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«Sulla corte di Montante nessuno ha nulla da ammettere?»

L’ex paladino di certa “antimafia” si è consegnato a Bollate.

by Alessio Di Florio
11 Settembre 2025
in Il Guastafeste
Reading Time: 7 mins read
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Antonello Montante, si è costituito nel carcere di Bollate. L’ex presidente di Confindustria Sicilia, paladino, alleato e decantato per tanti anni da certe associazioni “antimafia”, pezzi delle istituzioni e della politica si è spontaneamente consegnato alla giustizia dopo aver ricevuto la notifica del provvedimento della Procura Generale di Caltanissetta di esecuzione della sentenza della Corte di Cassazione.

Nell’ottobre scorso la Cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza di Appello ma solo per la rideterminazione della pena. Nuovo processo in Appello per il ricalcolo della condanna che non ancora inizia, sottolinea LiveSicilia, perché non si riesce ancora a costituire il collegio giudicante. «I magistrati in servizio hanno già affrontato indagini e processi che riguardavano Montante, dunque sono incompatibili – riporta la testata giornalistica siciliana – Il processo riguarderà le contestazioni di accesso abusivo compiute dopo il 2014 e la pena per la corruzione. Per quest’ultimo reato, però, i supremi giudici dichiararono “irrevocabile la responsabilità penale”. Montante è colpevole, non c’è possibilità che il nuovo processo cambi la sostanza delle cose».

«Calogero Antonio Montante è stato, per almeno dieci anni, uno degli uomini più potenti d’Italia. Corruttore e spione sta pagando il conto suo e dei tanti altri che, grazie a una giustizia che non ha saputo fare giustizia, l’hanno visto cadere dopo averne ricevuto benefici» ricorda Attilio Bolzoni che all’epopea dell’ex paladino di certa “antimafia” ha dedicato il libro dall’eloquente titolo “Il padrino dell’antimafia” citando in un post su facebook «tutti coloro i quali, ancora oggi, restano in silenzio davanti alla grande impostura che per lungo tempo ha fatto prigioniera la Sicilia».

Silenzi imbarazzati, mezze verità, attacchi a chi ha parlato e scritto di Montante in questi lunghi anni, cerchi magici che si scompongono e ricompongono per sopravvivere, vecchi e nuovi pupari che ricompaiono sempre e tessono tele. La vicenda Montante non è stata, anzi non è perché quel sistema e quei meccanismi non sono nati solo con l’ex “paladino” e sono sempre attivi, solo Montante. Basti vedere alcuni nomi della politica e dell’associazionismo ben presenti, citati nei documenti pubblici, ma che continuano ad incombere e pesare sulla scena pubblica.

Bolzoni nel 2019 in un’intervista a Linkiesta sottolineò come con il “sistema Montante” ci sono associazioni “antimafia” (virgolette non casuali, a ricordare che tra l’apparenza e l’essere passa un oceano) non hanno – o non vogliono, è il nostro dubbio – «strumenti culturali per riconoscere la mafia», associazioni che hanno continuato a firmare protocolli (in nome della tanto decantata “legalità”) «con i soci di Montante, anche quando i contorni di chi era veramente avevano cominciato a delinearsi con le inchieste in corso», associazioni che «grondano di retorica».

Il ciclo pubblico di Antonello Calogero Montante è finito, non è più un uomo a piede libero. Ma, quindi, tante le domande, gli interrogativi e tanti i meccanismi e i personaggi ancora (per assurdo alcuni anche più di prima) sulla cresta dell’onda. «Antonello Montante si consegna in carcere, sulla sua “corte” nessuno ha nulla da ammettere?» è la domanda posta in queste ore dall’Associazione Antimafie Rita Atria. Mai presente in quella corte e in quel sistema, distinta e distante da quella certa “antimafia” e “politica” che con Montante, i suoi sodali e dominus ha camminato a braccetto per anni, che ne decantato le lodi e ne sono stati più che “amici”.

Comunicato stampa dell’Associazione Antimafie Rita Atria:

Antonello Montante ha deciso di varcare la soglia del carcere in maniera autonoma.
Finisce così la vicenda processuale dell’ex paladino di certa “antimafia”, condannato con sentenza passata in giudicato.
La lettura delle motivazioni della condanna in Cassazione e la fine della sua carriera pubblica impongono alcune riflessioni. Riteniamo sia necessario tornare, ancora una volta, ad esprimersi con schiettezza e chiarezza. Troppi silenzi “autorevoli”.
Montante non è divenuto ciò per cui è stato condannato da solo: c’è stato un “sistema” e una “corte” che per anni sono andati avanti allegramente. Vi partecipavano anche auto-proclamati campioni della “antimafia”, personaggi e organizzazioni blasonate.

Lo hanno chiamato “sistema Montante”, una P2 siciliana, non a caso: “Un uomo che ha creato dal nulla un’allarmante e pervasiva rete illecita (…) ponendo le premesse per il dispiegarsi della propria azione corruttiva” (Corte di Cassazione– fonte XVII LEGISLATURA ARS).
Anche se il reato di associazione a delinquere è stato cassato, le sentenze ci restituiscono il quadro di un sistema di potere e di un disinvolto piegare l’interesse pubblico agli interessi di Montante e della sua corte.
Una corte in cui sono cresciuti e hanno fatto carriera presunti “antimafiosi”, “paladini della legalità” e simili. (andate sul web e cercate i cortigiani)
Un sistema che ancora oggi gode dello scudo dell’invisibilità dato dal silenzio di tanti, di troppi.
Un apparato in metastasi che uccide meritocrazia, economia, istituzioni, aziende, libertà di stampa e, in definitiva, la democrazia.
Nella relazione della commissione regionale di inchiesta – ARS VVII legislatura – si legge: “Una sorta di cerchio magico – chiuso, aggressivo e sinergico – che ha accompagnato il presidente di Confindustria Sicilia nella progressiva erosione di legittimità delle istituzioni regionali, accentrando su di sé i compiti di decidere, premiare o punire”.
Le sentenze confermano l’esistenza di una struttura finalizzata al controllo di attività imprenditoriali rilevanti, resa possibile anche dalle coperture istituzionali.

Montante non era però l’apice: i vertici sono rimasti nell’ombra.
È comunque accertato che abbia creato una rete che, con la complicità di apparati dello Stato:
• ricattava i soggetti imprenditoriali sgraditi,
• confezionava dossier su figure istituzionali o imprenditori,
• li eliminava dal mercato politico ed economico.

Paolo Borsellino sosteneva: «La magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale (…) Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi – cioè i politici, le organizzazioni disciplinari, i consigli comunale – dovevano trarre le dovute conseguenze (…)»
Il nostro compito, quindi, è analizzare relazioni, rapporti, pacche sulle spalle: non per tradurli in condanne penali, ma in condanne politiche.
Queste motivazioni imporrebbero una seria e urgente analisi politica e sociale.

Invece la prassi è la solita: qualche articolo sui giornali e poi silenzio.

La tecnica del “Càlati juncu ca passa la china”.
Non dimentichiamo che la commissione antimafia regionale indicò come referenti politici di Montante anche figure di alto rango e di diversi schieramenti.

E ci fu pure una certa “antimafia” che affermava frasi come:
• «Con affetto sono conte, tieni duro che passerà»

  • «Questa classe di giovani imprenditori (“Antonello” ed altri) ha avuto il coraggio di operare»
  • «Spero che Antonello dimostri la sua innocenza»
    Ma anche se si è in pochi, bisogna andare fino in fondo.
    Occorre sostenere chi va controcorrente, senza timori reverenziali e senza sconti a nessuno.
    Ce lo ha insegnato proprio Rita Atria che, a 17 anni, aveva già capito che bisogna iniziare a sconfiggere “la mafia che è in noi”: i nostri compromessi, i nostri distinguo.
    Ci sono cose di cui andiamo particolarmente fieri:
    • non siamo mai stati a corte di Antonello Montante;
  • non abbiamo avuto bisogno di attendere le sentenze, al contrario di certi pezzi di antimafia con mezzi nettamente superiori ai nostri;
    • non abbiamo mai finto di non sapere, né detto che “non potevamo sapere”, per scegliere da che parte stare.
    La nostra non è mai stata, anche politicamente, la stessa della corte di Montante.

Abbiamo sempre rivendicato questa posizione in questi anni e lo facciamo anche oggi.

Associazione Antimafie Rita Atria

 

«Ecco perché tutti tacciono sul “sistema Montante” – scrisse Bolzoni su Il Domani nel marzo 2021 – L’ex potentissimo vicepresidente di Confindustria era coccolato da politici, giornalisti e uomini delle istituzioni». «Lo chiamiamo “sistema Montante” per comodità ma è riduttivo, in realtà è un sistema che si innesta su altri sistemi criminali e paracriminali già esistenti, è la stratificazione di organismi infetti che ciclicamente si riproducono in Italia supportati da complicità negli apparati» sottolinea l’autore del libro “Il padrino dell’antimafia”. «Allungano le mani sulla regione – la ricostruzione della rete politica di Montante nell’articolo del 28 marzo 2021 – Prima appoggiano il governo di centrodestra di Raffaele Lombardo che poi andrà a processo per mafia, poi sostengono il governo di centrosinistra di Rosario Crocetta che sbraita ogni giorno contro la mafia. Cambiano alleanze, si succedono governatori e assessori ma il “partito di Confindustria” è sempre nella giunta sotto la sapiente regia politica del senatore Beppe Lumia, parlamentare per sei legislature, un’innata duttilità per gli accordi più ardimentosi. E dopo la regione c’è Roma. […]Le informazioni sensibili degli uffici investigativi che transitano verso un pezzo di Confindustria, lo stato maggiore dell’Antimafia, giudiziaria e investigativa, e dei servizi segreti che si confonde con la polizia privata di Montante, nessuno che può mettere in dubbio ciò che dicono o ciò che fanno Montante e Lo Bello. Chi ci prova viene bersagliato da lettere anonime, perseguitato, qualcuno anche rovinato». «L’affaire Montante, ancora oggi, dai più viene liquidato “come una storia siciliana” o “una cosa di cui non si capisce niente”. Aggiungerei: di cui non si vuole capire niente. Meglio il silenzio – attacca Bolzoni e sono parole che paiono calzare perfettamente per uno dei personaggi nominati all’inizio di questo articolo e tanti suoi sodali dell’antimafia ufficiale – C’è chi straparla di massomafie e di criminalità interplanetaria, ma non dice o scrive una riga sul siciliano di Serradifalco. Eppure qui ci sono nomi, cognomi e indirizzi di personaggi che per lungo tempo hanno infettato le istituzioni e che – anche dopo l’arresto e la condanna di Montante a 14 anni – fingono che non sia successo nulla. Lui è travolto da processi e inchieste ma molti dei suoi sono sempre al loro posto. Ancora silenzio». L’unica istituzione che ha provato ad accendere i riflettori e indagare sul “sistema Montante” è stata la Commissione Regionale Sicilia Antimafia guidata da Claudio Fava che ha dichiarato che il “sistema Montante” non era solo di Montante ponendo l’attenzione sul ruolo fondamentale e centrale di chi Bolzoni nell’articolo citato negli scorsi paragrafi ha definito «sapiente regia politica» con «un’innata duttilità per gli accordi più ardimentosi».

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Alessio Di Florio

Vicedirettore WordNews.it - È nato ad Atessa (Chieti), nel 1984. Attivista e volontario di varie associazioni e movimenti culturali, ambientalisti, pacifisti e di lotta alle mafie. Collaboratore della redazione abruzzese di Pressenza e di TeleJato.it. Ha collaborato con Adista, Primadanoi, Terre di Frontiera, Unimondo, Libera Informazione, Popoff Quotidiano e SocialPress. Ha curato, per oltre dieci anni, il sito personale del giornalista e regista RAI Stefano Mencherini, dove è stata curata la diffusione e la pubblicizzazione del documentario d’inchiesta «Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento», con il quale è stata portata avanti la “Campagna di sensibilizzazione per l’informazione sociale”, in collaborazione con MeltingPot e Articolo21, e per la creazione di un Laboratorio permanente di inchiesta e documentari sociali in RAI, nata per rompere la censura televisiva del documentario d’inchiesta “Mare Nostrum”. Articoli su tematiche sociali e culturali sono stati pubblicati dal mensile Vasto Domani. Per contatti: redazione@wordnews.it

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