Il premier spagnolo Pedro Sanchez è stato proclamato Persona dell’anno de “l’Espresso” perché “ha rappresentato un’alternativa alle derive muscolari della politica globale. Ha respinto gli ultimatum di Trump sull’aumento delle spese militari. Ha ingaggiato una battaglia contro i colossi digitali. Ha difeso i diritti civili. Ha ampliato i flussi migratori regolari. Ha scommesso sulla transizione energetica. Ha denunciato le ipocrisie dell’Occidente sul genocidio in corso a Gaza.”
In buona sostanza Pedro Sanchez è il solo a dare prova di coraggio di affermare i diritti umani e civili nel magma dell’omologazione delle idee servilmente piegate alle logiche di antidemocratici poteri insulsi polarizzati verso i boss che tessono le reti del consolidamento delle alleanze.
Pedro Sanchez è nella palude dei politicanti narcotizzati dal potere l’uomo che dimostra cosa rappresenti la politica vera e quanto la si colga anche nel linguaggio della comunicazione.
La politica vera si fonda sulla parità delle persone, confida nel dialogo, nell’esempio, nella contrattazione, nella tolleranza. La politica vera cerca il modo di far convivere persone di diverso pensiero, diversa estrazione, diversa fede, diversa specie, diverso genere attraverso la fiducia, il ragionamento e la comprensione reciproca. Nella sua accezione autentica far politica dovrebbe significare prendersi cura del bene comune favorendo la convivenza in spazi di incontro e dialogo tra diverse culture, opinioni, sessi. Nella consapevolezza che dove c’è convivenza c’è diversità la politica, nella sua accezione autentica, è strumento di conciliazione delle diversità.
Per chi crede solo nella legge della forza e della distruzione di chi non appartiene alla stessa fede/divisa la politica vera è solo una affermazione demagogica della politica del tornaconto.
La figura di Sanchez contegnosamente si contrappone a quella politicanza che non opera in funzione del “dover fare la polis” (principio cardine della democrazia, secondo la civiltà greca) e che la coltiva i propri interessi facendone un’accademia nepotistica più che uno strumento per lavorare e ottenere risultati per il bene comune.
L’impegno di Sanchez dimostra che le disuguaglianze non si risolvono con la filantropia, con uno stato sociale, malato di corruzione, burocratizzato e dalle tasche bucate, con proclami di fantapolitica, con un apparato legislativo elefantiaco che sforna troppe norme o troppo poche e uno giudiziario incapace di farle rispettare.
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