Martedì è stato presentato a Catania, alla Chiesa di Santa Chiara, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio Catania, l’associazione Libera – Associazioni nomi e numeri contro le mafie e l’Università degli Studi di Catania, il libro “Perché ero ragazzo” di Alaa Faraj.
Sono intervenuti:
- Corrado Fortuna (attore),
- Emiliano Abramo (presidente della Comunità di Sant’Egidio di Catania),
- Enrico Foti (magnifico rettore dell’Università di Catania),
- Luigi Ciotti (sacerdote, Presidente di Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie),
- Daria Bignardi (giornalista, conduttrice televisiva e scrittrice),
- Felice Lima (già sostituto procuratore generale presso il Tribunale di Messina),
- Alberto Andronico (professore ordinario di Filosofia del Diritto all’Università degli Studi di Catania),
- Alessandra Sciurba (presidente di Mediterranea Saving Humans, docente dell’università di Palermo, attivista per i diritti umani e curatrice del libro)
- l’autore Alaa Faraj.
Nel libro Faraj racconta il suo trascorso, quando già nell’agosto del 2015 la Libia è un paese devastato dalla guerra civile e l’Italia è distante cinquecento chilometri, circa un’ora di volo, Alaa ha appena vent’anni ed è uno studente di ingegneria, una promessa del calcio libico con alle spalle una famiglia pronta a sostenerlo nel suo sogno: raggiungere l’Italia, la porta dell’Europa e forse un nuovo inizio, la speranza concreta di un futuro felice. Ottenere un visto, però, è impossibile, i canali umanitari non esistono, l’unica strada è salire a bordo di un barcone insieme a tre amici, anche loro calciatori. Durante quella disperata traversata 49 persone muoiono soffocate dentro la stiva. I giornali parlano della ormai famosa “strage di ferragosto”. Alaa Faraj viene accusato di essere uno degli scafisti, e condannato a 30 anni di carcere per omicidio. Ma lui continua ad affermare da dieci anni la sua innocenza e, nel frattempo, ha accettato il ruolo del detenuto ma non accetterà mai quello del criminale e continua a credere nello Stato Italiano.
Ha scritto questo libro in prigione, in un italiano appreso dentro le celle, in una lingua naturalmente delicata, a volte ironica, colma di dignità e stupore. Lo ha scritto a mano, a stampatello, nei fogli rimediati in prigione e poi inviati, lettera dopo lettera, ad Alessandra Sciurba, docente di filosofia del diritto all’Università di Palermo, conosciuta in carcere durante un laboratorio e diventata la voce e il volto della battaglia di Alaa per la giustizia e la verità.
“Perché ero ragazzo” è il racconto di un viaggio fatto di speranze e pericoli, l’indecenza delle morti per mare, l’arresto, la condanna, i primi dieci anni di carcere. Alaa Faraj ripercorre la sua storia con uno sguardo prima sbigottito, poi sempre più consapevole, mantenendo, come detto, una paradossale fiducia nello Stato: le indagini forse frettolose, sulla base di poche testimonianze di persone sotto shock, la vita dietro le sbarre, la voglia di studiare, la felicità di certi incontri, la necessità di resistere, la paura e la frustrazione sempre in agguato. La lotta di Faraj per la libertà è diventata la lotta di scrittori e artisti, attivisti come don Ciotti, giornalisti d’inchiesta, programmi televisivi, un’attenzione che non accenna a scemare. Sono più di tremila le persone arrestate ne gli ultimi dieci anni in Italia come “scafisti”, nelle parole dei giudici “l’ultima ruota di un mostruoso ingranaggio del traffico di vite umane”, ma è noto che i trafficanti, quelli veri, rimangono a casa senza rischiare, spesso agendo in continuità con le autorità del loro paese, e non solo.
Don Ciotti: “Chiediamo la grazia al Presidente della Repubblica”
Con queste parole Don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione Libera, fa sua la battaglia di Alaa e quella di altri condannati ingiustamente per essere scafisti:
“È una situazione paradossale. Non sono stati considerati degli elementi che erano molto importanti, fondamentali. Noi riteniamo veramente che ci sia stata una condanna ingiusta.”
Poi arriva la richiesta direttamente al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella:
“Ora chiediamo che il Presidente della Repubblica dia una Grazia a lui e ad altre persone come lui non erano gli scafisti che per la stragrande maggioranza non sale sui barconi”
Cinzia Pecoraro: “Sono sempre stata convinta dell’innocenza di Alaa”
Presente, tra gli altri, il suo avvocato Cinzia Pecoraro che, subentrata dopo alla sua difesa nel processo, si dichiara sempre convinta della sua innocenza:
“Il caso di Alaa, secondo me, è una delle ingiustizie più grandi del nostro Paese. Siamo in fase di revisione. Io sto lavorando alla seconda istanza di revisione perché la prima è stata dichiarata addirittura inammissibile dalla Corte d’Appello di Messina. Adesso, grazie a delle nuove prove che ho rinvenuto, sto reiterando l’istanza di revisione. Alaa è stato condannato a 30 per omicidio perché considerato uno scafista. Alaa ha sempre dichiarato di essere innocente.”
Alessandra Sciurba: “Alaa è entrato in carcere sulla base di un processo pieno di contraddizioni”
Alessandra Sciurba, docente dell’Università di Palermo, attivista per i diritti umani e curatrice del libro, con la stesura della postfazione, ha conosciuto Alaa in un progetto in carcere e ha fin da subito fatta sua la battaglia per la verità:
“Alaa è un ragazzo, è ancora un ragazzo, ha 30 anni che è entrato in carcere quando ne aveva 20 sulla base di un processo pieno di contraddizioni che merita un supplemento di ricerca nella verità e nella giustizia. Alaa è un ragazzo che non è stato piegato 10 anni di carcere, ingiusto, che è rimasto in piedi e che ha avuto la forza di scrivere un libro straordinario in cui racconta la sua storia non solo per se, ma anche per chi non ha avuto giustizia come lui a cominciare dalle vittime che sono morte nella barca che è arrivata in Italia”
Poi parla della sua seconda uscita dal carcere per presentare il suo libro:
“Stasera (16 dicembre, ndr.) c’è un piccolo miracolo perché per la seconda volta in 10 anni Alaa ha potuto mettere piede fuori dalla prigione e camminare per le strade di Catania, la città in cui è sbarcato 10 anni fa, la città in cui è stato condannato, la città in cui ha fatto i primi anni di carcere, la città che stasera lo vede pieno di orgoglio e dignità e tra le persone che lo stimano e lo apprezzano a parlare del suo bellissimo libro”.

foto Antonino Schilirò




