Le parole pesano, danno forma, sostanza, raccontano. Hanno un peso, possono avere un enorme peso. Vasto dovrebbe ricordarlo perché le parole hanno portato anche a capitoli della vita della città da conseguenze gravi, negative, che scuotono ancora l’animo e il cuore. O meglio dovrebbero. Perché si son perse nell’oblìo, nell’eterno presente dell’oblìo. Di una città, parafrasando Pasolini, senza memoria. Che equivale a dire senza storia. E quindi immersi in un eterno presente.
Senza memoria e senza storia, nell’eterno presente venti, trent’anni, non passano, rimangono gattopardescamente uguali, identici. Nelle dinamiche, nelle schermaglie più o meno dialettiche e in tanto altro, voci, sussurri, tutti conoscono ma nessuno sa, tutti sanno ma nessuno conosce. Si dice tanto, troppo, si parla e si sparla. Eppure c’è tanto di non detto. Sulla politica, o presunta tale, sui palazzi e sulle piazze, su alleanze e scontri, confronti e vicinanze. Il bambino della favola fece scandalo perché disse che il Re è nudo. Il detto e non detto, il parlare e non parlare, il definire con le parole (o con i silenzi) non avrebbe neanche bisogno del bambino scandaloso. Eppure l’eterno presente non muta mai.
Cosa accade se una donna, giovane e piena di ideali, capacità, voglia di fare e donare, impegnarsi con tenacia e determinazione, decide di metter tutto questo a servizio della polis e della sua città? Cosa accade se alla prima tornata elettorale in cui si presenta riesce ad essere votatissima, a confermarsi successivamente, a realizzare tantissimo per la sua città, a farsi apprezzare, stimare, farsi conoscere positivamente, a mostrarsi per una persona ricca di umanità (che è riuscita a far commuovere anche il sottoscritto), generosa e abile? Se quella persona è, e lo è, Anna Bosco, oggi assessora alle politiche sociali e all’inclusione del Comune di Vasto e per otto anni assessora all’istruzione, quello che vediamo in questi giorni. Triste refrain, replica, replay, di passati non remoti e di momenti in cui si dimostra perché nel 2025 l’agorà politica non è la stessa per giovani e meno giovani, donne e uomini.
Avete mai letto o ascoltato una critica politica ad un uomo in cui ripetutamente si fa riferimento all’aspetto fisico, al colore dei capelli o all’età? La risposta è ovviamente no. Essere belle o non belle, bionde (ancora qui stiamo?) o non bionde che c’entra con la politica e l’amministrazione? La risposta è fin troppo evidente. Eppure, ancora una volta, ci troviamo ad imbatterci in ciò. Si è fatto riferimento, in alcune – pochissime, qualcuna ci sembra mancare e ci si dovrebbe chiedere perché, e sicuramente non c’è stata di massa, panta rei pare essere sport popolare – reazioni al sessismo. Spesso si parla di genere riferendosi a inaccettabili comportamenti maschili. Non è una questione di genere, non è genericamente sessismo, non è un tema o un problema femminile. Sono responsabilità maschili, sono visioni maschili, sono comportamenti maschili. Non di un indefinito genere. Squarciamo il velo di Maya e diamo alle parole il loro peso, a Cesare quel che è di Cesare. Perché gli attacchi in questa città arrivano sempre contro le stesse persone, si cerca di sminuire con frasi, atteggiamenti e attacchi di determinati livelli sempre e soltanto le stesse persone. E sempre con gli stessi registri. Siamo in un periodo storico in cui tutti si dicono interessati alla crisi economica, a chi non arriva a fine mese, ai più fragili e ai malati e ad altre categorie svantaggiate. E allora perché non si parla, non si può parlare (ogni riferimento non è puramente casuale) di Pronto Intervento Sociale? E dell’ambulatorio sociale (o degli altri nove progetti in cantiere)? E di povertà energetica? E di supporto reale e strutturale alle donne vittime di violenza (maschile)? E del “Dopo di noi” e della possibilità di un’autonomia lavorativa ed abitativa di persone con disabilità, tra l’altro in beni confiscati alla criminalità organizzata? Non si può, dà fastidio (e l’abbiamo attestato di persona, l’abbiamo visto in reazioni più o meno scomposte). Mentre ancora una volta ci troviamo di fronte ad atteggiamenti maschili che ci dimostrano quanto in questa società relega ancora le donne, apostrofare una donna con frasi sull’aspetto fisico, a ricordare che si pensa ancora che una donna viene definita per il colore dei capelli o l’avvenenza. E ci fermiamo qui.
Ci sarebbe tanto da dire che non si dice in questa città, l’abbiamo scritto in diversi articoli mesi fa quando non si è mossa foglia in circostanze che meritavano ben altre reazioni. Ma nell’eterno presente di una città (apparentemente) senza memoria, che vive un eterno presente (si potrebbero sovrapporre dinamiche di oggi a dinamiche di quindici e vent’anni fa, a nomi e accordi, non c’è qualcosa di nuovo nell’aria perché sa profondamente d’antico).
Ma non possiamo fermarci qui. È nostro dovere raccontare quel che non si racconta, dare voce a quel che meno voce ha (o non ha). Non rimanderemo soltanto ai nostri archivi sulle politiche sociali, sul modello di comunità più giusto e umano che si sta immaginando e realizzando, alla città della cura, a come si sta andando oltre l’individualismo perché la vera essenza dell’essere umano si manifesta nella capacità di prendersi cura del prossimo, il benessere autentico nasce quando scegliamo di costruire relazioni basate sulla solidarietà e sull’ascolto, a far tornare i luoghi della socialità, le piazze, i parchi, il centro storico, essere spazi di libertà e incontro, non di paura costruendo insieme risposte concrete a violenze e bullismo, a costruire ponti anche nei luoghi più inaspettati con solidarietà, amore e comunità, ad abbattere ogni barriera unendo le persone in esperienze uniche, a fare insieme la differenza, a dare la forza di denunciare e donare supporto alle donne vittime di violenza (ci scusino i lettori per la frase chilometrica, sono citazioni solo dei titoli, se si scendeva nei dettagli, nelle argomentazioni e nei fatti raccontati negli articoli avremmo costruito una treccani). Rimandiamo soprattutto al futuro, a quel che racconteremo ancora, ai prossimi articoli, al rimanere sempre con lo sguardo attento alle frontiere del sociale, all’impegno e alla tenacia nel cuore vivo e pulsante del ventre della società.
Un cenno, doverosamente, non si può non farlo alla trasparenza. La andiamo cercando anche noi, la cerchiamo fin dal primo giorno, l’abbiamo cercata con accessi civici e domande ben precise, rivolte ad amministratori ben precisi – ma nella città senza memoria si perdono nell’oblìo tante cose e quindi, per motivi che dovrebbero spiegarci noi, c’è chi dimentica cosa accaduto ieri e le domande che ponevamo insieme ora non le pone più con noi – e su fatti accertati, documentati e circoscritti. Rimandiamo ad articoli di cinque anni fa, a quanto raccontato e quanto non ci è stato possibile raccontare. Anche nelle scorse settimane. Senza che nessuno ha battuto ciglio. Sul presente lasciamo esprimersi chi più di noi è titolato, fatti e atti.
La pubblicazione della graduatoria finale di un concorso pubblico con oscuramento dei nominativi dei candidati idonei non vincitori è conforme all’art. 19 del d.lgs. n. 33 del 2013 in quanto il dovere di trasparenza si estende anche a tali dati personali solo in caso di effettivo scorrimento della graduatoria.
(Fonte Autorità Nazionale Anticorruzione)
“La pubblicazione di nominativi in una short list non è prevista dalla legge e può ledere la riservatezza dei professionisti”
(TAR Lazio, sentenza n. 5934/2017)
“La trasparenza è garantita con l’atto di costituzione della short list e con la pubblicazione dei nominativi solo a seguito del conferimento dell’incarico”.
(Corte dei Conti – sezione autonomie)
Su illegalità e dintorni ci sia permesso, in conclusione, ricordare che Vasto è una città che ha visto nel 1989 Falcone rischiare un attentato (fonte La Stampa e Ansa), che vede dal 1994 almeno presente in città un soggetto (nella totale indifferenza locale nonostante ne denunci la presenza la commissione parlamentare antimafia dell’epoca) poi arrestato e condannato per essersi costruito una cosca locale, in cui dal ciclo del cemento in giù abbiamo visto negli ultimi decenni innumerevoli infiltrazioni di varie organizzazioni mafiose, e l’elenco potrebbe proseguire. Perché nell’Abruzzo e nella provincia di Chieti che più di qualcuno ha definito isola felice le organizzazioni criminali di mercati ne sfruttano di ogni tipo, dallo spaccio al riciclaggio al piegare la cosa pubblica ad interessi privati, dai rifiuti allo sfruttamento della prostituzione.
Foto di copertina: immobile confiscato ai Casamonica (a proposito di illegalità) destinato al riuso a fini sociali
«Luoghi di illegalità e sopraffazione saranno simbolo di rinascita e inclusione sociale»





