A Somma Vesuviana, nel cuore della provincia napoletana, il silenzio dell’omertà si è infranto sotto i colpi di un brutale pestaggio.
La vittima è Giovanni D’Avino (nella foto, in basso), figlio di Fiore D’Avino, ex boss camorrista e ora collaboratore di giustizia. Un’aggressione violenta, avvenuta in pieno giorno e in una zona centrale della città, che porta la firma inequivocabile di un messaggio criminale: la camorra non dimentica.

Una vendetta orchestrata dai nuovi reggenti
Secondo le nostre fonti, il pestaggio sarebbe una risposta diretta e plateale orchestrata da Nicola Mocerino, detto ’a Papera, oggi considerato il nuovo “reggente” di Somma Vesuviana. Un tempo fedelissimo proprio del clan D’Avino, Mocerino ha un conto aperto con Fiore, che ha rotto il patto di sangue scegliendo di collaborare con la giustizia, insieme al fratello Luigi, ex killer del clan poi diventato collaboratore.
Mocerino ha scontato oltre vent’anni di carcere, concludendo un periodo di sorveglianza speciale. Da quando è tornato in città, ufficialmente risulta disoccupato. Ma dietro l’apparente calma, secondo le cronache e le inchieste della DDA, ha stretto nuove alleanze: non solo a Somma, ma anche con i clan di Brusciano e Marigliano, territori storicamente intrecciati nei traffici illeciti dell’area vesuviana.
Il ritorno dei fantasmi del passato
L’aggressione a Giovanni D’Avino non sarebbe un episodio isolato. A partecipare all’azione, oltre a Damiano Romano – pregiudicato e figura inquietante già coinvolta in estorsioni e pestaggi – ci sarebbe anche Antonio Capasso, detto ’o sfaldista, capo indiscusso del clan Capasso di Marigliano. Una figura storica della camorra locale, con numerose condanne per associazione mafiosa, che oggi rappresenterebbe l’anello di congiunzione tra vecchie leve e nuovi equilibri criminali.
Un messaggio ai D’Avino: “Non tornate”
Non è un mistero che i D’Avino, nonostante la protezione garantita dallo Stato, siano tornati più volte a Somma Vesuviana. Voci insistenti raccontano di un rientro recente proprio di Fiore e Luigi, forse per proteggere il figlio o per regolare conti lasciati in sospeso. Ma il territorio, oggi, è cambiato. Chi comanda ora vuole farlo sapere, e il pestaggio di Giovanni è un messaggio chiaro: i collaboratori non sono i benvenuti.
Dopo l’aggressione, Giovanni sarebbe fuggito dalla città, in condizioni fisiche precarie e terrorizzato da possibili nuove ritorsioni. Il suo nome, però, continua a circolare nei vicoli e nelle piazze, come monito e simbolo di uno scontro tra mondi criminali e scelte di rottura.
Camorra 2.0: alleanze fluide e potere diffuso
La criminalità organizzata nell’area vesuviana si è riorganizzata, non più in strutture rigide ma in alleanze fluide, capaci di muoversi tra le pieghe della legalità apparente e della violenza brutale. Nicola Mocerino, Antonio Capasso e Damiano Romano rappresentano oggi la nuova mappa del potere criminale a Somma Vesuviana, in grado di controllare estorsioni, spaccio, ristorazione, forniture commerciali e consensi sociali.
E lo Stato?
In un contesto dove regna l’omertà, la voce di chi denuncia è isolata. Gli imprenditori tacciono, i cittadini guardano altrove, e le forze dell’ordine – nonostante il costante impegno – si scontrano con una rete di silenzi, paura e complicità. Le collaborazioni dei D’Avino hanno segnato un punto di svolta, ma il pestaggio di Giovanni dimostra che la camorra non dimentica e non perdona.
Un’altra pagina di cronaca che rischia di finire in fondo ai notiziari, mentre la criminalità torna a comandare nei territori dove avrebbe dovuto essere sconfitta. Una resa che lo Stato non può più permettersi.
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