Nonostante le manifestazioni e le mobilitazioni globali, il genocidio di Gaza continua a consumarsi davanti ai nostri occhi. Per la prima volta nella storia assistiamo in diretta a un esercito che massacra civili inermi, senza che la comunità internazionale riesca a fermare questa deriva. È la cartina di tornasole di una crisi di sistema globale, dove i valori che avrebbero dovuto costituire il patrimonio dell’Occidente vengono rapidamente dissolti.
Il punto è drammatico: non bastano più cortei e fiaccolate. È necessario qualcosa di più incisivo, capace di mettere in crisi le rappresentanze politiche e bloccare i meccanismi economici che alimentano guerre, disuguaglianze e oppressioni.
Dal keynesismo al neoliberismo: un percorso verso lo sfascio
Nel dopoguerra, con il keynesismo e il ruolo attivo dello Stato nell’intermediazione e nella distribuzione della ricchezza, il capitalismo riuscì a salvarsi dal tracollo seguito al 1929. Questo modello permise un’espansione della democrazia e dei suoi valori, ma solo nei ricchi paesi occidentali. Il resto del mondo rimase imprigionato in un neocolonialismo di sfruttamento.
Negli anni ’70, con la crisi petrolifera, arrivò il primo grande bivio. Il rapporto del MIT per il Club di Roma indicava che la crescita economica infinita era insostenibile in un pianeta dalle risorse finite. Ma quel suggerimento non fu accolto.
I governi e i grandi capitali scelsero la via della liberalizzazione dei capitali e della finanziarizzazione dell’economia, concentrando ricchezza e potere nelle mani di pochi. Il risultato è sotto i nostri occhi: sfascio economico, disuguaglianze crescenti, precarietà sociale e la costante corsa verso la guerra.
Guerra, neoliberismo e il ritorno dei valori fascisti
Il neoliberismo in crisi non produce riforme o giustizia sociale: produce guerre disastrose e il ritorno di valori fascisti e nazisti, oggi mascherati da sicurezza, ordine e nazionalismo. Gaza diventa così l’emblema di questa barbarie, il simbolo più feroce del fallimento dell’Occidente.
Laddove l’economia guida la politica, come avviene in Europa e negli Stati Uniti, i disastri sono inevitabili. Nei paesi dove, al contrario, la politica riesce ancora a dominare l’economia, i sistemi si rivelano più resistenti e meno succubi delle dinamiche speculative globali.
La politica dei governanti europei appare misera e insignificante: incapace di autonomia, si muove come un cane obbediente al padrone. Mentre i popoli chiedono pace e giustizia, Bruxelles e le capitali europee si limitano a obbedire agli interessi dei poteri economici e finanziari che reggono le fila del gioco.
Il genocidio di Gaza non è solo una tragedia umanitaria: è il campanello d’allarme di una crisi di sistema che rischia di travolgere tutti. Restare in silenzio o limitarsi a una indignazione sterile significa accettare la barbarie.
Serve una scossa. Serve un risveglio collettivo.
Bisogna sottrarsi alla comunicazione anestetizzante che impone rassegnazione e impotenza, per costruire nuove forme di resistenza e di mobilitazione capaci di incidere davvero.




