
È questa la tragica verità che emerge – con ferocia e vergogna – dalla vicenda di Luigi Coppola, testimone di giustizia campano, imprenditore onesto, cittadino come tanti. Un uomo che nel 2002 ha spezzato il silenzio e ha denunciato due clan camorristici, contribuendo con le sue parole e le sue prove all’arresto di oltre 30 affiliati. Un gesto che dovrebbe valere una medaglia. E invece, vent’anni dopo, vale un marchio d’infamia.
Dopo la denuncia, come ogni testimone di giustizia, Coppola viene sradicato: nuova identità, nuova città, nuova vita. Non una rinascita, ma un esilio. Nel 2007 lo Stato gli concede 90.000 euro per aprire un’attività commerciale a Pompei, reintegrarlo nel tessuto sociale, restituirgli dignità. Ma il Comune – tra cavilli e vincoli paesaggistici – blocca tutto. L’attività non può nascere. Coppola fa ciò che un cittadino onesto dovrebbe fare: comunica tutto al Ministero, che autorizza formalmente un uso diverso dei fondi.
Finita lì? Nemmeno per sogno.
Accuse infamanti, carte ignorate, verità sepolte
Nel 2015, otto anni dopo l’erogazione del contributo, il Ministero dell’Interno cambia idea: pretende la restituzione dei 90.000 euro. Ignora le autorizzazioni che lui ha ricevuto, ignora le comunicazioni inviate, ignora la sua buona fede. E nel farlo trattiene anche 12.000 euro dovuti a Coppola per danno biologico, soldi che gli spettano di diritto, per legge, come riconoscimento delle sofferenze patite.
Non bastava distruggere la sua attività. Non bastava isolarlo. Ora gli portano via pure la dignità.
Eppure, nonostante tutto, lo Stato continua a erogargli fondi fino al 2020 come testimone di giustizia. Quindi? È un truffatore o un testimone? È una risorsa o un peso? Lo Stato finge di non sapere. Perché chi denuncia la criminalità è utile solo finché fa comodo. Poi deve sparire. O peggio: deve essere screditato.
Colosimo, Mantovano e la Commissione
Il punto più basso arriva nel luglio 2025. La Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Chiara Colosimo, chiama Coppola per dirgli che non verrà audito in Commissione. Il motivo? Secondo le carte in suo possesso, Coppola è un debitore verso il Viminale e non ha dimostrato di aver ripreso l’attività lavorativa.
Colosimo – che dovrebbe ascoltare i testimoni, tutelarli, rendergli giustizia – non chiede chiarimenti, non approfondisce, non ascolta la sua versione. Si fida ciecamente del Servizio Centrale di Protezione, che da anni – come documentato in altre inchieste – minimizza, ostacola, silenzia i testimoni scomodi. Colosimo si comporta non da garante della legalità, ma da funzionaria ubbidiente al potere esecutivo, nello specifico al sottosegretario Mantovano, l’uomo che tira i fili della protezione, della selezione, della rimozione.
Colosimo – dice Coppola – ha ascoltato solo una campana. E ha scelto quella sbagliata.
Il sistema che criminalizza i giusti
Il caso di Luigi Coppola è l’emblema perfetto di un sistema travestito da istituzione. Lo Stato non uccide i testimoni, ma li massacra lentamente: li spoglia, li accusa, li fa sentire sbagliati. Prima li espone al rischio, poi li abbandona, poi li accusa di aver tradito proprio quello Stato che hanno servito con coraggio.
Luigi Coppola si ritrova bollato come un truffatore. Per aver fatto il proprio dovere. Per aver creduto nello Stato. Ma se questo è lo Stato, allora è legittimo pentirsi di aver collaborato con la giustizia. È legittimo provare vergogna per aver creduto nella legalità. Perché la legalità, in Italia, è diventata un palcoscenico da sventolare nei talk show, ma un incubo burocratico e morale per chi la vive davvero sulla pelle.
Una domanda al Ministro dell’Interno (e alla coscienza pubblica)
Ci rivolgiamo a chi oggi siede al Ministero dell’Interno: con quale coraggio si chiede a Coppola di restituire 90.000 euro, ignorando autorizzazioni ufficiali e anni di silenziosa persecuzione? Con quale logica si trattengono i 12.000 euro di danno biologico a un uomo che ha perso tutto? Con quale legittimità si continua a negare un’audizione parlamentare, diritto minimo in una democrazia?
E soprattutto: quante altre volte accadrà ancora? Quanti altri Coppola dovranno essere crocifissi prima che lo Stato scelga da che parte stare?
Se oggi la legalità è un valore, allora lo Stato deve chiedere scusa a Luigi Coppola. Deve restituirgli i soldi. E deve garantirgli quello che non ha mai avuto: verità, giustizia e rispetto.
L’interrogazione parlamentare presentata dall’On. Ascari al ministro Piantedosi.
Al Ministro dell’Interno.
Per sapere, premesso che.
Luigi Coppola, imprenditore campano, è stato riconosciuto come testimone di giustizia nel 2002 dopo aver denunciato due pericolosi clan camorristici, contribuendo all’arresto di oltre 30 affiliati.
A seguito della sua collaborazione con la giustizia, ha vissuto per anni in località protetta e, nel 2007, ha ricevuto un contributo straordinario di 90.000 euro dal Ministero dell’Interno per avviare una nuova attività commerciale a Pompei, finalizzata al suo reinserimento socio-lavorativo.
Tuttavia, il Comune di Pompei ha negato le necessarie autorizzazioni per motivi urbanistici e paesaggistici, impedendo l’apertura dell’attività.
Coppola ha prontamente informato il Ministero dell’Interno della situazione, ottenendo l’autorizzazione a utilizzare i fondi per “uso diverso”, come attestato dalla documentazione ufficiale.
Nonostante ciò, nel 2015 il Ministero ha richiesto la restituzione integrale dei 90.000 euro, ignorando le precedenti autorizzazioni e comunicazioni documentate.
In tale occasione, in virtù di tale richiesta, vennero trattenuti 12.000 euro che a Coppola spettavano come risarcimento per danno biologico, una somma che non avrebbe potuto né dovuto essere oggetto di compensazione, trattandosi di un diritto soggettivo e autonomo riconosciuto allo stesso.
Nonostante questa trattenuta, lo stesso Ministero, dal 2016 al 2020, ha continuato a erogare somme a favore di Coppola nell’ambito delle misure di protezione e di sostegno, senza più avanzare alcuna richiesta di restituzione dei 90.000 euro, in evidente contraddizione con quanto sostenuto nel 2015.
Si chiede di sapere se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e quali siano le motivazioni alla base della richiesta di restituzione dei fondi a Luigi Coppola, nonostante le autorizzazioni ministeriali precedentemente concesse e la successiva condotta amministrativa.
Se ritenga legittima la trattenuta di 12.000 euro spettanti a titolo di danno biologico, alla luce del principio di intangibilità dei diritti risarcitori riconosciuti ai testimoni di giustizia.
Se intenda avviare un riesame dell’intera vicenda, tenendo conto della documentazione agli atti e delle erogazioni effettuate dal 2016 al 2020, al fine di annullare formalmente la richiesta di restituzione e ristabilire pienamente i diritti del sig. Coppola.
Quali misure intenda adottare per garantire che situazioni simili non si ripetano in futuro, assicurando un adeguato supporto, coerenza amministrativa e tutela piena ai testimoni di giustizia che hanno contribuito in modo rilevante alla lotta contro la criminalità organizzata.
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