“Non siamo matricole, siamo persone.”
Con questa frase, pronunciata con voce spezzata ma ferma, Luigi Coppola, imprenditore campano e testimone di giustizia, ha aperto uno squarcio su una delle più gravi ipocrisie istituzionali del nostro Paese: lo Stato che invoca le denunce, ma si volta dall’altra parte quando chi denuncia ha bisogno di protezione e sostegno reale.
La sua testimonianza è stata al centro della sesta puntata del format podcast “30 minuti con…”, condotto dal giornalista Paolo De Chiara con il supporto del corrispondente Antonino Schilirò, disponibile su Spotify:
Luigi Coppola ha avuto il coraggio di denunciare due pericolosi clan camorristici, i Cesarano e i Pesacane, contribuendo con le sue dichiarazioni all’arresto di oltre 30 affiliati. Un gesto di rara civiltà, che lo ha però condannato a un’esistenza segnata dalla solitudine, dal rischio costante e da un paradossale accanimento burocratico.
Lo Stato, che avrebbe dovuto tutelarlo e accompagnarlo nel percorso di reinserimento sociale, gli ha chiesto invece di restituire 90mila euro, ricevuti per tentare di avviare una nuova attività. Attività che è fallita, non per sua colpa, ma perché nessuno voleva avvicinarsi a un locale sorvegliato da uomini armati.
“Mi hanno lasciato solo, e ora mi trattano da debitore.
Lo Stato non ci vuole più, ci considera un costo.”
Coppola ha fatto nomi e cognomi, chiedendo conto al sottosegretario Nicola Molteni, titolare della delega ai testimoni di giustizia, che non risponde alle richieste di aiuto, così come ha denunciato l’assenza della Commissione Parlamentare Antimafia e della sua presidente, Chiara Colosimo, accusata di fare solo propaganda.
La denuncia è chiara: non c’è alcuna volontà politica reale di tutelare i testimoni. E questo equivale a un tradimento.
Coppola ha concluso la puntata con un accorato appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fratello di una vittima di mafia:
“Presidente, venga ad ascoltarci.
Noi testimoni non siamo numeri, siamo cittadini che hanno scelto la legalità e che oggi lo Stato sta abbandonando.”
L’episodio è un documento prezioso, un atto di verità e coraggio.
Non è solo una testimonianza individuale, ma una denuncia collettiva. È un segnale d’allarme per un’Italia che rischia di scoraggiare chi vuole fare la cosa giusta.
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