“…Mi dicono alla radio, statti calmo, statti buonoNon esser scalmanato, stai tranquillo e fatti uomoMa io con la mia guerra voglio andare sempre avantiE costi quel che costi, la vincerò non ci son santi…”
Rino Gaetano, vero calabrese, “E io ci sto”, 1980
Ci hanno detto di essere più “cauti e rispettosi”. Di abbassare la voce. Di non disturbare il manovratore, soprattutto adesso, soprattutto dopo la quarta edizione del Premio Nazionale Lea Garofalo, che WordNews.it e Dioghenes APS organizzano ogni anno con sacrifici che nessuno vede, mentre molti si presentano solo per farsi vedere.
Ci hanno suggerito di rallentare, di non “fare ombra”, di dosare le parole come si dosano le gocce di un medicinale troppo forte. Di avere rispetto per le Istituzioni. Come se il dovere civico fosse un farmaco da assumere con prudenza. Come se dire la verità fosse un atto indecente.
È curioso, quasi ironico, che proprio dopo il nostro articolo “Sconfitta la mafia? No, procuratore: questa è una favola pericolosa”, qualcuno abbia improvvisamente riscoperto la religione della prudenza.
Una prudenza che da decenni ha anestetizzato questo Paese.
Ma noi no. Noi non siamo mai stati “cauti”. Noi non siamo nati per stare in ginocchio. Noi abbiamo rispetto, sì. Ma solo per le istituzioni che fanno il proprio dovere. Per chi paga un prezzo, non per chi si limita a passare, posare, sorridere, mettere una spunta sulla presenza e tornare a casa senza neppure sfiorare la sostanza.
E allora diciamolo con chiarezza, senza veli e senza polvere sotto il tappeto: il Premio Lea Garofalo non è mai stato e mai sarà una passerella, una lavanderia per le coscienze. Non lo permetteremo.
Non lo abbiamo mai permesso. Perché questo Premio nasce dal massacro di Lea. Da una donna fatta a pezzi, nel corpo e nella memoria, da una ’ndrangheta feroce e da uno Stato che non ha saputo proteggerla. E non l’ha saputo fare allora. E non lo sta facendo oggi con i testimoni di giustizia.

Con quelli veri. Con quelli che denunciano e poi vengono lasciati soli, a mendicare sicurezza, dignità, futuro.
Lo Stato ha fallito. E continua a fallire. Con meticolosa puntualità. E noi dovremmo stare “cauti”?
Dovremmo sussurrare?
Dovremmo scegliere le parole che non danno fastidio a chi ha il compito di ascoltarci?
No, mai. Noi non siamo un palco. Noi siamo un grido.
Siamo nati (come WordNews.it e come Dioghenes APS) proprio per urlare. E continueremo a denunciare le ombre, le responsabilità, le complicità, le zone grigie che fanno più danni delle pistole, le narrazioni tossiche che raccontano una realtà comoda e consolatoria, buona per gli inutili discorsi istituzionali di circostanza.
Continueremo a farlo senza fare sconti a nessuno. Perché il nostro compito non è essere graditi, ma essere utili.
Non è compiacere, ma illuminare. Non è proteggere i palazzi, ma proteggere la verità.
Questo è il nostro impegno. Questo è il nostro dovere civile.
Questo è WordNews.it. Questa è Dioghenes APS.
E questa è la strada che non abbandoneremo mai.
La prudenza non ha mai salvato una vita. La verità, sì. E noi continueremo a dirla. Anche quando brucia. Anche quando infastidisce. Anche quando fa tremare.
Per Lea. Per chi ha denunciato. Per chi ha perso tutto.
Per chi non ha più voce.
E per chi, ancora oggi, finge di non vedere.
Sconfitta la mafia? No, Procuratore: questa è una favola pericolosa





