«L’Italia sarà tutta zona protetta, rimaniamo in casa, privilegiamo il lavoro a distanza e #andràtuttobene». Sono passate solo poche settimane da quando queste parole, del Presidente del Consiglio Conte, hanno fatto irruzione nelle nostre abitazioni stravolgendo le vite di tutti. Soluzioni davanti all’avanzare del contagio da covid19, dichiarata pandemia mondiale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che possono apparire lineari e anche di facile applicabilità se non, addirittura, una semplificazione della vita quotidiana.
In queste settimane abbiamo sentito e letto persino di commenti entusiasti al futuro che ci attenderà grazie al grande balzo in avanti di quello che oggi viene chiamato smart working ovvero del telelavoro o «lavoro a distanza». Col passare dei giorni la realtà è apparsa più complessa delle intenzioni e, parafrasando Brecht, nell’Italia del 2020 è la semplicità che è difficile a farsi.
Dai nostri divani e teleschermi, dall’alto della nostra presunta superiorità economica, sociale, culturale l’Africa viene troppo spessa guardata dall’alto in basso, come un buco nero derelitto. In Tanzania cosa accade se superi i limiti di velocità? Ti può essere scattata una foto che viene inviata via whatsapp al posto di blocco successivo dove vieni fermato, contestata l’infrazione e tramite cellulare puoi pagare immediatamente. In una baraccopoli di Nairobi, nel 1995, i missionari comboniani e PeaceLink realizzarono la redazione di un giornale locale, connesso ad internet e col mondo. Scrissero ai grandi quotidiani italiani chiedendo un’email a cui inviare il comunicato per informare di questa nuova attività, la risposta fu di inviare un fax perché non avevano la posta elettronica.
Sono passati 26 anni e, quindi, sarebbe lecito attendersi che le cose sono cambiate e che il web e le moderne tecnologie (siamo pur sempre nell’era di netflix, dei social network e dei selfie) sono ormai pane quotidiano ovunque e in ogni occasione. Le statistiche sul telelavoro nell’era pre pandemia ci raccontano, invece, una realtà molto diversa e, tra un bollettino giornaliero sui contagi e le troppe notizie drammatiche che giungono da ogni parte d’Italia, sono fioccate copiose le notizie di ritardi, criticità, scuole che non riuscivano, per i motivi più disparati, ad attivare la didattica a distanza.
Tutto questo per chi vive una condizione tranquilla. Stiamo raccontando, da settimane, di come ci sono persone che non possono rimanere a casa perché una casa non ce l’hanno; del dramma delle donne, dove la quasi totalità delle violenze e dei femminicidi avvengono in casa. E ci sono le persone che vivono situazioni diverse, che hanno problemi e criticità quotidiane che chi non le vive non può capire. Come i bambini e le bambine autistiche per cui sono vitali e indispensabili alcune terapie. L’interruzione, anche solo per poche settimane, può significare un regresso terribile e drammatico.
Francesca Di Tola è una bambina con autismo di Rocca San Giovanni, in provincia di Chieti e, dopo l’annuncio di Conte della quarantena per tutti, il padre Simone ha cercato immediatamente di attivarsi per la figlia. Il 6 marzo ci dice di aver ricevuto un’email della scuola frequentata dalla figlia per l’iscrizione alla didattica a distanza, tre giorni dopo è uscito il decreto governativo sull’assistenza domiciliare scolastica e dal giorno dopo prova ad avere notizie contattando direttamente alcuni operatori per chiedere l’attivazione per la figlia. Il 15 marzo – ci sottolinea perché ha percepito «indifferenza, rimandi e chiusure» – pubblica il primo appello su Facebook per la figlia e gli altri bambini disabili che hanno necessità fondamentale di almeno diverse ore dell’assistenza, il giorno dopo riesce ad iscriversi al portale della scuola per l’iscrizione a distanza, il 19 marzo Simone viene intervistato da una televisione locale – Telemax – che la manda in onda il giorno successivo e a cui il sindaco Di Rito replica con un’intervista del 22 marzo alla stessa emittente televisiva in cui afferma che il servizio non è stato attivato perché il Comune non ha ricevuto la necessaria richiesta della famiglia, il 21 marzo Simone Di Tola invia un’email al Comune per chiedere l’aumento delle ore per il servizio alla famiglia in appoggio anche alla didattica a distanza, tra il 22 e il 25 marzo Simone pubblica su Facebook ben quattro nuovi appelli per la figlia.
Il 26 marzo la famiglia Di Tola riceve una comunicazione firmata dal Sindaco di Rocca San Giovanni: considerate le richieste pervenute dal sig. Di Tola Simone protocollate il 23 marzo, la comunicazione della scuola frequentata dalla figlia Francesca sull’attivazione della didattica online, la relazione del consorzio sociale operante nel territorio, considerato lo stato di emergenza, «si garantiscono le 10 ore settimanali di assistenza scolastica ad integrazione delle ore già garantite come servizi alla famiglia».
Non dovremmo mai dimenticare chi non ha le fortune della stragrande maggioranza della collettività nel restare a casa e accedere tramite l’informatica a lavoro, istruzione o altri servizi fondamentali.
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2020-04-01 19:00:39
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