Onorevole Mollicone,
c’è un limite oltre il quale la mistificazione diventa scempio. E quando si parla di Pier Paolo Pasolini, quel limite è stato superato da tempo e ora, con le sue parole, viene definitivamente calpestato.
Lei sostiene che la sinistra “strumentalizzi” Pasolini. E aggiunge, con la sicurezza di chi confonde un lampo con il sole, che Pasolini sarebbe stato “fascista”. Un’affermazione talmente infondata da risultare non solo storicamente risibile, ma politicamente indecente. Una vera cazzata. Tra le tante che stiamo raccogliendo in questi ultimi due anni di mal governo di una destra insipida, pericolosa e fallimentare.
Pasolini non è una bandiera da rubare, né un trofeo culturale da esibire in un’epoca in cui la vostra destra di governo, debole, sterile, ignorante, culturalmente inconsistente, tenta disperatamente di darsi una profondità che non possiede. E che non può possedere, perché si fonda sulla rimozione, non sulla memoria.
Pasolini fu perseguitato dalla destra. In tribunale, sui giornali, nelle piazze.
Lo sapete, lo sapete benissimo. O fate finta di non saperlo.
Pasolini fu denunciato, processato, insultato, delegittimato. Fu attaccato duramente dalla destra del suo tempo, da quella stessa tradizione politica che oggi cercate di ripulire e riabilitare con un lifting culturale. Fu accusato di oscenità, di corruzione, di immoralità. Subì oltre trentatré procedimenti giudiziari, quasi tutti generati da ambienti conservatori e reazionari.
La sua omosessualità fu usata come arma politica. Le sue idee come bersaglio permanente. La sua poesia come colpa.
E poi, la maledetta notte di Ostia, fu massacrato. Massacrato davvero, fisicamente. Massacrato nel corpo, come lo era stato nell’anima e nella libertà intellettuale. Una morte su cui pesano ancora ombre politiche, connivenze, omissioni, silenzi.
Pasolini non fu fascista. Fu l’opposto del fascismo.
Fu uno dei più lucidi intellettuali del Novecento. Criticò la sinistra, sì: perché la voleva all’altezza del suo compito storico. Criticò la destra: perché ne vedeva, con terrificante precisione, le metamorfosi più inquietanti.
Fu comunista, eretico, radicale, marxista irregolare. Fu soprattutto un uomo che non si piegò mai al potere, non a quello politico, né a quello economico, né a quello culturale.
E per questo pagò tutto, fino all’ultimo respiro.
La vostra appropriazione è la vera strumentalizzazione.
Di fronte a questo, onorevole Mollicone, la sua operazione appare per quello che è: un tentativo maldestro, goffo, stonato, di mettere un cappello culturale dove non potete metterlo.
Volete celebrare Pasolini mentre smontate pezzo per pezzo la sua eredità: la libertà di parola, la libertà di critica, la libertà di dissenso, la lotta alle diseguaglianze, la denuncia delle nuove forme di fascismo sociale.
Pasolini è un corpo vivo, non un cartellone da brandire ai vostri eventi istituzionali. È conflitto, non pacificazione plastificata. È verità urticante, non retorica accomodata.
Pasolini appartiene a chi non ha paura della verità.
E la verità, oggi, è semplice: voi non state celebrando Pasolini. State tentando di neutralizzarlo. State prendendo uno dei più grandi intellettuali italiani e provando a riscriverlo per farlo sembrare compatibile con il vostro progetto politico. Una riscrittura che non regge alla prova dei fatti, né della storia, né della dignità.
Questa non è memoria. È manipolazione.
E allora le dico, con la franchezza che la storia impone: lasciate Pasolini fuori dalle vostre operazioni di maquillage politico. Non avete il diritto di riscrivere ciò che la realtà ha inciso col sangue.
Pasolini morì pestato a morte. Morì accusato e vilipeso. Morì dopo anni di violenze morali, violenze che provenivano soprattutto da quel mondo politico che oggi prova a trasformarlo in un testimonial di governo.
No, onorevole Mollicone.
No, destra di governo.
Pasolini non è vostro. E non lo sarà mai.
Pasolini appartiene ancora agli ultimi, ai fragili, ai contraddittori, ai diseredati che lui amava. E che voi odiate. Appartiene alla verità (che voi non conoscete), non alla propaganda. Appartiene alla libertà, non alle riscritture comode.
E soprattutto, ironia amarissima, Pasolini appartiene a quella parte del Paese che non tollera che un intellettuale sia, ancora una volta, usato contro se stesso.
Paolo De Chiara,
Chi non accetta che la cultura venga stuprata dall’ignoranza travestita da governo.






