La difesa disperata di Roma
La notizia dell’Armistizio colse l’Italia impreparata. L’esercito era privo di ordini chiari, la catena di comando si era dissolta. Eppure, i militari della Divisione Granatieri di Sardegna, i Carabinieri e i Lancieri di Montebello decisero di resistere all’avanzata tedesca. Gli scontri si accesero in diversi punti strategici: dalla Magliana alla Cecchignola, dall’Ostiense alla Laurentina, fino all’Eur e alla Montagnola.
Intorno a Roma altre divisioni italiane tentarono la difesa: la Piacenza ad Albano, la Piave a Monterotondo, l’Ariete tra Bracciano, Manziana e Monterosi. Sul litorale, le divisioni costiere con l’aiuto di patrioti locali ingaggiarono combattimenti disperati contro i reparti tedeschi.
Civili e militari uniti nella resistenza
A Porta San Paolo si unirono donne, uomini e giovani antifascisti che, insieme a semplici cittadini, portarono armi, munizioni e sostegno logistico ai soldati. Il generale Giacomo Carboni consegnò un quantitativo di armi a Luigi Longo, del PCI, da distribuire alla popolazione. In quelle stesse ore prese forma il Comitato di Liberazione Nazionale, destinato a diventare il cuore della Resistenza.
La partecipazione popolare trasformò la battaglia in un momento fondativo: Roma non si consegnava senza combattere.
Un sacrificio che aprì la strada alla Liberazione
Dopo tre giorni di combattimenti aspri e impari, l’esercito tedesco ebbe la meglio. Le perdite italiane furono pesantissime: centinaia di caduti, tra i quali Raffaele Persichetti, uno dei primi decorati con la Medaglia d’Oro della Resistenza.
Ma quella sconfitta apparente segnò l’inizio di un cammino. Con il sacrificio dei militari e dei civili caduti a Porta San Paolo, l’Italia scoprì la forza di un popolo pronto a lottare per la propria libertà. Da quel momento, la Resistenza italiana non sarebbe più tornata indietro.