La legalità sembra essere una finzione. In Italia i detenuti, con condanne pesantissime, comunicano liberamente con l’esterno, dirigono affari, danno ordini, minacciano. E lo fanno dal carcere, grazie a cellulari introdotti illegalmente. Il tutto nel silenzio assordante (e vergognoso) delle istituzioni, che da anni chiudono gli occhi davanti a uno dei paradossi più vergognosi della giustizia italiana.
Smartphone nascosti nei pacchi, microtelefoni invisibili nei vestiti o nei corpi, droni che volano sopra le mura degli istituti penitenziari per “consegnare” armi e cellulari al crimine. Il carcere, che dovrebbe essere luogo di espiazione e controllo, diventa centrale operativa per clan, bande, mafie. Tutto questo avviene sotto la sorveglianza dello Stato. Senza che lo Stato faccia nulla.
Quello che colpisce è l’omertà istituzionale. Chi sa, tace. Chi dovrebbe intervenire, temporeggia. Chi dovrebbe vigilare, ignora. Le denunce vengono archiviate. I pochi agenti che parlano vengono isolati.
Le proposte ci sono: ma vengono ignorate. Il procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, da anni denuncia gli “ingressi” illegali di centinaia di telefonini, usati per comunicazioni personali ma anche per minacciare di morte, gestire estorsioni e mantenere il controllo criminale dall’interno. La proposta è l’utilizzo dei jammer, dispositivi che bloccano le comunicazioni. Unica soluzione per fermare questa deriva.
Ma non sembra esserci alcun tipo di interesse da parte di chi dovrebbe sorvegliare.
«In ogni indagine emerge lo stesso dato – ha dichiarato Gratteri qualche mese fa all’ANSA -: i detenuti comunicano dall’interno delle carceri con i telefoni cellulari. Su TikTok si trovano decine di video girati dietro le sbarre, foto, messaggi, contenuti che non dovrebbero esistere in un luogo di detenzione. Questo è gravissimo. Perché se dal carcere si continua a poter comunicare con l’esterno così liberamente, viene meno uno dei principi fondamentali della detenzione stessa. La pena perde efficacia, l’istituzione perde credibilità. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria deve intervenire con urgenza. È un problema che si trascina da troppo tempo e che, se non risolto, continuerà a compromettere la sicurezza del sistema penale italiano.»
E intanto i detenuti comandano da dentro. É un colossale tradimento dello Stato di diritto, consumato nel cuore delle sue strutture di sicurezza. Con un telefono in cella, un detenuto può fare tutto: organizzare un agguato, gestire un traffico, intimidire un testimone, ordinare un omicidio.
Un’arma invisibile, ma potentissima. E lo Stato non la disarma. Non riesce o non vuole?
Chi ha il coraggio di denunciare? Chi ha il coraggio di raccontare ciò che accade davvero nelle carceri italiane? Serve trasparenza. Serve vigilanza. Serve una rivoluzione nella gestione penitenziaria.
Perché la legalità non può fermarsi ai cancelli di un carcere. Deve entrarci.
Ecco perchè abbiamo deciso di trasmettere il nostro format “30 minuti con…” su TikTok. Per togliere gli spazi ai criminali che hanno occupato la “prateria informatica” nel silenzio generale.
E continueremo ad attenzionare, come abbiamo fatto in passato, i tanti video che circolano in rete e che vengono girati dalle celle degli istituti che fanno pena.