Nonostante il controllo capillare dei media, la verità sul genocidio di Gaza continua a farsi strada. Il potere mediatico, pur con i suoi tentativi di manipolare o silenziare, non è riuscito a mettere una coperta sul massacro che da mesi insanguina la Striscia. Le immagini, le testimonianze, le voci di chi non accetta più la narrazione ufficiale stanno aprendo crepe nel muro della propaganda.
Se i governi occidentali oggi parlano – timidamente – di “cessate il fuoco” o di “fine del conflitto”, non è certo per una improvvisa conversione umanitaria. È la pressione dell’opinione pubblica globale ad averli costretti a muoversi. Una mobilitazione mondiale, diffusa, spontanea. Da Udine a New York, da Roma a Londra, le piazze chiedono la fine del genocidio e il riconoscimento pieno dello Stato di Palestina, nei confini stabiliti dalle Nazioni Unite.
Pensare che dopo tutto questo si possa “tornare alla normalità” è un insulto alla memoria e alla dignità umana. Che Israele possa continuare a gestire Gaza come una prigione a cielo aperto, o a rubare terre in Cisgiordania, è la volontà segreta di chi da sempre ha lasciato che altri facessero il lavoro sporco.
Intanto, la delegittimazione mediatica di figure come Francesca Albanese, relatrice ONU per i diritti umani in Palestina, o di attiviste come Greta Thunberg, mostra tutta la paura di chi non controlla più la narrazione.
Ma le piazze non si fermano. Continuano a chiedere verità, giustizia e libertà per un popolo da decenni privato di tutto, perfino della possibilità di nominarsi da sé.
La rottura tra élite politiche e società civile è ormai evidente: da un lato, governi schiacciati dagli interessi delle lobby economico-finanziarie e mediatiche; dall’altro, una parte crescente di cittadini che non si riconosce più in quella menzogna collettiva.
Un granello di sabbia si è infilato nel meccanismo perfetto del potere.
E lo sta inceppando.
Forse davvero qualcosa si muove nella società.




