In Toscana, come in Calabria, è andato a votare appena il 47% degli aventi diritto. Un dato che dovrebbe far tremare i polsi, ma che in realtà sembra pienamente coerente con la direzione che sta prendendo il mondo occidentale.
Questa disaffezione politica non è un incidente: è il risultato di un progetto consapevole, voluto da quell’apparato economico-finanziario che guida ormai la politica, svuotando la democrazia dall’interno e trasformandola in un simulacro.
L’obiettivo è chiaro: destrutturare le democrazie e favorire oligarchie economiche sempre più libere di agire per i propri interessi. Le leggi elettorali vengono confezionate su misura per selezionare classi dirigenti docili, escludendo qualunque forza politica capace di proporre visioni alternative al pensiero unico.
Il controllo mediatico e il dominio dei grandi gruppi finanziari impongono narrazioni uniformi, superficiali, incapaci di restituire la realtà a chi vive il disagio quotidiano.
Ricchezza concentrata, povertà diffusa
Oggi, l’1% della popolazione detiene il 23% della ricchezza mondiale, mentre cresce la povertà assoluta e relativa. Anche chi lavora non riesce più a soddisfare i bisogni fondamentali: la casa, la salute, l’istruzione, il tempo libero.
Il lavoro è sempre più precario, svalutato, trasformato in merce usa e getta.
E la rivoluzione tecnologica, che avrebbe dovuto liberare l’uomo, sta invece generando nuove forme di schiavitù digitale, dove tutto è tracciato, controllato, monetizzato.
Un sistema al collasso
Il neoliberismo decadente non sa più dare risposte. Non sa affrontare le crisi ecologiche, non sa gestire le sfide demografiche, e non sa distribuire la ricchezza. Sa solo concentrarla nelle mani di pochi.
Il grosso del denaro oggi non nasce più dal lavoro o dalla produzione reale, ma dalla finanziarizzazione: denaro che genera altro denaro, in un circolo vizioso che arricchisce i soliti noti e impoverisce tutti gli altri.
Questo mostro organizzativo globale si sta incartando su se stesso e, per sopravvivere, ci sta spingendo verso nuove guerre mondiali, non più “a pezzettini”, ma globali e devastanti.
Non è un caso che non si investa più in sanità, istruzione o beni comuni, ma in armamenti. Le risorse pubbliche vengono dirottate verso la guerra, non verso la vita.
Eppure, in questo scenario cupo, qualcosa si muove.
Il miracolo della risposta popolare al genocidio palestinese, seguito in diretta da milioni di cittadini, è stato un segnale di rinascita civile.
Un moto spontaneo di coscienza collettiva, che dimostra come le persone possano ancora unirsi per valori umani, non per profitto.
È uno spiraglio di luce in mezzo alla notte dell’indifferenza.
Una traccia di resistenza morale che può ricostruire comunità solidali, capaci di pensare e agire fuori dai confini imposti dal sistema economico-finanziario dominante.
Se non nasceranno pensieri alternativi e modelli socioeconomici nuovi, fondati sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla libertà reale degli individui, saremo trascinati in un futuro di guerre, povertà e alienazione tecnologica.
Il tempo per reagire è ora: prima che la democrazia, ridotta a pura apparenza, scompaia del tutto.




