C’è un limite che non si può oltrepassare. Un punto in cui anche il silenzio diventa complicità, e la parola — se selettiva — è una forma di violenza. Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha espresso “profondo dispiacere” per l’attacco israeliano alla chiesa cristiana di San Porfirio a Gaza. Un crimine, sì. Ma non certo il primo, né il più sanguinoso. E allora perché ora? Perché proprio qui?
La risposta è amara, ma chiara: perché fa comodo. Perché è un attacco che colpisce un simbolo “vicino” al nostro immaginario collettivo, alla nostra identità culturale e religiosa. Perché colpire una chiesa scuote il dibattito occidentale, mentre colpire un ospedale pediatrico, una scuola dell’UNRWA o un campo profughi no. La morte ha perso valore se non ha il “giusto” volto, il “giusto” credo, la “giusta” collocazione politica.
E allora la domanda, per quanto dura, è lecita: perché Meloni riesce a commuoversi solo quando le vittime sono cristiane, ma resta impassibile di fronte a decine di migliaia di morti palestinesi?
Da mesi assistiamo, impotenti, al massacro sistematico di un popolo. Gaza è diventata un campo di sterminio a cielo aperto. Gli ospedali sono diventati fosse comuni. Le scuole rifugio, bersagli. I bambini — quelli che restano — non disegnano più il sole e gli aquiloni, ma missili, padri morti e mani amputate. E mentre il mondo guarda, l’Italia tace. O peggio: approva.
Il Parlamento ha da poco bocciato una mozione unitaria per sospendere gli accordi di cooperazione militare con Israele. Una proposta ragionevole, fondata su evidenze, sull’urgenza di fermare un genocidio in corso. Eppure, la maggioranza di governo ha votato compatta per continuare a fornire armi, tecnologia, sostegno. Ha scelto l’alleanza cieca e muta, ha scelto il sangue.
E Giorgia Meloni, dov’era?
Era lì, come sempre, a distribuire dichiarazioni a misura di telecamera. A parlare di “difesa di Israele”, di “lotta al terrorismo”, di “equidistanza” mentre da un solo lato cadono le bombe e dall’altro si contano le vittime. L’equidistanza, in guerra, è una bugia sporca. E chi governa, ha il dovere morale — prima ancora che politico — di schierarsi dalla parte della vita. Non lo ha fatto. Non lo sta facendo.
Non si può essere umani a giorni alterni. Non si può piangere per le chiese e restare in silenzio davanti ai bambini sventrati. Non si può dire “mai più” con la Shoah e poi voltarsi dall’altra parte quando un altro popolo viene sterminato nel nome della “sicurezza”. Se questo è il prezzo della realpolitik, allora la politica ha fallito. E l’Italia con essa.
Che tipo di presidente è quella che seleziona le vittime in base all’alleanza geopolitica? Che razza di umanità è quella che piange solo quando la religione lo consente, e tace quando la coscienza dovrebbe urlare?
A questo punto la domanda è scomoda, ma inevitabile: le piace, questo genocidio? Le piace l’idea di mostrarsi forte con i deboli e debole con i forti? Di difendere la vita solo quando fa comodo al consenso? Perché di fronte a questa evidenza, il sospetto che il silenzio sia una forma di approvazione diventa sempre più forte. E più pericoloso.
Giorgia Meloni parla spesso di “Dio, Patria e Famiglia”. Ma Dio, se davvero c’è, non può essere dalla parte di chi giustifica le stragi. La Patria non è questa, non è un Paese che guarda le bombe e applaude. E la Famiglia? Provi a guardare una madre palestinese che scava con le mani tra le macerie, cercando suo figlio, e poi dica se quella famiglia vale meno. Se può essere ignorata. Se è meno “sacra”.
La stampa allineata, i talk show anestetizzati, i giornalisti che parlano solo di “attacchi mirati” e mai di crimini di guerra: tutto contribuisce a questa narrazione tossica. Eppure la verità è lì, in ogni immagine che ci arriva da Gaza: non c’è nulla di mirato in un massacro. Non c’è nulla di difensivo in una rappresaglia che cancella interi quartieri. Non c’è nulla di onorevole nel restare complici.
In tutto questo, l’opposizione politica è fragile, discontinua, incapace di imporre un dibattito serio. La società civile è lasciata sola: nelle piazze, nelle università, nelle associazioni. Chi si indigna viene accusato di antisemitismo, chi chiede giustizia viene silenziato. È una strategia perversa, che trasforma la coscienza in colpa e la solidarietà in sospetto.
Ma chi resta umano non può accettarlo. Non può tollerare che il governo italiano si trasformi in uno spettatore complice, in un attore secondario di un massacro. Non può tacere quando la vita viene trattata come una variabile diplomatica.
No, Presidente. Non in nostro nome. Non con i nostri silenzi. Non con la nostra coscienza.
La storia non dimenticherà. E chi oggi resta in silenzio davanti al genocidio, domani non potrà dire di non sapere. Perché le immagini ci sono. Le urla si sentono. E il sangue non si lava via con una dichiarazione selettiva. Non basterà piangere per una chiesa se si è ignorato il grido di un popolo intero.
C’è un momento, nella vita di una nazione, in cui bisogna scegliere da che parte stare. E Giorgia Meloni ha scelto. Ha scelto di guardare altrove. Di chiudere gli occhi. Di restare in silenzio.
Ma noi no. Noi, no.
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