Un laboratorio della droga ad Aprilia con stupefacenti che giungevano nei locali e nelle piazze di spaccio del teramano, di Chieti e di Lanciano. Un massiccio hub del narcotraffico che allungava i suoi tentacoli su almeno due regioni. Undici arresti, due nuclei albanesi attivi sul territorio. Lazio, Puglia, Albania. Sono alcune delle rotte del narcotraffico più documentate negli anni nelle operazioni, molte antimafia, delle forze dell’ordine.
Fiumi di droga e di denaro, riciclaggio nell’economia “legale” e affari sporchi che si mischiano. La malavita organizzata, le relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia lo documentano costantemente, continua a fare salti di qualità. Se trent’anni fa in Puglia si parlava di Sacra Corona Unita, considerata la quarta mafia dopo Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta, da tanti anni è accertata la “Società foggiana”. Nomen omen, indicazione ben precisa. Spaccio, flussi di denaro, sono affari sporchi e allo stesso tempo sono segni di presenze predominanti, egemoni, leve del controllo del territorio. Dividersi le piazze di spaccio, agire nell’economia locale, non è solo una banale commissione di reati organizzativi. È dominio del territorio, è espressione di un potere.
In questo “mondo di mezzo” negli anni l’Abruzzo ha visto la presenza di personaggi come il terzogenito di Totò Riina, di cui ci siamo spesso occupati in questi cinque anni, e del suo braccio destro. Presenza, con una scarcerazione “errata”, su cui tante domande un anno dopo persistono e su cui tentò – nel silenzio del territorio – di accendere i riflettori l’avv. Teresa Nannarone a Sulmona. Territorio la Marsica in cui numerosi sono stati gli accertamenti di investimenti di business legati a doppio filo alla malavita romana o alla camorra. Si perde nella memoria di anni apparentemente lontani la maxi operazione contro quella che fu definito un sistema di ‘ndranghetizzazione a Francavilla.
Ma la memoria (perduta) della storia di questa regione, segnatamente del vastese, può (anzi deve) risalire ancor di più la corrente del tempo che scorre. L’eco delle “notti magiche” non si era ancora spento, i giovani sognavano nuovi e vecchi amori scoprendo Laura Pausini a Sanremo e gli 883 o scavava le profondità dell’animo e i suoi tormenti con le poesie in musica di Marco Masini, giovani e giovanissimi sognavano, cantavano e ballavano nelle piazze col Karaoke di Fiorello e le serate del Festivalbar, qualche mese dopo l’Italia intera si sarebbe fermata disperata e in lacrime per il pallone volato oltre le nuvole a Pasadena calciato dal Raffaello del dio Eupalla, Silvio Berlusconi scendeva in campo per fermare la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto e del Pds. E la guerra era tornata nel cuore dell’Europa, a pochi passi da noi, nei Balcani insanguinati. Mentre a milioni di chilometri, nel cuore dell’Africa saccheggiata, depredata e devastata da sporchi interessi occidentali, venivano assassinati Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Le mafie seminavano terrore dalla Sicilia al continente, quel continente in cui il capitalismo criminale e mafioso stava sempre più avvelenando regioni intere. Tra le regioni in cui sono arrivati i rifiuti delle mafie l’Abruzzo. In quei mesi la relazione conclusiva della Commissione Parlamentare Antimafia accendeva i riflettori anche sull’Abruzzo e su Vasto, meno di cinque anni dopo l’attentato sventato a Giovanni Falcone, in città per un interrogatorio. Attenzione ad un soggetto, scrissero i commissari, venuto dalla Campania: Michele Pasqualone.
Dodici anni dopo, tra gambizzazioni, attentati, negozi saltati, auto bruciate, Pasqualone venne arrestato. Tra l’allerta parlamentare e la prima operazione Histonium silenzio, omertà, complicità, disinteresse. Ci volle una seconda operazione Histonium l’anno dopo perché la rete di Pasqualone si fermasse. In quei mesi alla magistrata che stava indagando, Anna Maria Mantini, fu assegnata la scorta e la massima allerta di sicurezza possibile. Ma non bastò. E fu trasferita a Pescara. Dopo Pasqualone venne la famiglia Cozzolino. E poi Ferrazzo a San Salvo e altri ancora.
L’Operazione Tramonto, che coinvolse altre cinque regioni oltre l’Abruzzo (e segnatamente il vastese), scattò all’alba dell’11 gennaio 2012. Un mese prima, di fronte ad un nuovo ampio fronte di fuoco esploso nel vastese, si chiese per la seconda volta (la prima fu dicembre 2010) se sarebbe mai arrivata (o meglio, quando sarebbe arrivata) una “histonium 3”. L’Operazione Tramonto e la rete dei Cozzolino fu la risposta. Gli anni passano e le cronache ci hanno raccontato di nuove maxi operazione, dell’arrivo delle mafie foggiane, del traffico di droga da Albania e Puglia al vastese, dei traffici di rifiuti (l’inchiesta della DDA di Campobasso è la seconda in pochi anni), negli stessi anni ci furono le prime maxi operazioni contro le mafie nigeriane (e quanto lo sfruttamento della tratta sia diffuso è sotto gli occhi di tutti) tra i cognomi del ventre oscuro autoctono che egemonizzano narcotraffico, usura, violenza, estorsione, racket delle case popolari, compare Casamonica (segno di un ritorno in Abruzzo?). Di Histonium 1 e 2 e Pasqualone non si può parlare, ancora oggi appare tabù o quasi, Cozzolino non lo ricorda più nessuno (o almeno si fa finta). Cosa è accaduto nel vuoto lasciato da Pasqualone, Cozzolino e Ferrazzo?
Era la primavera 2020, l’Italia intera era in lockdown, quando denunciammo la spregiudicatezza del ventre oscuro, delle famiglie che da Rancitelli al vastese impongono la loro violenta presenza (quell’anno era iniziato con l’omicidio nel “Ferro di Cavallo” pescarese legato allo spaccio di droga), spacciano, sparano fuochi d’artificio inviando precisi segnali, taglieggiano, si considerano padroni assoluti con prepotenza volgare e ostentata. I meccanismi del predominio criminale, fino ai botti a determinati orari e per ben precisi moventi, furono gli stessi descritti e documentati nell’operazione che contestò per la prima volta il 416bis a famiglie di Rancitelli. Meccanismi comuni a larga parte della costa abruzzese e i cui tentacoli arrivano fino al cuore del vastese. L’ondata di furti nelle abitazioni nel vastese non si arresta, nei giorni scorsi raid di malviventi sono avvenuti a Vasto e San Salvo. Per mesi e mesi Casalbordino e dintorni sono stati i comuni più colpiti. Sempre a Vasto, nei giorni scorsi, è stata rubata un’auto. Il segnale GPS ha indicato come punto di approdo della Hyundai Tucson rubata la provincia di Foggia. Territorio in cui, come documentato e denunciato da svariate inchieste, è enorme il numero di automobili rubate vengono fatte arrivare provenendo da vari territori abruzzesi e molisani e “cannibalizzate”. La “cannibalizzazione” consiste nello smontare pezzi delle auto per poi rivenderle su mercati illeciti.
Solo nel marzo scorso furono tre le auto – una Fiat 500 rubata a Fresagrandinaria, una Fiat Panda rubata a Vasto e un’Alfa Romeo Giulietta rubata a San Salvo – rintracciate a San Severo. Decisivi per il ritrovamento i segnali Gps delle utilitarie. In un’operazione congiunta di Polizia di Stato e Carabinieri nei campi tra San Severo e San Paolo di Civitate, entrambi in provincia di Foggia, nel giugno dell’anno scorso furono sedici le auto rintracciate, quasi tutte rubate tra Abruzzo e Molise, che furono riconsegnate ai legittimi proprietari. Tre gli arresti il mese precedente, eseguiti dai carabinieri di Atessa e San Severo, di due minorenni e un maggiorenne residenti a San Severo per furti di auto avvenuti tra il dicembre 2023 e l’aprile 2024. Il furto e la “cannibalizzazione” delle auto due anni fa ebbe anche la ribalta televisiva nazionale: il popolare inviato di Striscia la Notizia Pinuccio il 2 giugno rivelò che nei primi quattro mesi dell’anno le forze dell’ordine avevano individuato nelle campagne di Cerignola 400 auto “cannibalizzate”.
L’ultima operazione contro il furto e la “cannibalizzazione” di auto è dell’agosto scorso: undici arresti (quattro ai domiciliari) e venti indagati. Indagini condotte dalla procura di Foggia, provvedimenti eseguiti dai carabinieri di Termoli e San Severo. La maxi operazione ha sgominato una banda che agiva in cinque regioni: Abruzzo, Marche, Molise, Puglia e Campania.
Stesse rotte, o comunque limitrofe, di traffici di droga dai Balcani (ma non solo) e del riciclaggio di capitali reinvestiti in tante attività economiche (a Vasto e San Salvo negli anni delle maxi operazioni contro la camorra, la mafia albanese e le mafie pugliesi numeroso è l’elenco di attività economiche sequestrate) sgominati negli anni. Sono sempre le stesse? Sono collegate? Chi sale per rubare, depredare e “cannibalizzare” è coinvolto anche in altri traffici? Le basi di questi tentacoli vecchi e nuovi della malavita che colpisce nel vastese sono sempre quelle?





