contributo culturale.
I suoi volumi vengono presentati con ossequi e applausi, spesso alla presenza di ministri e presidenti del Consiglio in carica. Una sceneggiatura perfetta del giornalismo di corte, quello che in Italia non tramonta mai.
L’Italia è famosa nel mondo per molte cose, ma anche per una categoria di giornalisti che praticano un secondo mestiere: il maggiordomo del potere.
Lo si vede ogni mattina scorrendo la rassegna stampa: editoriali che sembrano comunicati ufficiali, interviste che paiono genuflessioni, domande che più che informare servono a compiacere.
Un giornalismo che, invece di raccontare, addobba il potere come fosse un altare.
E non è un caso se, come ricordava Norberto Bobbio, gli intellettuali “non tradiscono quando si occupano di politica, ma quando subordinano i propri ideali a una politica perversa”.
Molti l’hanno fatto, e continuano a farlo, barattando la propria autonomia per un posto a tavola, un invito in tv, una carezza del potente di turno.
Il materasso del potere
Da sempre, nel nostro Paese, i giornalisti e gli intellettuali — con le dovute e rare eccezioni — si rapportano al potere come al proprio materasso: un luogo comodo, sicuro, familiare.
Sono yes-men, uomini e donne del sì, che conoscono un solo monosillabo, incapaci di dire no, di dissentire, di rischiare.
Eppure il giornalismo dovrebbe essere, per sua natura, una forma di ribellione civile, una finestra aperta dove altri chiudono le tende.
Un tempo gramo, ma non senza SPES
Viviamo un tempo gramo, dove la speranza appare come un miraggio. Ma “SPES”, in latino, non è solo un sogno o un’illusione: è fiducia, attesa attiva, visione del futuro, tensione verso il cambiamento.
È la capacità di guardare oltre la nebbia della rassegnazione, oltre il conformismo di chi tace per convenienza.
Ciascuno di noi può — e deve — coltivare questa SPES dentro di sé.
È un atto di resistenza personale, una scelta di coscienza.
Perché, come scriveva Pasolini, “Io so… ma non ho le prove”. Eppure, continuare a cercare, indagare, denunciare, resta l’unico modo per non diventare complici.
Io la coltivo da sempre.
Altrimenti — sì — mi sentirei un idiota e un imbecille.




