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Roberto Mancini, finalmente definitive le condanne per coloro su cui indagò venticinque anni fa

by Alessio Di Florio
25 Gennaio 2021
in Mafie
Reading Time: 10 mins read
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«Ma che te stai ad amalgamà? Non è finito un cazzo». La sintesi di tutta una vita di impegno, di generosità, di lotta indignata contro l’ingiustizia che divora la sua terra. Pronunciate sul letto d’ospedale da Roberto Mancini pochi giorni prima della morte ad un amico. La malattia che l’aveva colpito per colpa dei veleni dei rifiuti della camorra, su cui stava indagando per inchiodare i responsabili e donare giustizia alla sua terra, stava giungendo al culmine. Ma il suo pensiero era sempre lì, alle sue indagini, consegnate nelle mani del giudice Alessandro Milita.

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Un magistrato che aveva ritrovato, quasi casualmente, la prima informativa di Roberto Mancini nel 1996. Ed aveva deciso di riprendere quelle indagini, di riannodare i fili e proseguire. Due anni fa la sentenza di appello, nei giorni scorsi la Corte di Cassazione ha posto la parola finale e definitiva all’odissea giudiziaria. Non era finito un cazzo, l’informativa di Roberto è ora diventata – finalmente, con un ritardo vergognoso per uno Stato che si voglia definire civile e nume tutelare dell’interesse pubblico e della salute dei cittadini – una sentenza passata in giudicato: confermata la condanna a 18 anni per Cipriano Chianese, condannati anche la moglie Filomena Menale (4 anni e mezzo di reclusione per riciclaggio), il geometra Remo Alfani (10 anni, due in meno rispetto al primo grado) e l’imprenditore dei rifiuti Gaetano Cerci (15 anni di carcere).

Quest’ultimo secondo quanto raccontato da alcuni pentiti avrebbe partecipato, insieme ad altri imprenditori, politici, ma anche esponenti della Camorra e della massoneria, alla riunione organizzata nel 1989 a Villaricca nella quale si presero gli accordi sullo smaltimento illecito dei rifiuti tossici dal Nord. I periti incaricati dal Tribunale di Napoli tre anni e mezzo fa riscontrarono la presenza di fluoruri, cloroformio, tetracloroetilene, tricloroetilene, dicloropropano, – tricloropropano, cloruro di vinile, dicloroetano, dicloroetilene; tricloroetano e benzene oltre le soglie di legge. La discarica Resit di Giugliano era una bomba ecologica e un pericolo concreto per la salute.

Questi alcuni stralci della loro perizia

«Dall’esame si evince che le acque di falda nell’area posta idrogeologicamente a monte del sito risultano non potabili in assenza di trattamenti specifici per la rimozione degli idrocarburi clorurati ma si rileva un peggioramento significativo della qualità attribuibile alla presenza delle discariche”, scrivono gli esperti. “I risultati delle simulazioni condotte hanno evidenziato il superamento dei limiti di accettabilità del rischio stabiliti dal D.Lgs. 152/06 e s.m.i. sia per i pozzi di monte sia per i pozzi a valle». 

«Lo strato di argilla non è presente, al limite si trovano limi sabbiosi anche con permeabilità bassa e che la contaminazione trovata ai bordi e sotto gli invasi denota verosimilmente che i presidi, anche qualora ci fossero, sono risultati inefficaci e quindi non realizzati a regola d’arte».

«Dall’esame dei risultati delle attività di caratterizzazione e monitoraggio svolte e documentate agli atti, emerge che l’assenza di adeguati presidi a tutela delle matrici ambientali abbia determinato un peggioramento della qualità della falda (peraltro già compromessa in relazione al sistema di discariche individuate in posizioni ubicate idrogeologicamente a monte delle discariche ex Resit) contribuendo al danno ambientale causato nel complesso dalla gestione di discariche di rifiuti nell’Area Vasta di Masseria del Pozzo».

Roberto Mancini, Michele Liguori e le vergogne di Stato

Il 19 gennaio, nelle ore in cui finalmente stava arrivando la sentenza della Cassazione, è stato l’anniversario della morte di Michele Liguori. Il vigile che sacrificò la sua vita alla stessa battaglia di Roberto Mancini, contro le eco camorre, gli avvelenatori della sua terra, i colletti bianchi e le troppe, schifose, connivenze e complicità. Isolato e boicottato in vita, vergognosamente dimenticato dopo la morte. Michele Liguori fu riconosciuto vittima del dovere solo dopo la sacrosanta indignazione della famiglia e di chi l’aveva conosciuto, ammirato ed apprezzato. Fatti che non devono farci dimenticare nulla, anni che non si cancellano e mai si cancelleranno. Gli anni in cui uomini dello Stato scesero a patti con la camorra, svendettero il territorio a Chianese ed altri. Mentre l’informativa di Roberto Mancini veniva abbandonata polverosa nei cassetti. Anni in cui abbiamo dovuto sentire e leggere di tutto, aprirsi la cloaca peggiore degli insulti, dei pregiudizi strumentali e degli insulti nei confronti di Napoli e di tutta la Campania.

Nulla cancellerà le campagne di stampa contro chi denunciava e i campani, i negazionismi (di chi trattata e svendeva) fino ad un ministro della Salute che arrivò a dire che l’altissimo numero di tumori era colpa dello «stile di vita» e del fumo. Testuale. In questi anni abbiamo pianto migliaia e migliaia di persone di tutte le età, bambini segnati sin dalla nascita e morti praticamente in culla. Un dolore immenso, una cicatrice infinita. E per chi, come sta scrivendo queste righe, è lontano l’impotenza si mischiava al dolore, al cercare di essere partecipe di ogni lutto, ogni dolore, ogni lacrima versata. In tutto questo il sacrificio di persone come Roberto Mancini e Michele Liguori, il loro essere stati lampadieri nella notte più oscura di una squallida res-privata (altro che repubblica) sono stati fari a cui cercare di aggrapparsi. Chi sta scrivendo queste righe non ha mai conosciuto personalmente nessuno dei due, li ha scoperti dopo la loro morte anche se ormai sono nel cuore.

Ogni tanto la giustizia appartiene agli uomini veri come Roberto. Ma i compari e comparielli di Chianese non sono mai spariti.

«Manifesto soddisfazione per questa decisione giudiziaria che è la dimostrazione della fondatezza delle nostre denunce – riassume perfettamente questi anni lo scienziato Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute di Filadelfia in un'intervista a Radio Crc – e ho subito attacchi da certa stampa e anche velate minacce in questi anni. Dopo questa sentenza è auspicabile che la terra dei fuochi venga trattata con la giusta attenzione».

«Quanti bocconi amari abbiamo dovuto ingoiare, quante paure vincere – ha scritto su Avvenire don Maurizio Patriciello – Questa sentenza getta luce su tanti punti tenuti volutamente nell’ombra. Il pensiero corre, in questo momento, a tutti coloro che, negli anni, hanno parlato e scritto della “terra dei fuochi” come di una grande bufala. Per costoro, non c’era niente di vero, ma solo tanto, inutile, chiasso. Il loro inquinamento non aveva niente da invidiare a quello dei terreni. Tutto, quindi, era da mettere a tacere. Tacere: il silenzio complice del male che fa più male dello stesso male. D’altronde non era difficile, la camorra, cui facevano capo Chianese e Cerci, da sempre tiene sotto controllo l’intero territorio, minacciando e terrorizzando la povera gente. La parola d’ordine è stata sempre: zitto! Devi stare zitto.

Il dito indice della mano destra, messo in verticale sulle sue stesse labbra, che il camorrista di turno, o uno dei suoi scagnozzi, ti mostrava con volto serio e minaccioso, bastava a farti capire che era meglio per te cambiare strada. Tu taci, mentre loro fanno i propri affari milionari. Tu muori avvelenato dai rifiuti tossici, dalle esalazioni dei fumi puzzolenti, dalla falde acquifere inquinate mentre loro ingolfano i conti in banca. Un ringraziamento, commosso, riconoscente, a tutti coloro che, in questi anni non si sono arresi, hanno vinto la paura, non si sono lasciati comprare».

«Non dimentico nulla di quel processo. L'agronomo che ridacchiava dicendo 'è solo il primo grado', qualche portale che lo supportava, qualche giornale nazionale che parlava di bufale, bufale. E poi la rete dei rapporti, il riguardo del grande magistrato verso Chianese, le amicizie del criminale ambientale con politici, con i generali dei carabinieri, riciclatisi come uomini dell'antimafia, con i servitori infedeli dello stato, con toghe, uomini dei servizi. La corte di Cassazione ha confermato la condanna per Cipriano Chianese, il re della criminalità ambientale in Campania. Alla fine aveva ragione Roberto Mancini, il poliziotto che, tra i primi, indagò sulla terra dei fuochi, che ebbe a scriverne in una informativa del 1996 di Chianese e della sua rete.

Ma quell'informativa fu ignorata in larga parte  – sottolinea Nello Trocchia, giornalista d’inchiesta da tanti anni impegnato nel denunciare le ecomafie e le connivenze di Stato e autore della biografia di Roberto Mancini «Io morto per dovere» (che anche il sottoscritto non smetterà mai di ringraziare per avergli permesso di conoscere Roberto Mancini e la sua esemplare esistenza – Resta da bonificare la terra e la verità perché compari e comparielli di Chianese sono tornati tutti, i nomi li trovate in qualche libro, negli articoli di chi, in questi anni, ha continuato a occuparsi di questo tema, ma non nelle relazioni delle commissioni parlamentari. Dovrebbero, come accadde nel 2000, prendere nomi e cognomi degli imprenditori che hanno fatto soldi e affari grazie alle cave dei clan e realizzare un'accurata radiografia. Forse, però, non sta bene perché scoprirebbero che lavorano e, oggi, si occupano di energie rinnovabili discettandone in tv e su giornali nazionali. La sentenza di condanna è una vittoria per tante e tanti che hanno lottato, ma, tardiva, non ripara il danno subito, enorme e lacerante».

E sui nomi che «sono tornati» il pensiero non può che correre alla sconcertante nomina dell’ex vice commissario all’emergenza rifiuti nel più importante commissariamento di questi mesi. Nomina di cui in pochi abbiamo scritto realmente e nella totalità, citando quegli anni e ricordando quel che Nello Trocchia e Tommaso Sodano scrissero nel libro «La Peste» e Rosaria Capacchione su Il Mattino nel 2011. Tutto riportato nel nostro articolo di fine aprile scorso.

«Penso sei proprio contento, Robe'. Hai dato la vita per questa storia. Cipriano Chianese ti rideva in faccia. Rideva in faccia al pm, Alessandro Milita, l'aveva anche minacciato. Rideva in faccia ai giornalisti che erano in quell'aula di Tribunale, ma senza le palle di farsi ritrarre, perché aveva chiesto e ottenuto che nessuno potesse fargli foto o riprese. Nulla di che, quando mai un camorrista ha o ha avuto o avrà le palle. Queste le avevi tu. Mentre rideva. Anche quando andavi da Roma a Napoli per dare una mano a quel giovane magistrato in quell'inchiesta che era stata la tua (molti anni dopo che l'informativa firmata da te era stata chiusa in un armadio della Dda napoletana), facendo la chemio la mattina e salendo su un treno subito dopo e poi nel pomeriggio chiedendo a Milita, ogni due o tre ore, di stenderti su un divano, che non ce la facevi – ha commentato il giornalista d’inchiesta di Avvenire Pino Ciociola – La Cassazione ha chiuso la vicenda.

Chianese è colpevole, marcirà vent'anni in galera: il "broker dei rifiuti" lo chiamavi Robe', te ricordi? Dimostrasti tu per primo come fosse il gran ciambellano dei Casalesi nel traffico di merde tossiche, quelle che uccidono prima i bambini, poi tutti. E te ricordi quel giorno ch'eri a Perugia, in una stanza d'ospedale? Accanto a te quella ragazzina, cancro anche lei, arrivava da un paesino a sud di Caserta. Le parlasti e infine piangesti dicendole "scusa se non sono riuscito a salvarti". Stronzate, Robe'. L'hai salvata, hai salvato anche noi e chi verrà dopo, la morte non può cambiarlo. Sapevi c'era un prezzo da pagare e hai scelto di saldare tu il conto per altri. Tu e un altro Uomo, Michele Liguori, che faceva il vigile urbano ad Acerra ed è morto proprio come te. T'hanno poi dato la Medaglia d'oro, hanno addirittura riconosciuto che il tumore ti è entrato dentro lì, in Terra dei fuochi. E certo deve averti fatto piacere. Ma, sono sicuro, non quanto questa condanna definitiva di quell'infame.

Perché adesso hai Vinto. Tu. E perché a volte, ogni tanto, tantissimo, la giustizia appartiene agli Uomini. Quelli come te. Quelli con le palle».

«Chianese è solo la punta finale di un sistema molto più grande e ramificato. La camorra è entrata nell’affare rifiuti molto dopo rispetto all’imprenditoria criminale ed allo Stato» dichiarò il fotogiornalista Nicola Baldieri, autore di molte inchieste sulle eco camorre in occasione della sentenza di primo grado, che accusò la «commistione tra pezzi dello Stato, compresi servizi segreti, imprenditoria criminale e camorra».

 

WORDNEWS.IT © Riproduzione vietata

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Vicedirettore WordNews.it - È nato ad Atessa (Chieti), nel 1984. Attivista e volontario di varie associazioni e movimenti culturali, ambientalisti, pacifisti e di lotta alle mafie. Collaboratore della redazione abruzzese di Pressenza e di TeleJato.it. Ha collaborato con Adista, Primadanoi, Terre di Frontiera, Unimondo, Libera Informazione, Popoff Quotidiano e SocialPress. Ha curato, per oltre dieci anni, il sito personale del giornalista e regista RAI Stefano Mencherini, dove è stata curata la diffusione e la pubblicizzazione del documentario d’inchiesta «Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento», con il quale è stata portata avanti la “Campagna di sensibilizzazione per l’informazione sociale”, in collaborazione con MeltingPot e Articolo21, e per la creazione di un Laboratorio permanente di inchiesta e documentari sociali in RAI, nata per rompere la censura televisiva del documentario d’inchiesta “Mare Nostrum”. Articoli su tematiche sociali e culturali sono stati pubblicati dal mensile Vasto Domani. Per contatti: redazione@wordnews.it

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