È giunta a conclusione la lunga campagna elettorale per le elezioni regionali in Campania, segnata da polemiche e forti scontri soprattutto tra i due principali schieramenti, il “campo largo” a sostegno di Roberto Fico e il centrodestra che candida Edmondo Cirielli.
Tra le ultime polemiche quelle intorno al balletto dei leader nazionali del centrodestra Meloni e Tajani, con tanto di selfie danzante della Presidente del Consiglio dei Ministri, mentre la folla intonava il coro «chi non salta comunista è».
Tante sono state le prese di posizioni sullo spettacolo al comizio a sostegno di Cirielli, molte le prese di posizione che hanno attaccato il gesto. Il video della performance ha avuto ampia pubblicazione sulla stampa e sui social e ognuno può rintracciarlo, vederlo e giudicare.
In quest’articolo ci permettiamo di andare oltre. Perché quel coro, in una terra come la Campania, ha un peso particolare. O almeno dovrebbe, perché in questi giorni nel “campo largo” e non solo nessuno ha difeso determinate memorie.
Possiamo partire da un episodio avvenuto ad Isernia dodici anni fa. Tra i relatori di un incontro pubblico il nostro direttore Paolo De Chiara e il compianto Enrico Fierro, giornalista d’inchiesta indimenticabile voce contro corruzione, mafie, malapolitica in Campania e non solo. Indimenticabile eppure, nonostante siano passati pochi anni dalla sua morte, a quanto pare dimenticato da molti. Sul palco viene ricordato che c’è stato un politico, allora 24enne, condannato per l’accusa di aver portato armi all’interno di un carcere molisano. Accusa rivolta anche ad alcuni suoi colleghi e a tre detenuti affiliati al clan di Raffaele Cutolo. Scontata la condanna è arrivata per la “giustizia” italiana la riabilitazione e poi una (ormai) quasi trentennale carriera politica. Circostanza di 41 anni fa stigmatizzata da Enrico Fierro e “ridimensionata” da altri sul palco. Si accende la discussione e il compianto giornalista d’inchiesta con forza e veemenza ricorda che c’è chi ha pagato con la vita la lotta contro la camorra, che non aveva trent’anni Giancarlo Siani. Ed era giovanissimo Mimmo Beneventano, giovanissimo militante del Partito Comunista.
“Chi non salta comunista è” nella terra di Mimmo Beneventano assume, o meglio dovrebbe assumere, un peso specifico, particolare, colpisce la sua memoria. Chi ha saltato sul palco, chi ha intonato il coro, quasi sicuramente non sa chi è stato Mimmo Beneventano, non ne ha memoria, non sa neanche che è esistito un militante del Partito Comunista che ha sacrificato la vita perché denunciava e combatteva la camorra. Ma chi afferma di essere erede di quella tradizione, di quei militanti, chi ha conosciuto un giornalista di ragazza, coraggioso, come Enrico Fierro (il cui anniversario della morte, nel silenzio quasi generale, è caduto proprio in questo mese) dovrebbe. E avrebbe il dovere, morale, civile, politico, di ricordarlo e rivendicarne la memoria.
Invece, tra le misere e vuote polemiche di fine campagna elettorale nulla di ciò è avvenuto. Non da chi si definisce erede né da chi per anni ha sbandierato la lotta alla casta, per l’onestà, per la legalità. Gli stessi che negli anni hanno candidato, e cinque anni fa lo hanno (come noi e pochi altri hanno reso pubblico) nominato alla destra del commissario nazionale per l’emergenza pandemica, un politico che – come raccontò Rosaria Capacchione su Il Mattino nel 2011 – ventidue anni fa era nel commissariato per l’emergenza rifiuti con ruolo apicale. Mai indagato, mai considerato responsabile. Ma era tra i partecipanti alla riunione ufficiale – «Il ricordo di quella giornata campale è il ricordo di una resa» scrisse Capacchione – (citiamo testualmente dall’articolo di Il Mattino) «in quei mesi del 2003, quando (tanto per cambiare) si cercavano affannosamente fosse e buchi nei quali depositare i rifiuti che si accumulavano nelle strade napoletane, che gli uomini dello Stato incontrarono la camorra» e «scesero a patti con un gruppetto di imprenditori in odor di mafia che quei buchi avevano disponibili».
Enrico Fierro dodici anni fa ad Isernia ricordò Mimmo Beneventano partendo da quanto accaduto in Molise con tre cutoliani. Quasi a chiusura di un simbolico cerchio coloro che in questi giorni non hanno rivendicato la sua memoria, coloro che al coro «chi non salta comunista è» non ha ricordato che in Campania ci sono stati comunisti che hanno versato il sangue lottando contro la camorra, in una delle tante liste candidano colui che Raffaele Cutolo ha dichiarato essere stato il suo autista. Negli anni ottanta condannato in primo grado per una presunta amicizia con cutoliani, assolto in appello, assoluzione confermata in Cassazione (presidente Corrado Carnevale) «per non aver commesso il fatto» Raffaele Cutolo nel 2011 nel carcere di Terni disse di lui «è stato il mio avvocato e mi deve tanto. Faceva il mio autista, figurati».
Foto copertina: L’Unità dell’8 novembre 1980, fonte sito web Fondazione Mimmo Beneventano





