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Adelina e Lilian: i volti delle vittime che hanno denunciato le mafie albanesi e nigeriane

Quattro anni fa la morte di Adelina Sejdini, uccisa dalla mafia e dall’abbandono dello Stato.

by Alessio Di Florio
6 Novembre 2025
in Mafie
Reading Time: 13 mins read
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Era il 1998, quasi trent’anni fa, quando l’Albania fu travolta da una crisi economica e sociale scatenata da una truffa finanziaria su larga scala. Migliaia furono i cittadini albanesi che furono gettate nella miseria e nella disperazione. E ripartirono i viaggi verso l’Italia, iniziò una massiccia immigrazione con innumerevoli barconi che solcarono l’Adriatico. I governi albanesi e italiani dell’epoca tentarono di fermare quest’enorme flusso migratorio, di contrastare il traffico di migranti. Furono i mesi della strage del Venerdì Santo, l’unico blocco navale mai realizzato da un governo italiano. Il naufragio della Katër i Radës, inseguita da una corvetta italiana, causà 81 morti, 24 persone non furono mai ritrovate.

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Le forze dell’ordine albanesi requisirono, in una operazione contro i traffici di esseri umani, molte barche. A Valona i trafficanti sequestrarono il capo della polizia fin quando non furono loro restituite le barche sequestrate. Un episodio inquietante e sconcertante che dimostrò quanto i trafficanti, e le mafie che le guidano, sono potenti nei Balcani e riescono a sfidare (e vincere) contro lo Stato. In quegli anni, complice lo stato di guerra permanente, il vicino Kossovo divenne un narcostato di fatto, hub del narcotraffico che parte dall’Afghanistan dal 2001 e inonda l’Italia. Soprattutto dall’operazione Ellenika in poi una regione come l’Abruzzo si è trovata spesso a raccontare maxi operazione antimafia che hanno sgominato traffici di droghe sulla rotta Albania-Puglia-Provincia di Chieti, vastese in primis.

Ma già negli anni novanta era già chiaro cosa stava accadendo. «La mala del Montenegro punta sull’Abruzzo per i suoi traffici» documentò Paolo Mastri in un’inchiesta pubblicata da Il Messaggero Abruzzo il 5 maggio 1999. «Contrabbandieri, terroristi e criminali serbi e della piccola repubblica vogliono sfruttare l’emergenza bellica» si legge nell’inchiesta di Mastri corredata da una cartina che indicava i porti di Giulianova, Pescara, Ortona e Vasto come approdo dei traffici di capitali sporchi, armi, droga, sigarette e terrorismo. Mafie pugliesi e albanesi protagoniste dei traffici documentati su Il Messaggero. Montenegro che ha avuto come presidente-padrone, in quegli anni e nei successivi, Milo Djukanovic. Le procure di Bari e Napoli vent’anni fa individuano in lui il boss del racket delle sigarette di contrabbando, nel 2005 viene spiccato un mandato di arresto nei suoi confronti, il New York Times pubblica un’inchiesta in cui lo descrive come un affarista senza scrupoli che gestisce il Paese ad uso e consumo del suo clan.

Due anni prima della crisi finanziaria nello Stato balcanico giunge in Italia dall’Albania una ragazza giovanissima, Adelma Sejdini, Adelina. Finita preda una prima volta delle mafie albanesi, che intendono sfruttarla nel racket dello stupro a pagamento, Adelina riesce a fuggire. Ma viene tradita dalle forze dell’ordine a cui si rivolge che la stuprano ripetutamente e poi la riconsegnano ai trafficanti. Adelina fu incatenata alla schiavitù sessuale per anni fin quando non riuscì a fuggire, denunciò i suoi aguzzini, permise di liberare altre ragazze (molte minorenni) e a far arrestare quaranta mafiosi albanesi. Ma lo Stato italiano non le ha mai riconosciuto il coraggio della sua denuncia, della lotta che – insieme ad alcuni collettivi femministi come Resistenza Femminista  – ha portato coraggiosamente avanti contro le mafie dello stupro a pagamento. Malata oncologica lo Stato italiano voleva, addirittura, rispedirla in Albania. Sarebbe significato riconsegnarla ai suoi aguzzini, abbandonarla nelle grinfie delle mafie albanesi. La notte tra il 5 e il 6 novembre di quattro anni, pochi giorni dopo una drammatica diretta social in cui denunciò quel che stava accadendo e lanciò un appello ad essere la «voce di tutte le Adeline» ha posto fine alla sua vita gettandosi dal ponte Milvio a Roma.

Le mafie dello stupro, continuiamo sempre ad esser la voce di Adelina

Dopo il recente attentato subito Sigfrido Ranucci ha ricordato che la sua trasmissione, Report, si è occupata negli anni delle mafie albanesi, del potere che anche in Italia stanno prendendo. Non lontano da casa sua c’è una delle principali piazze di spaccio della zona ed è gestita da clan albanesi. La storia dell’avanzare delle mafie albanesi, nel silenzio, nella sottovalutazione e nelle distorsioni ideologiche e a-sociali, è comune a tante delle mafie che ormai non possiamo definire neanche più nuove mafie. Dai Casamonica alle mafie nigeriane alle, appunto, mafie albanesi. Lo ha raccontato, dopo aver in un precedente libro raccontato l’ascesa e l’impero dei Casamonica e dei loro parenti (e anche qui, come denunciamo da cinque anni, l’Abruzzo è radice e terra di conquista e dominio privilegiata), nel recente libro “Invincibili” il giornalista del quotidiano Domani Nello Trocchia.

Adelina è morta malata grave dopo aver denunciato e lottato. Un destino che la accomuna a Lilian Solomon, vittima della mafia nigeriana e prima ad aver denunciato le mafie nigeriane in Italia. Prima e in realtà anche unica perché di voci in questa regione non ce ne risultano prima e dopo. L’anniversario della morte di Adelina, uccisa dalle mafie e dall’abbandono dello Stato, cade poco più di un mese dopo Lilian Solomon.

Le mafie dello stupro, continuiamo sempre ad esser la voce di Adelina

La voce di tutte le Adeline e i silenzi complici e omertosi

«Date voce a quello che è successo a me perché tutte le Adeline possano avere quello che non ho avuto io»

“So semplicemente che la prostituzione è la cosa più malvagia e perversa che esista. Utilizza i corpi delle ragazze per il piacere degli uomini. Oltre 5.000 uomini mi hanno violentata perchè non ho mai desiderato fare sesso, quindi non ho acconsentito. Questa è la realtà dell’essere una prostituta“.

(testimonianza di Emma, una sopravvissuta, raccolta da Nordic Model Now)

“Il 75% [dei contenuti porno] è costituito da video più o meno amatoriali messi in rete senza il consenso dei protagonisti, veri e propri documenti di abusi sessuali (spesso contro minori), vendetta porno, video realizzati inizialmente consensualmente ma distribuiti senza consenso dei protagonisti (generalmente ragazze o donne), video registrati di nascosto con telecamere nascoste nei bagni pubblici e/o scolastici, ecc. “

https://nordicmodelnow.org/2021/02/23/the-deception-of-pleasure/

“Tutti quei clienti- sfruttatori-porc* avevano almeno 35 anni, la maggior parte di loro erano tra i 40 ei 50 anni e io avevo 17, mia ​​cugina ne aveva 16 e a loro non importava!

Non solo non gli importava, ma ovviamente gli piaceva! Hanno sfruttato la nostra vulnerabilità”

(testimonianza di una sopravvissuta raccolta da Nordic Model Now)

“[La prostituzione] non è come le cose vengono descritte dai media. Lungi da ciò. È una vita di sopravvivenza, droga, tortura e morte. Venivo picchiata e violentata quasi tutti i giorni e ho subito un degrado oltre ogni immaginazione. Ero costantemente spaventata per la mia vita, e desideravo che finisse. Tutt’ora delle volte mi sento ancora un po’ persa nell’oscurità, sì, sono sopravvissuta, ma a quale prezzo?“

(testimonianza di una sopravvissuta pubblicata da Nordic Model Now)

A differenza della lobby pro-prostituzione, i cui membri parlano di “sesso sicuro” e non parlano del sesso che concretamente viene messo in atto, le donne sopravvissute o ancora in prostituzione che ho intervistato raccontano i dettagli. Parlano dell’odore tremendo dei compratori, del dolore di una vagina disidratata e ulcerata che viene penetrata da una molteplicità di uomini. L’orrore di avere lo sperma o altri fluidi corporali vicino alla faccia. La barba che sfrega sulla guancia fino a farla sanguinare, il collo dolorante a forza di girare la testa di colpo per allontanarla dalla lingua che cerca di entrare in bocca. O di non riuscire a mangiare, a bere o a baciare i figli per via di quello che hanno dovuto fare con la bocca. Di come il braccio e il gomiti fanno male per avrre disperatamente cercato di farlo venire per non essere penetrata un’altra volta.

Julie Bindel – Il mito Pretty woman

RIMINI: Ex prostituta scende in strada per denunciare i clienti del sesso

Video-denuncia dell’Associazione Papa Giovanni XXIII. Protagonista: Adelina. Ex prostituta salvata dalla strada da don Oreste Benzi, il parroco riminese, primo fra tutti in Italia ad intuire la condizione di oppressione delle schiave del sesso. Rapita giovanissima in Albania, Adelina è stata violentata, picchiata, spedita in Italia su un gommone e, come carne da macello, avviata alla prostituzione di Milano. Ogni storia è una fotocopia della sua. “In strada non esistono prostitute per scelta – grida con forza la Papa Giovanni – e ogni cliente è complice della riduzione in schiavitù delle donne”.Adelina ha trovato il coraggio di scendere in strada ancora una volta (in questo caso per finta) per consegnarci dal lungomare di Rimini un racconto inedito dal punto di vista della donna sulla vendita del suo corpo. Nonostante denunci ai clienti di rischiare le botte qualora non venisse pagata a dovere, questi, incuranti del suo stato di sottomissione, cercano di strappare un prezzo migliore come di fronte a della carne all’ingrosso.“Mettete dei cartelli per i clienti là dove ci sono prostitute in strada – propone Adelina al Comune di Rimini – e scrivete, Qui ci sono donne vittime del racket della prostituzione”.

RIMINI: Prostitute minorenni in strada, denuncia dell’APG23

Una mano di donna che stringe una bambola nuda e ferita è l’immagine della campagna “Questo è il mio corpo” che la Comunità Papa Giovanni XIII ha voluto ricordare questa mattina, per affiancarla alle iniziative del Comune di Rimini a contrasto della prostituzione in strada, rafforzando l’idea che “va fermata, principalmente la domanda”. “La prostituzione viola la dignità e i diritti umani, i clienti sono complici della riduzione in schiavitù e dello sfruttamento delle donne”. Lo hanno spiegato Christian Gianfreda e il responsabile della comunità per Rimini, Daniele Serafini, che alle politiche di contrasto del comune riminese che applica sanzioni a clienti e prostitute, la Comunità vuole partecipare portando testimonianze, anche video, e il lavoro dei volontari. L’eredità è quella forte di Don Oreste, tra i primi a intuire che dietro alla prostituzione in strada c’era lo sfruttamento e la riduzione in schiavitù dell’essere umano. Negli anni ne ha salvate 7 mila dalla strada e da un destino crudele. “La punibilità del cliente che consapevolmente va ad abusare di un altro essere umano – ha detto Serafini – è la strada fondamentale per contrastare il fenomeno”.La risposta può essere Rimini “perché qui potrebbero convergere aree diverse, anche aree politiche differenti, per avviare un percorso culturale”, ha quindi spiegato Gianfreda. Sono le volontarie della strada, quelle che ogni giovedì notte escono in strada per portare conforto alle ragazze sfruttate, a descrivere il mondo della prostituzione oggi. “In prevalenza, il 50% e oltre sono rumene, poi bulgare, albanesi, cinese e da qualche tempo sono tornate le nigeriane – racconta una volontaria -. Si prostituiscono sul lungomare, sulla statale, in zona Celle, Grattacielo poi sulla statale a Riccione e a nord fino a Lido di Savio”. Sono giovanissime dai 18 ai 25 anni, ma i volontari sospettano che siano anche minorenni. Tra le testimonianze anche due video, con telecamera nascosta, fatti con la collaborazione di Adelina, ex schiava della strada che da donna libera ha iniziato un percorso per aiutare le altre donne. “Don Benzi l’ho conosciuto tanti anni fa”, ha raccontato Adelina, che rapita giovanissima in Albania, violentata e picchiata, era stata messa su un gommone e spedita in Italia per essere avviata alla prostituzione a Milano. “Ora racconto la mia storia – ha spiegato – l’ho fatto anche in tv, per aiutare altre come me che dalla strada vogliono scappare”. E Adelina al Comune di Rimini lancia una proposta: “mettete cartelli, là dove ci sono le prostitute in strada, che avvertono i clienti che dicono ‘Qui ci sono donne vittime del racket della prostituzione’”.(Video dell’Associazione Papa Giovanni XXIII)

RIMINI: Prostituzione, ex vittima dei clan “Non parlate solo di decoro urbano”

A 19 anni le è stata strappata la vita di dosso. Sequestrata mentre tornava verso casa, violentata dal branco, venduta al racket della prostituzione per duemila euro e spedita in Italia. Era obbligata, sotto minaccia, a cedere il proprio corpo notte e giorno. Le diamo appuntamento nella via principale del mercato del sesso di Rimini.Al quarto anno di schiavitù, Adelina è riuscita a fuggire dal suo protettore dopo avergli fatto guadagnare tre milioni di euro. A lei nemmeno un centesimo. “La prostituzione non è solo una questione di decoro urbano – afferma -. Bisogna multare i clienti, non le schiave. Combattiamo il racket alla radice”. In Comune ha incontrato vicesindaco e consiglieri e ottenuto una commissione auditiva sul tema della tratta di schiave.

Resistenza Femminista

https://www.resistenzafemminista.it/category/prostituzione/

https://www.resistenzafemminista.it/category/sopravvissute/

Sex industry is violence

https://www.instagram.com/sexindustryisviolence

Per non dimenticare Adelina 113 – Alma Sejdini 

https://www.facebook.com/profile.php?id=100076206694932

https://x.com/PerAdelina/

In ricordo di Adelina 113

https://www.youtube.com/watch?v=vo8LVBKdplk

«Sono venuta in Italia per fare la parrucchiera, invece mi hanno messa in strada. Ho cercato di scappare ma quando i miei sfruttatori l’hanno saputo hanno avvertito i loro amici in Nigeria, hanno preso una delle mie figlie gemelle, di 4 anni, e l’hanno uccisa davanti a mia mamma, a cui le avevo affidate. A questo punto cosa ho da perdere?», sono le parole della testimonianza drammatica di una ragazza sfruttata raccontata da Martina Taricco della Comunità Papa Giovanni XXIII, in prima linea in Abruzzo per la liberazione delle schiave del sesso, ad un convegno contro la tratta a Montesilvano il 9 marzo 2019.

Sonia viveva a Benin City quando a 16 anni perse entrambi i genitori, l’anno dopo anche a lei fu proposto di trasferirsi in Libia per lavorare come parrucchiera. Ma così non fu ed iniziò il suo calvario nel lager della schiavitù sessuale in Libia e poi a Bologna fino alla sua fuga in Abruzzo dove si liberò dopo l’incontro con “On the road”.

Alexandra, uccisa dall’Aids.

Angela, abbandonata nel deserto e stuprata in una barca “in balia delle onde in mezzo al Mediterraneo”.

Antonia, “uccisa da tre balordi della Napoli bene”.

Blessing, di cui non si hanno più notizie.

Carmen, assassinata a 27 anni dopo dieci di violenze e stupri.

Caroline, venduta a 19 anni.

Dorina, una minorenne che fece quel che troppi “italiani brava gente” adulti non faranno mai: denunciare con coraggio.

Erabor, baby schiava in Piemonte.

Ester, salvata in ospedale dopo che a Vercelli l’infanzia e l’adolescenza furono violentate dalla schiavitù sessuale.

Evelyn, assassinata a 23 anni nella periferia di Brescia.

Faith Aworo, condannata a morte nella Nigeria in cui il decreto d’espulsione del governo italiano la rimandò nel 2010.

Franca, ritrovata assassinata tra i rifiuti a 27 anni sulla statale Ortana a Narni.

Grace, Hanna, Gypsy, Helena, Hellen, che hanno fatto quel che la brava borghesia italiota non farà mai: denunciare e chiamare con il loro nome le mafie della schiavitù sessuale.

Liliam Solomon, che non smetteremo mai di ricordare e indignarci per come abruzzesi l’hanno assassinata.

Maimuna, “salvata dalla strada in un modo che fa piangere il cuore”.

Maroella, uccisa dopo due anni di schiavitù sessuale.

Nike Favour, “bruciata viva da un cliente legato alla mafia (quella locale che appoggia quella nigeriana).

Oluwa, sfruttata da quando era poco più che una bambina, perché le mafie (nigeriane ma non solo) schiavizzano anche minorenni e i papponi, gli stupratori a pagamento, sono criminali depravati anche (come abbiamo denunciato e documentato tante volte) pedofili.

Rose, “stuprata da chissà quanti uomini in una volta sola” e a cui “le hanno perforato l’utero con un oggetto appuntito”.

Gladys, a cui un cliente “ha distrutto l’ano violentandola tre o quattro volte con un bastone”. Eki, “torturata con le sigarette accese”. 

 

Tra le africane schiave della tratta, «Siamo diventate bancomat di carne»

Le stesse parole documentate in una precedente inchiesta di due anni prima in cui sono state denunciate le violenze, gli abusi, gli stupri, le torture subite da ragazze minorenni giunte in Italia dalla Libia provenienti dalla Nigeria.

Ragazze e anche bambine in tenera età

Schiavizzate, imprigionate, minacciate di morte se provano a ribellarsi ai boss del papponaggio 

Le mafie dello stupro a pagamento e i pedofili trovano oggi sul web autostrade infinite in cui consolidare e diffondere i loro immondi traffici. 

 

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Alessio Di Florio

Vicedirettore WordNews.it - È nato ad Atessa (Chieti), nel 1984. Attivista e volontario di varie associazioni e movimenti culturali, ambientalisti, pacifisti e di lotta alle mafie. Collaboratore della redazione abruzzese di Pressenza e di TeleJato.it. Ha collaborato con Adista, Primadanoi, Terre di Frontiera, Unimondo, Libera Informazione, Popoff Quotidiano e SocialPress. Ha curato, per oltre dieci anni, il sito personale del giornalista e regista RAI Stefano Mencherini, dove è stata curata la diffusione e la pubblicizzazione del documentario d’inchiesta «Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento», con il quale è stata portata avanti la “Campagna di sensibilizzazione per l’informazione sociale”, in collaborazione con MeltingPot e Articolo21, e per la creazione di un Laboratorio permanente di inchiesta e documentari sociali in RAI, nata per rompere la censura televisiva del documentario d’inchiesta “Mare Nostrum”. Articoli su tematiche sociali e culturali sono stati pubblicati dal mensile Vasto Domani. Per contatti: redazione@wordnews.it

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