L’evento che non è festa, ma resa dei conti
La testimonianza di Marisa Garofalo si è inserita nella cornice, rigorosa quanto simbolica, del Premio Nazionale dedicato a sua sorella. La giornata, intitolata “Una fimmina calabrese. Così Lea Garofalo sfidò la ’ndrangheta”, ha visto un tavolo di relatori composto da voci autorevoli:
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Angela Napoli, madrina del Premio e già vicepresidente della Commissione Parlamentare Antimafia;
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Francesco Prete, Procuratore della Repubblica di Brescia;
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Alessandra Dolci, Procuratrice Antimafia e coordinatrice DDA di Milano;
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Paolo De Chiara, giornalista, autore del libro e promotore del Premio.
L’incontro non è stata una cerimonia vuota, ma un atto di memoria vivo, un tributo che reclama verità.
Cronaca di un coraggio: l’intervento di Marisa
Marisa ha ripercorso con lucidità e dolore la storia di sua sorella, la rabbia, le minacce, le fughe, la denuncia, l’abbandono, la violenza, fino alla tragedia. Il suo racconto non era solo personale, ma collettivo: la tragedia di Lea è una ferita che riguarda lo Stato, la giustizia, l’intero Paese.
Ha descritto la decisione di Lea di denunciare certi traffici, certi omicidi, la rottura con il clan, la speranza che lo Stato la proteggesse. Ma quella protezione non è arrivata: per Marisa, la morte di Lea non fu un semplice omicidio mafioso: fu un omicidio di Stato.
Ha chiesto che la storia di Lea non sia memoria rituale, ma un monito vivo per tutte le nuove generazioni, soprattutto per le donne: resistere al ricatto, al silenzio, all’omertà.
Il video dell’intervento è disponibile, pubblicato da WordNews.
Il coro che si incrina: quando la verità struttura un confronto
Nel corso della stessa giornata, il Procuratore Prete ha dichiarato che, a suo avviso, “lo Stato ha vinto, la mafia siciliana è stata sconfitta”. Una affermazione netta, ma dirompente. Per molti. Perché, come ha sottolineato l’autore del libro e promotore del Premio, Paolo De Chiara, affermare che la mafia sia vinta davanti ai giovani è un “atto pericoloso”.
Non si trattava di un dibattito sterile: era una resa dei conti. Tra chi crede nella vittoria e chi sa che le mafie si trasformano, si nascondono, si insinuano nell’economia e nella politica. E la voce di Marisa ha tirato le fila: memoria sì, ma senza illusioni.
Perché questo racconto continua a bruciare
Perché non si limita a restituire un dolore, restituisce una responsabilità. Perché il coraggio di una donna che ha detto “no” non può essere un capitolo archiviato. Perché il ricordo di Lea Garofalo non è un monumento da contemplare, ma un faro da tenere acceso nella lotta civile.
Il Premio e l’intervento di Marisa lo ricordano: la memoria non è un gesto passivo. È impegno, stimolo, verità.
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