Ci sono giorni in cui il mondo sembra scorrere davanti a noi come un fiume che ha perso il suo corso naturale. Mi guardo intorno e sento che il tempo presente non è il mio. Ogni gesto, ogni dinamica, ogni relazione appare dominata da logiche che mi scivolano addosso come pioggia fredda: egoismo, prepotenza, profitto elevato a unico criterio per misurare il valore delle persone e dei rapporti.
In mezzo a questo rumore, mi scopro estraneo, quasi un alieno precipitato in un pianeta dove le vecchie parole — solidarietà, amicizia disinteressata, rispetto della storia irripetibile di ogni individuo — sembrano diventate ruderi di un’altra epoca.
E allora la domanda, semplice e violenta, ritorna come un eco: dov’è finito l’AMORE?
Perché continuo a entrare nelle scuole
Me lo chiedo spesso. Perché continuo a varcare le porte delle scuole, a parlare con ragazze e ragazzi che troppo presto hanno conosciuto la disillusione? Perché insisto a proporre valori alternativi, a raccontare un mondo diverso dal cinismo che li circonda?
La risposta è una sola, nitida come una stella che buca la notte:
coltivo la SPERANZA.
Non per retorica. Non per ottimismo di facciata. Ma perché la speranza è una forma di resistenza civile, un atto politico, un gesto profondamente umano.
La speranza come via di fuga, come ascesa
La SPERANZA non è una consolazione. È una forza. Una forza che ti prende per mano e ti trascina fuori dalla prigione interiore.
La speranza dà senso ai giorni incerti, ci solleva dalla paura, ci sussurra che non siamo condannati a questo presente.
È la speranza che ci incoraggia a immaginare un futuro diverso, a costruirlo con ostinazione, a non lasciarci divorare dalla rassegnazione che avanza come nebbia.
La speranza è una virtù da vivere, non da proclamare.
Il mio augurio a me stesso
Quando entro in un’aula e vedo occhi che cercano risposte, o semplicemente cercano qualcuno che creda ancora in loro, capisco che questa speranza non è vana. È un seme fragile ma vivo, e ogni parola è acqua, nutrimento, possibilità.
Per questo rivolgo a me stesso un augurio che è anche una promessa:
non perdere mai il desiderio, né l’entusiasmo, di piantare il SEME DELLA SPERANZA.
Fino all’ultimo giorno della mia vita.
Perché, nonostante tutto, la speranza è ancora il luogo dove ci si salva.





