Il Ponte sullo Stretto promette meraviglia: campata unica da primato, sei corsie stradali e due binari ferroviari, apertura “tra qualche anno”. L’annuncio è sontuoso; l’utilità, molto meno. Chi studia le opere infrastrutturali lo ripete da decenni: i benefici sono sovrastimati, i costi finiscono sistematicamente più in alto del preventivo, i tempi slittano. Tradotto: il ponte non è solo acciaio e cavi, è debito futuro e manutenzione eterna.
Cosa dicono (davvero) gli esperti
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Economisti dei trasporti. Chiedono una analisi costi–benefici onesta: il traghettamento oggi costa minuti, non ore. L’effetto rete è tutto: se Sicilia e Calabria restano con binari unici, colli di bottiglia, stazioni lente e collegamenti portuali deboli, il ponte è un tappeto rosso steso nel vuoto.
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Ingegneri strutturisti. La sfida tecnica è affascinante, ma non banale: vento e vibrazioni aeroelastiche su una campata così lunga impongono margini generosi; la manutenzione diventa costosa e permanente. La domanda non è solo “regge?”, ma “quanto costa farlo reggere per 100 anni?”.
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Sismologi. Lo Stretto è una delle aree più sismiche del Mediterraneo (basta ricordare il 1908). Anche assumendo un dimensionamento conservativo, il tema è la resilienza di sistema: viabilità, sottoservizi, protezione civile. Un ponte super-resistente non basta se attorno tutto il resto cede.
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Urbanisti e logistici. Chiedono di partire dai collegamenti a terra: raddoppi, elettrificazioni, nodi merci, ultimo miglio portuale e interportuale. Senza, i “200 treni al giorno” restano numeri teorici.
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Ambientalisti e biologi marini. Ricordano che lo Stretto è un hotspot di biodiversità e correnti. I cantieri, gli espropri, le opere accessorie incidono su habitat delicati. Le prescrizioni ambientali non sono un fastidio burocratico: sono il minimo sindacale per non devastare un ecosistema unico.
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Giuristi amministrativisti. Vedono una catena di ricorsi e contenziosi su iter, aggiornamenti progettuali, indennizzi. Ogni mese in tribunale è un mese in più di costi indiretti.
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Esperti di anticorruzione. Ricordano che le grandi opere sono per definizione appetibili: servono controlli serrati, trasparenza totale, tracciabilità dei subappalti e piani anticorruzione che non siano carta lucida.
Il ponte viene venduto come cura miracolosa per il Sud. Ma una grande struttura non aggiusta reti vecchie. Prima bisogna togliere i tappi:
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Raddoppiare i tratti Palermo–Catania–Messina e Messina–Catania–Siracusa, elettrificare dove manca, digitalizzare la circolazione.
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Potenziare porti e interporti, i container non si spostano con gli slogan.
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Sostituire i traghetti con navi moderne a basse emissioni come soluzione ponte (in tutti i sensi) per merci e passeggeri, finché la rete non è pronta.
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Investire dove si salvano vite subito: messa in sicurezza sismica di scuole, ospedali, viadotti esistenti in area ad alta pericolosità.
Gli addetti ai lavori lo sanno: un +30% sul costo iniziale non è fantascienza, è statistica di settore. E non finisce alla posa dell’ultima bullonatura: un ponte di queste dimensioni richiede ispezioni continue, sistemi di smorzamento, sostituzioni programmate.
Sul lato benefici, i carichi di traffico spesso vengono dopati nelle presentazioni. Gli esperti indipendenti chiedono “scenari bassi” e “stress test”: cosa succede se le proiezioni di veicoli o treni sono inferiori del 20–30%? Chi copre il buco? Con quali pedaggi o quali tasse?
Non stanno costruendo nel deserto: c’è mare vivo, vento, correnti. Gli ingegneri parlano di flutter e vortex shedding: fenomeni che una campata record deve domare con profili aerodinamici, cavi, ammortizzatori, manutenzioni. E poi il sisma: non basta calcolare una magnitudo di progetto; serve pensare a evacuazioni, ridondanze, ripristini post-evento. La vera domanda è: il sistema complessivo – città, strade, ferrovie, porti – è in grado di ripartire dopo la scossa? Se la risposta è no, abbiamo costruito un simbolo fragile.
Case, botteghe, terreni. Per far passare l’epica, qualcuno perde chiavi di casa e radici. Gli urbanisti invitano a misurare non solo gli indennizzi, ma i costi sociali: spostamenti forzati, attività che chiudono, comunità spezzate. È la parte del conto che non entra mai nella slide “prima e dopo”.
Posti di lavoro? Certo che arrivano. Ma sono picchi temporanei di cantiere, che poi scendono. Rinascita del Sud? Arriva solo se la rete intorno si modernizza davvero. Altrimenti restano fotografie.
Non è un “no” ideologico. È un “prima le fondamenta”.
Il ponte è un selfie ingegneristico perfetto. Ma la foto non sposta merci, non raddoppia binari, non mette in sicurezza una classe di scuola. Se vogliamo sviluppo, servono soluzioni efficaci: rotaie raddoppiate, orari affidabili, porti connessi, manutenzione ordinaria. La grande opera che serve al Sud non è un trofeo sul mare: è una rete che funziona.