Il punto, senza giri di parole: le audizioni non si fanno, le telefonate avvengono su linee non protette, le regole vengono piegate, e a pagare – in salute, lavoro, dignità – sono persone incensurate che hanno avuto il coraggio di denunciare mafia, camorra, corruzione.
Cosa è successo in diretta
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Ospiti: Gennaro Ciliberto (testimone di giustizia). Atteso Luigi Coppola.
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Tema: la mancata tutela e l’assenza di ascolto istituzionale verso i testimoni.
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Accuse chiare:
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Mancate audizioni in Commissione Antimafia e nella Commissione ex art. 10;
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Contatti telefonici su linee non protette con toni arroganti;
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SCP giudicato inefficiente e punitivo;
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Opposizioni politiche giudicate timide o assenti;
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Consulenze e priorità della Commissione sbilanciate sul passato (es. via D’Amelio) e cieche sull’oggi.
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«Non siamo “pentiti”: siamo cittadini incensurati»
La differenza non è un dettaglio: i collaboratori di giustizia provengono dalle organizzazioni criminali; i testimoni di giustizia no. Sono cittadini puliti che, dopo aver visto o subito reati, denunciano.
Secondo Ciliberto, oggi questi cittadini si ritrovano «tra l’arroganza criminale e l’arroganza politica», schiacciati da procedure farraginose, promesse disattese, sostegni tardivi o negati.
«La telefonata della presidente Colosimo mi ha fatto più male del proiettile che mi ha colpito anni fa», ha detto Ciliberto, chiedendo scuse pubbliche e rispetto delle regole.
La legge c’è, ma viene ignorata: art. 17, legge 6/2018
Il cuore legale è semplice: l’art. 17 della legge 6/2018 prevede che i testimoni di giustizia possano chiedere di essere ascoltati e che l’audizione avvenga entro 30 giorni. In diretta, viene ribadito che questo non succede.
Tradotto: la norma c’è, ma non viene applicata. E quando la legge diventa carta straccia, chi ha denunciato resta appeso, con famiglie e vite in bilico.
Il racconto è crudo e concreto: traslochi forzati, identità coperte, figli che cambiano scuole e città, famiglie che rinunciano a una vita normale, prospettive lavorative azzerate.
Ciliberto parla di testimoni impazziti, tentativi di suicidio, povertà. E denuncia buchi nel sistema: posta non recapitata, cartelle esattoriali che esplodono anni dopo, spese legali non coperte, incontri con gli avvocati in caserma sotto telecamere, fughe di notizie che mettono a rischio la sicurezza.
«Il programma è perfetto sulla carta. A saltare è l’applicazione».
I nomi e le responsabilità (secondo gli ospiti)
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Chiara Colosimo (presidente Antimafia): mancato ascolto, contatti non protetti, toni inaccettabili. In puntata si chiedono le dimissioni.
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Nicola Molteni (presidente Commissione ex art. 10): audizioni poche o derogate, tempi e sostegni giudicati insufficienti.
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Alfredo Mantovano: figura chiave del sistema di protezione in varie fasi politiche; si chiede assunzione di responsabilità sulle disfunzioni.
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Mario Mori (oggi consulente della Commissione): vengono ricordate contestazioni pubbliche e vicende giudiziarie note; la critica è politica: «controllori e controllati si confondono».
Perché non si denuncia? L’effetto dissuasivo che nessuno vuole vedere
In Italia, i testimoni di giustizia sono pochissimi (si citano stime nell’ordine di poco più di cento). Se denunciare significa perdere lavoro, casa, identità e trovarsi senza tutele, il messaggio sociale è devastante: meglio tacere.
È la sconfitta dello Stato. Ed è benzina per le mafie.
Sei mosse operative, subito
Smettiamola di girarci attorno. Se si vuole invertire la rotta, servono atti semplici e verificabili:
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Calendarizzare e concludere tutte le audizioni richieste ex art. 17 entro 30 giorni.
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Protocollo unico per i contatti con i testimoni (vietate le linee non protette; tracciabilità delle comunicazioni istituzionali).
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Riforma del SCP: verifica esterna indipendente, indicatori di performance, tempi massimi per ogni pratica.
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Sportello legale e fiscale dedicato ai testimoni (copertura spese legali, mediazione con Agenzia Entrate–Riscossione per gli anni “oscurati” dalla protezione).
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Supporto psicologico strutturale per testimoni e familiari (non elemosine episodiche).
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Tavolo permanente con rappresentanti dei testimoni di giustizia: chi subisce il sistema deve co-progettarne la riforma.
Storie che bruciano: l’esempio che vale più di mille retoriche
In diretta è stata ricordata Carmelina Prisco, che vide un omicidio a Mondragone e denunciò a Ferragosto. Ergastolo al killer, inferno per lei: località protetta, povertà, tentativi di suicidio. Questa non è retorica. È il conto che lo Stato presenta a chi fa la cosa giusta.
Lo schema è ormai nauseante: foto, frasi di Falcone e Borsellino, cerimonie e corone. Il giorno dopo, silenzio.
Se davvero vogliamo onorare Falcone e Borsellino, cominciamo da qui: rispettare la legge verso i testimoni di giustizia. Subito.
L’appello finale di Gennaro Ciliberto è pragmatico: unirsi. Reti, avvocati, giornalisti, famiglie. Una voce sola.
Perché quando i testimoni parlano insieme, i palazzi tremano.
E la democrazia respira.
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