Il calendario segnerà sempre la stessa data: 16 novembre 2025. Milano, San Siro, una pioggia fine e un’intera nazione aggrappata all’illusione di potersi rialzare. Ma invece dell’orgoglio, è arrivata una delle pagine più amare della storia recente della Nazionale italiana. La Norvegia ha travolto l’Italia 1-4, conquistando la qualificazione diretta al Mondiale 2026 e spedendo gli Azzurri ai terribili playoff di marzo.
I primi 45 minuti avevano illuso il pubblico. La squadra di Gennaro Gattuso sembrava presente e concentrata. Il gol azzurro firmato da un destro in area di Pio Esposito aveva fatto tremare gli spalti, con il boato di San Siro pronto a spingere la Nazionale verso l’impresa.
L’illusione non è durata abbastanza per diventare speranza.
Nel secondo tempo Nusa ha trovato il pari con una conclusione chirurgica, poi Haaland, con una doppietta feroce, ha demolito definitivamente le certezze difensive italiane. Nel finale, il sigillo di Strand Larsen ha aperto una voragine emotiva: San Siro è scivolato nel silenzio, come se avesse compreso che questa non era solo una sconfitta, ma un referto.
L’Italia non ha perso solo nei duelli fisici: ha perso nella testa, nel ritmo, nella lettura delle situazioni, nella gestione emotiva. Il centrocampo non è riuscito a sostenere la pressione norvegese, la difesa ha concesso linee di passaggio elementari e gli attaccanti hanno ricevuto pochi palloni utili.
Tre criticità sono apparse evidenti:
- Linee difensive troppo lontane, punite dalle corse norvegesi in profondità
- Poca aggressività nel recupero palla, che ha permesso ai nordici di consolidare il ritmo
- Assenza di alternative tattiche vere, quando la partita è sfuggita al controllo
Sono anni che il calcio italiano denuncia le stesse fragilità: pochi giovani valorizzati, troppa paura di innovare, inerzia tattica, formazione tecnica insufficiente. Il sistema produce alcuni talenti, spesso però lasciati soli.
La sconfitta non nasce a San Siro: nasce nei vivai, nei club, nei processi decisionali, nella cultura calcistica.
Fra quattro mesi, l’Italia si giocherà tutto in una notte. O dentro o fuori.
Nessuno può dimenticare i fantasmi del 2017 e del 2022. Un terzo Mondiale consecutivo senza Italia sarebbe un disastro sportivo, economico e identitario.
Eppure, proprio nei momenti più bui il calcio italiano ha saputo riscrivere il proprio destino. Serviranno:
- una guida tecnica lucida
- scelte coraggiose sui convocati
- un cambio netto di approccio emotivo
- la capacità di giocare con fame, senza paura
Non è più il tempo delle scuse, dei rimandi, degli slogan vuoti. Questa disfatta può diventare la pietra tombale di un’epoca o la fiamma che accende una rivoluzione. Il calcio italiano ha smesso di essere temuto. Ora deve tornare a essere rispettato.
A marzo, non ci si gioca solo un Mondiale. Ci si gioca un’identità, una storia, una nazione.
Ora tocca all’Italia decidere chi vuole essere.
Immagine di copertina creata con IA





